Helvdan chinò appena il capo. — Tuttavia le tue parole serbano il dono della speranza, che io accetto con tutto il cuore.

Si incamminò per primo, con Xarshal al fianco e Dinesh subito dietro, e una ventina dei suoi migliori cavalieri al seguito; erano tutti pesantemente armati, con le lunghe spade di acciaio – era stato l'acciaio a fare la prosperità di Hasgalen – e le corte balestre doppie, munite di minuscole e temibili frecce brune che potevano uccidere un uomo nel volgere di un respiro.

Helvdan appena lasciò uno sguardo dietro a sé: fanti e arcieri stavano sbarcando con ordinata rapidità. I primi stavano già muovendosi per raggiungere le altre due porte della città. Ma si distrasse da quel pensiero, che forse Dinesh dopotutto poteva carpirgli con gli inganni abituali dei Sapienti.

La via che stavano risalendo, naturale prosecuzione del pontile, tagliava in due il largo quartiere del porto. Era lastricata di pietra rosa, larga tanto che quattro carri potevano procedere affiancati; da una parte e dall'altra s'indovinavano case basse e lunghe, con i tetti coperti di neve, che sembravano abbandonate in tutta fretta. I camini ancora fumavano. Gli abitanti dovevano essersi rifugiati entro le mura non appena le navi erano state visibili al levarsi del giorno.

— Non hanno davvero creduto che saremmo venuti — commentò Xarshal.

— Peggio per loro — avrebbe voluto rispondere Helvdan, ma restò zitto osservando con una stretta al cuore i boschi che si allargavano a coprire i due speroni a picco sul mare, ad est e ad ovest. Erano alti pini neri e larici dorati. In nessun altro luogo della Terra era più possibile vedere boschi così vivi, se non lì. L’uomo se ne risentì, come se fosse stato un insanabile torto.

Infine erano alla Porta d'Oro. Era stata una lunga salita e, così da vicino, la porta appariva davvero gigantesca; toccata dai raggi del pallido sole che filtrava tra il pulviscolo di neve, la lamina di oro puro di cui era ricoperta brillava debolmente. Era decorata con scritte nell'antica lingua degli Immortali; qualcuno diceva che erano quei segni, con il potere della parola, a rendere benedetta tutta l'Isola, e più d'uno tra i suoi Sapienti aveva suggerito di trasportarla ad Hasgalen, con la magia che forse conteneva.

Helvdan si chiese se anche le altre due porte, ad est e ad ovest, erano altrettanto grandi. Lì i suoi uomini dovevano già essere all'opera.

Lo spirito del fuoco non poteva fallire.

Al suo ordine infine l'araldo si fece avanti, protetto dallo svolazzante stendardo di Hasgalen: una lama con un sole al posto dell'elsa, in campo azzurro. Per un po' l'uomo restò davanti alla porta senza che nulla accadesse, tanto che Helvdan cominciò a temere una qualche magia e si volse a Dinesh per chiedere consiglio. Proprio in quel momento il portello nella Porta d'Oro si aprì, e il Re dell’Isola si avanzò verso di loro, seguito da un uomo armato, mentre altri quattro restavano appena più indietro.

Il sovrano portava un mantello di pesante lana bianca, e la fibula d'oro sulla sua spalla, come il cerchio intorno alla fronte, avevano una brillantezza e una levità che ne rivelavano l'origine. Non appartenevano agli umani, ma agli Immortali, e che Lisbarth li ostentasse sembrò ad Helvdan un'altra offesa.

— La tua giovinezza mi sorprende tutte le volte che ti vedo, Lisbarth — esordì tuttavia. — So che tu ed io abbiamo visto la luce nello stesso anno, ventinove inverni fa, eppure a guardarti direi che soltanto ieri hai lasciato la tua adolescenza.

L'uomo aveva gli occhi blu; lo stesso blu del mare che li circondava, e restarono fissi sul Re di Hasgalen senza amicizia.

— È per questo che sei venuto all'Isola alle porte dell'inverno, portando tutte le tue navi? Per chiedermi della mia giovinezza?

— Dobbiamo parlare qui?

— Non abbiamo di che parlare.

— Ti sbagli! Hai avuto la mia richiesta, e ti ho dato il tempo per valutarla. La mia offerta è buona, il prezzo equo, e sono persino disposto ad alzarlo, se è soltanto questo che vuoi.

Il sovrano dell'Isola arretrò di mezzo passo; l'uomo al suo fianco portò la mano all'impugnatura della spada.

Helvdan sollevò distrattamente lo sguardo all'alto delle mura, dove gli arcieri dovevano già essere pronti, le frecce incoccate per la misera difesa che potevano sperare di opporre.

— Come hai potuto concepire l'idea di chiederci di vendere i nostri figli? — urlò Lisbarth, i pugni chiusi per la rabbia.

— Con la disperazione di chi è diventato sterile. Per anni e anni le nostre donne hanno visto gran parte dei figli morire nel loro ventre ancor prima della nascita… ma da dieci anni a Hasgalen non accade nemmeno più questo, perché il seme degli uomini non ha più forza. Questo significa che quando anche quest’ultima generazione sarà passata, Hasgalen cesserà di esistere.

— Allora Hasgalen avrà quanto si è meritato!