ultimato il lavoro di quella notte: si tenne stretto a se stesso con tutta la forza che aveva e fece attenzione, serbando in cuore un unico misero scopo.
Per quel momento.
Raggiunse la porta e la sigillò con una Parola, un tocco del bastone, una carezza della mano nodosa. Finalmente al sicuro, prese un respiro con più calma, e scese le ripide scale a chiocciola zoppicando e facendo risuonare il bastone con l’eco che si propagava per il labirinto cigolante di scale e ballatoi, giù e ancora più giù, fin nelle cavità lignee di Ynefel.
Viveva qui da solo. Viveva da solo da... aveva smesso di contare gli anni, tranne quella notte, quando la morte sembrava così vicina, così...
seducente, alla luce dei suoi preparativi.
Meglio, pensava ormai da tempo, svanire poco a poco.
Meglio, si era convinto, smettere di avere a che fare con le Ombre e stare alla luce del sole. Meglio smettere di ascoltare il lento esame del tempo sul legno e la pietra di questa vecchia rovina. Non doveva nulla al futuro. E doveva ancora meno al passato.
Abbiamo meritato il nostro destino, pensò amaramente. Avevamo troppa fiducia in noi stessi. E non eravamo virtuosi, no, nessuno di noi lo era. Sembra quindi appropriato, che alla fine di tutto, ci siamo uccisi a vicenda.
Appropriato, inoltre, che non siamo stati decisi e risoluti, nemmeno all’ultimo momento. A ogni verità abbiamo trovato un’eccezione; a ogni risposta, un’altra domanda. Abbiamo dubitato di tutto. Abbiamo provato avversione per il demone in noi stessi e dubitato anche di quella.
E, inappropriati fino alla fine, abbiamo indugiato. Non potevamo credere neppure alla nostra stessa disgrazia.
Il rumore di un bastone nodoso e ricurvo, lo scricchiolio di gradini in legno svuotati dal tempo... generavano echi, giù e giù fino alla base di quei gradini, allo studio disordinato nel cuore della fortezza. Si sentiva un rumore a Ynefel, finché l’uomo non si fermò, immerso nei suoi preparativi.
Si sentiva un respiro in questa stanza, finché l’uomo non trattenne il proprio.
Sempre quel dubbio atroce. Mai pace. Mai certezza.
Tuttavia restava ancora per lui la possibilità di dirigersi a nord lungo la Strada, evitare Elwynor e andare alla ricerca dei Regni Antichi che avrebbero potuto, con scarse probabilità, esistere ancora sull’Hafsandyr. Per camminare così a lungo e così lontano la sua forza sarebbe potuta bastare, o se avesse fallito, nell’innocenza rimasta a un anziano mago, avrebbe potuto accasciarsi su quella Strada sotto la pioggia e i venti e dormire fino allo svanire della vita.
Forse sarebbe stato un modo di trovare la pace, la fine a cui la sua gente non aveva avuto il coraggio di arrendersi.
Ma era un Galasieni. Non aveva la determinazione di credere neppure alla propria morte... e questa era sia la fonte che la rovina del suo potere. Era un seguace della Magia Antica, e non sapeva cosa farsene di moderni guaritori, donne sagge e stregoni insignificanti con le loro inutili magie illusorie, ancor minore considerazione aveva per i divinatori e coloro che ricercavano nelle vecchie dottrine il modo di apprendere magie al di fuori della loro immaginazione. Ah, lui sapeva creare illusioni. Sapeva generare illusioni e incanti. Ma non avrebbe creato nessuna illusione quella notte, mentre stava accovacciato accanto al fuoco.
Non aveva bisogno di libri né di grammatiche, gli serviva solo l’essenza del proprio potere.
Non aveva bisogno del fuoco. Sarebbe bastata l’aria.
Ma le sue mani si protesero verso la sostanza del calore, strattonarono con forza il tessuto della fiamma ed estrassero dei filamenti che si innalzarono vorticando nella luce restante. I filamenti disegnarono sull’aria, e disegnarono sulle pietre dei muri e sull’età degli alberi che avevano prodotto il polveroso legname di Ynefel: si costruirono, si intrecciarono, e divennero... una possibilità.
Solo un uomo aveva raggiunto questa abilità, solo uno, nell’era dei Regni Antichi.
Un secondo aveva tentato, quando erano giunti i Sihhë.
Un terzo provò, quella notte. Il suo nome era Mauryl Gestaurien. E la magia che stava compiendo non era una via per la pace.
Anche questa era una caratteristica della sua gente.
Proferì una Parola. Fissò un punto nell’insostanza carica dell’aria, più piccolo di un granello di polvere. In quel momento fu consapevole di tutto l’insieme di pietre che circondavano la stanza, delle Ombre tra i timpani, che si insinuavano tra le crepe e le fessure delle grate, che si avvicinavano minacciose fra le travi, in cerca del suo studio. Attirò la luce di Ynefel verso l’interno, finché non fu tutta racchiusa in quella stanza.
In quel momento, le Ombre si fermarono sotto le porte e percorsero le giunture in muratura delle pareti. Le Ombre si introdussero giù per la canna del camino e il fuoco indietreggiò.
In quel momento iniziò a soffiare il vento, e le Ombre saltarono e balzarono sulle travi che sormontavano lo studio, e penetrarono lungo il camino come fuliggine.
Un granello di polvere rifletté la luce in modo impercettibile e indefinibile, poi più nulla.
Una scintilla apparve in quel granello, e si tramutò in una luce incerta come quella della luna, come il riflesso di una stella.
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