Ma come sempre accade con gli atti di vendetta, anche questo fu scoperto.

Affranto, Apollo maledì seduta stante quella che una volta era stata la sua razza favorita. «Che la peste affligga tutti coloro che nascono Apollinei. Che possiate raccogliere tutto ciò che avete seminato in questo giorno. Che nessuno di voi viva oltre l’età della mia amata Ryssa. Morirete tutti tra atroci sofferenze nel giorno del vostro ventisettesimo compleanno.

E poiché vi siete comportati da animali, tali diventerete.

Che possiate trovare nutrimento solo nel sangue della vostra stessa razza, e che mai più possiate camminare nel mio reame, dove io possa vedervi e mi sia così ricordato ciò che avete fatto per tradirmi.»

Solo dopo che la maledizione fu pronunciata Apollo si ricordò di suo figlio a Delfi. Un figlio che aveva stupidamente dannato insieme a tutti gli altri.

Poiché una volta pronunciata, una maledizione non si può cancellare.

Ma più di ogni altra cosa, aveva gettato il seme della sua stessa distruzione. Nel giorno del  matrimonio di suo figlio con la sua più importante sacerdotessa, Apollo gli aveva affidato tutto ciò che nella sua vita aveva valore.

«Nelle tue mani hai il mio futuro. Il tuo sangue è il mio ed è attraverso te e i tuoi futuri figli che io vivo.»

Con quel giuramento, e con uno scatto d’ira, Apollo si era condannato all’estinzione. Poiché una volta che fosse morta la progenie di suo figlio, così sarebbe toccato ad Apollo e al Sole stesso.

Poiché Apollo non è un semplice dio. Lui è l’essenza del Sole, e nelle sue mani è la bilancia dell’universo.

Il giorno che Apollo morirà, così morirà la terra e tutto ciò che vi dimora.

Ora l’anno è il 2003, ed è rimasto un solo discendente di Apollo a tramandare il sangue dell’antico dio...