Con questo sesto volume Silvana De Mari incastra l'ultimo tassello nel gigantesco affresco della sua bellissima saga, inaugurata con L'Ultimo Elfo e passata attraverso L'Ultimo orco, Gli ultimi incantesimi, L'ultima profezia del mondo degli uomini, cui va aggiunto il prequel Io mi chiamo Yorsh.

La struttura riecheggia quella dell'Ultimo orco: anche qui i destini dei popoli vengono rimessi nelle mani di un 'bastardo', inteso nell'accezione di mezzosangue: così come questo archetipo rappresenta, internamente, l'unificazione di stirpi profondamente differenti, diventa anche simbolo vivente dell'unificazione che andrà a compiere nel mondo esterno. Dunque così come, mezzo millennio prima, concludere il gigantesco compito evolutivo iniziato dall'Elfo Yorsh e sostenuto da sua moglie Rosalba era toccato a Rankstrail, figlio di un Orco e un'Umana, ora il testimone passerà a Ranail, figlio di uno Yurdione e un'Umana con tracce di sangue elfico nelle vene. Ma mentre il primo è il prodotto di uno stupro, il secondo è frutto di un'unione voluta, a testimonianza della vastità del cammino percorso fra i due eventi.

Ed è un peccato che Fanucci abbia optato per un titolo che ricalca in parte il volume cronologicamente precedente, quando il working title proposto dalla scrittrice - L'ultimo giro della spirale - avrebbe espresso tutto il concetto in maniera assolutamente perfetta.

L'ultima profezia del mondo degli uomini - L'Epilogo rappresenta la degna conclusione in cui tutte le premesse trovano compiutezza ultima, in cui tutti i fili vengono riannodati e in cui la pace e l'ordine, dopo una serie di sanguinose guerre e altrettante dominazioni, vengono ristabiliti.

Il racconto è toccante ed epico come lo è stata tutta la saga. In essa, la De Mari ci ha parlato delle problematiche e delle tematiche  fondamentali alla base delle civiltà e delle ragioni che le generano: da quelle più scomode e crude, come la guerra, l'odio, la tortura, il genocidio, lo stupro etnico, la fame, la miseria, la malattia, il dolore fisico e psichico, per giungere a quelle riscattatrici come il coraggio, l'amore, la misericordia, il perdono, la conoscenza e l'immaginazione. E poi ci ha parlato anche di quelle più concrete come l'amore filiale e quello parentale, del bambino non voluto e non amato, del bambino non voluto e tuttavia amato, del percorso di crescita conseguente a questi due status, delle questioni sulle proprie radici, sulla propria identità e sulla capacità di forgiare il proprio destino e la propria interiorità imparando da esse ma, all'occorrenza, rigettandole.

Tutto questo è magistralmente racchiuso in un simbolo rappresentato da un oggetto semplicissimo: una trottola di fattura elfica che reca incisa la spirale aurea, simbolo dell'Infinito. Questo giocattolo avrà un ruolo determinante nell'intero ciclo, facendo da trait d'union metaforico fra tutte le vicende che vi si incrociano: dapprima in sordina, poi in maniera preponderante, come accade appunto in questo romanzo.

La trottola elfica rappresenta il classico 'effetto farfalla': come nel celebre esempio del fisico Edward Lorenz il battito d'ali di una farfalla in Brasile - azione apparentemente insignificante - sarebbe in grado di provocare una tromba d'aria in Texas, così la trottola della De Mari diviene la metafora della possibilità di cambiamento nel modo di pensare e di concepire la vita anche quando la logica delle premesse precluderebbe ogni chance.

A ben vedere, sono gli stessi argomenti di cui ha trattato nei suoi due saggi sul Fantastico, Il drago come realtà e La realtà dell'orco, il che fa di gran parte  della sua produzione un corpus idealmente e meravigliosamente unico. Mentre nella saggistica queste tematiche erano sviscerate dal punto di vista teoretico e scientifico (medico, psicanalitico, sociologico etc.), in questo ciclo di romanzi esse vanno a comporre una storia dal respiro epico avvincente e profondissimo che fa della De Mari, a buon diritto, la J.K. Rowling nostrana.

L'unico rammarico è che, trattandosi di autrice italiana, difficilmente la sua saga - nonostante le numerose traduzioni estere - assurgerà agli stessi onori delle cronache letterarie e cinematografiche della sua controparte britannica, restando una gemma a disposizione solamente di una nicchia di lettori.

Consola però il fatto che sia la più fulgida testimonianza di come, anche in Italia, si possa fare Fantastico di eccellente qualità, a dispetto dello sciocco e aprioristico snobismo che serpeggia oggi fra un certo tipo di lettori.