Per tutti gli appassionati dei miei libri, che mi sostengono e mi hanno donato innumerevoli sorrisi a conferenze e a sessioni di autografi, e quando leggo le mie lettere ed email.

Per gli assidui frequentatori di RBL Romantica e DH, la cui presenza è sempre una sorgente di calore.

Per la mia famiglia e i miei amici, che rendono la mia vita degna di essere vissuta. E per Kim e Nancy, che credono in me e sono disposte a darmi l’opportunità di far conoscere il mondo alle persone che vivono nel mio cuore e nella mia mente.

Grazie a tutti! Spero che ognuno di voi abbia le benedizioni e le ricchezze che si merita. Abbracci!

Prologo

Glionnan, 558 a.C.

I ruggenti fuochi del villaggio bruciavano alti nella notte, lambendo il cielo buio come serpenti che si intrecciano attraverso velluto nero. Del fumo si librava attraverso la fosca oscurità, acre per l’odore di morte e vendetta.

Quella vista e quell’odore avrebbero dovuto far gioire Talon.

Non era così.

Nulla l’avrebbe fatto mai più gioire.

Nulla.

L’amaro tormento che prorompeva dentro di lui era paralizzante.

Debilitante. Era più di quanto potesse sopportare, e

quel pensiero era quasi sufficiente a farlo ridere...

O imprecare.

Sì, imprecò per l’angoscioso peso del suo dolore.

Uno alla volta, aveva perso ogni essere umano al mondo che avesse significato qualcosa per lui.

Tutti quanti.

All’età di sette anni era rimasto orfano e con la pesante responsabilità di accudire la sua sorellina. Senza alcun posto dove andare e incapace di provvedere da solo alla neonata, era tornato al clan un tempo guidato da sua madre.

Un clan che aveva bandito entrambi i suoi genitori prima della sua nascita.

Suo zio regnava da un anno quando Talon si era fatto forza ed era entrato nel suo salone. Il re aveva accettato, seppure malvolentieri, lui e Ceara, ma il clan no.

Non finché Talon non li aveva costretti.

Potevano non aver rispettato i suoi genitori, ma Talon fece in modo che rispettassero la sua maestria con la spada e la collera. Che rispettassero la sua prontezza a mutilare o uccidere tutti coloro che lo insultavano.

Così, quando ebbe raggiunto l’età adulta, nessuno ormai osava irridere i suoi natali o mettere in dubbio il ricordo o l’onore di sua madre.

Si era fatto strada fra i ranghi dei guerrieri e aveva appreso tutto il possibile sulle armi, sul combattimento e sull’arte del comando.

Alla fine era stato votato all’unanimità come successore di suo zio dalla stessa gente che una volta lo scherniva.

Come erede, Talon era stato a fianco di suo zio, proteggendolo inesorabilmente fin quando un’imboscata nemica non li aveva colti alla sprovvista.

Ferito e straziato nel fisico, Talon aveva tenuto suo zio fra le braccia mentre Idiag era morto per le lesioni.

«Proteggi mia moglie e Ceara, ragazzo» gli aveva sussurrato suo zio prima di morire. «Non farmi pentire di averti accolto.»

Talon aveva promesso. Ma solo pochi mesi dopo aveva scoperto sua zia violentata e uccisa dai loro nemici. Il suo corpo era stato dissacrato e lasciato preda degli animali.

Nemmeno sei mesi più tardi, aveva cullato stretta al petto la sua adorata moglie Nynia, mentre anche lei spirava e lo lasciava solo, per sempre privo del suo tocco gentile e confortante.

Lei era stata il suo mondo.

Il suo cuore.

La sua anima.

Senza di lei, non aveva avuto più alcun desiderio di vivere.

Con lo spirito spezzato come il suo cuore, aveva messo loro figlio nato morto fra le braccia senza vita di lei e li aveva seppelliti assieme presso il lago dove lui e Nynia avevano giocato da bambini.

Poi aveva fatto come gli era stato insegnato da sua madre e da suo zio.

Era sopravvissuto per guidare il suo clan.

Mettendo da parte la sua sofferenza meglio che poteva, aveva vissuto solo per il benessere del clan.

Come condottiero, aveva versato tanto sangue da riempire l’immenso mare e aveva ricevuto innumerevoli ferite sulla carne per la sua gente. Aveva guidato il suo clan alla gloria contro le popolazioni del continente e i clan del nord che avevano cercato di conquistarli. Con la maggior parte della sua  famiglia morta, aveva dato al clan tutto ciò che aveva. Il suo amore.

Aveva perfino offerto loro la sua stessa vita per proteggerli dagli dèi.

E in un istante gli uomini del suo clan avevano preso l’ultima cosa al mondo che lui amava.

Ceara.

La sua adorata sorellina che, l’aveva giurato a sua madre, a suo padre e a suo zio, avrebbe protetto a tutti i costi. Ceara con i suoi capelli dorati e ridenti occhi color ambra. Così giovane.

Così gentile e caritatevole.

Per soddisfare le ambizioni egoistiche di un solo uomo, il suo clan l’aveva uccisa davanti ai suoi stessi occhi mentre lui giaceva a terra legato, incapace di fermarli.

Lei era morta invocando il suo aiuto.

Le sue urla di terrore gli riecheggiavano ancora nelle orecchie.

Dopo la sua esecuzione, il clan si era rivoltato contro di lui e aveva posto termine anche alla sua vita. Ma la morte di Talon non gli aveva portato alcun sollievo. Aveva provato solo colpa. Colpa e un bisogno di correggere i torti commessi nei confronti della sua famiglia.

Quel bisogno di vendetta aveva trasceso ogni cosa, perfino la morte stessa.

«Che gli dèi vi maledicano tutti!» gridò Talon verso il villaggio in fiamme.

«Gli dèi non ci maledicono, siamo noi a maledire noi stessi con le nostre parole e azioni.»

Talon si voltò di colpo all’udire quella voce dietro di lui e vide un uomo vestito di nero. In cima alla piccola altura, quest’uomo era diverso da qualunque altro lui avesse mai visto.

Il vento notturno vorticava attorno alla figura, facendo svolazzare il suo mantello finemente intrecciato mentre camminava con un grosso bastone contorto nella mano sinistra.

Il legno di quercia, scuro e antico, era intagliato di simboli, con la sommità decorata con piume assicurate a una corda di cuoio.

La luce della luna danzava sui capelli di un nero soprannaturale, che l’uomo portava raccolti in tre lunghe trecce.

I suoi argentei occhi luccicanti parevano turbinare come nebbie spettrali.

Quegli occhi accesi erano misteriosi e sconcertanti.

Avendo la statura di un gigante, Talon prima di allora non aveva mai dovuto guardare qualcuno dal basso in alto, eppure questo sconosciuto pareva avere le dimensioni di una

montagna. Fu solo quando si avvicinò che Talon si rese conto che era alto più di lui solo di pochi centimetri e non era anziano quanto era sembrato sulle prime. In effetti il suo volto era

quello di una perfetta giovinezza, in bilico su quella preziosa soglia tra adolescenza e maturità.

Finché non lo si guardava più da vicino. Negli occhi dello sconosciuto c’era la saggezza delle epoche. Non era un ragazzo, ma un guerriero che aveva combattuto duramente e aveva visto molto.

«Chi sei?» chiese Talon.

«Sono Acheron Parthenopaeus» rispose lui con uno strano accento, ma parlando alla perfezione la lingua madre celtica di Talon. «Sono stato mandato da Artemide per addestrarti alla tua nuova vita.»

A Talon era stato detto dalla dea greca di aspettarsi quest’uomo che vagava per il mondo da tempo immemore. «Ecosa mi insegnerai, Stregone?»

«Ti insegnerò a uccidere i demoni che danno la caccia agli sventurati umani. Ti insegnerò come nasconderti durante il giorno in modo che i raggi del sole non ti uccidano. Ti mostrerò

come parlare senza rivelare le tue zanne agli umani e tutto quello che ti serve sapere per sopravvivere.»

Talon rise amaramente mentre un dolore accecante lo attraversava ancora una volta. Gli faceva così tanto male che riusciva a malapena a respirare.

Tutto quello che voleva era la pace.

La sua famiglia.

E loro non c’erano più.

Senza di loro non aveva più alcun desiderio di sopravvivere.

No, non poteva vivere col cuore gravato da quel peso.

Guardò Acheron. «Dimmi, Stregone, hai qualche incantesimo per sollevare da me questo tormento?»

Acheron gli scoccò un’occhiata dura. «Sì, celta. Posso mostrarti come seppellire quel dolore così in profondità dentro di te che non ti tormenterà più. Ma bada che tutto ha un prezzo e nulla dura per sempre. Un giorno giungerà qualcosa per farti provare di nuovo dei sentimenti, e porterà con sé il dolore di epoche intere. Tutto quello che hai nascosto uscirà

fuori e potrebbe distruggere non solo te, ma chiunque vicino a te.»

Talon ignorò quell’ultima parte. Tutto quello che voleva per il momento era un giorno in cui il suo cuore non fosse spezzato. Un solo istante libero dal suo tormento. Era disposto a pagare qualunque prezzo per questo.

«Sei sicuro che non proverò più nulla?»

Acheron annuì. «Posso insegnartelo solo se ascolterai.»

«Allora insegnami bene, Stregone. Insegnami bene.»