Esplorare, rinnovare e sorprendere.

Queste sono le tre parole d'ordine di Asylum, ossia manicomio, titolo della seconda stagione di American Horror Story.

Esplorare, per la continua ricerca, e il raffinato gioco delle parti di una storia che cambia le carte in tavola trasportandoci nel passato per affrontare nuovi temi del variopinto genere dell'orrore.

Rinnovare, per la coraggiosa scelta, ormai desueta, di dare un carattere quasi antologico ad un serie televisiva di lunga durata.

Sorprendere, per la decisione di giocare con il pubblico esplorando il passato di un personaggio di contorno, assunto alla grandezza attraverso l'interpretazione di una grande attrice quale Jessica Lange, come chiave di volta per una nuova storia apparentemente slegata da quella della precedente stagione.

Da segnalare nel cast il ritorno alla televisone di Zachary Quinto (il Sylar di Heroes) e una notevole performance di Lily Rabe (anche lei passata dalla prima alla seconda stagione) nei panni di una suora indemoniata.

All'inizio era una Ghost story classica, un sotto genere Horror che molti desideravano tacitamente: il pubblico era stanco della violenza demenziale degli anni '90 tanto quanto terrore adolescenziale del duemila, serviva un ritorno al brivido e la prima stagione dello show targato Fx aveva soddisfatto i palati dei più raffinati maniaci della paura.

Non bastava rievocare spettri e spiriti dell'oltretomba, Ryan Murphy voleva stupirci e ci è riuscito, il primo episodio della seconda stagione, ribalta le regole del gioco narrativo portandoci indietro nel tempo fino agli anni 60.

La storia ci avvolge nel clima retró di un romanzo dello Stephen King di Shining con una strizzata d'occhio all'esorcista originale. Senza fatica, ci trasporta in una disquisizione paranoide sul rapporto tra scienza e fede accompagnando le nostre domande con misteriosi quanto crudeli esperimenti "scientifici", volti a soddisfare il nostro desiderio morboso di violenza fisica e soprattutto psicologica.

In un tunnel emotivo in cui bene e male si confondono perdendo significato, la Clinica psichiatrica diventa il nuovo "non luogo del male" come lo era la casa della prima stagione, trasformandosi allo stesso tempo in una prigione della mente e dello spirito dalla quale l'unica via di fuga sono stati allucinatori più reali della "realtà" stessa.

Divincolandosi tra impulsi sessuali incontrollabili, fantasie assolutamente realistiche, oscuri segreti della scienza, dubbi e limiti della fede, si arriva ad una punta di science fiction attraverso rapimenti alieni di dubbia credibilità.

In un contesto, dove anche la propria ombra potrebbe non essere è ciò che appare, la potenza visiva delle immagini colpisce come uno schiaffo sul viso: un atto necessario per  risvegliarci dallo stato di delirio in cui la trama ci trasporta, tra rimandi ed apparenti contraddizioni sparse lungo l'asse della storia, per trascinarci con il fiato sospeso fino all'ultimo episodio senza darci il tempo per respirare

Il tono della serie cambia completamente assumendo un carattere meno delicato per vergere su una maggiore morbosità sessuale e un carattere più violento e quasi splatter di alcune sequenze.

Il montaggio resta il punto di forza di una storia che riesce nella difficile impresa, di mantenere lo spettatore a cavallo tra reale ed onirico, sbriciolando i confini percettivi in una perfetta composizione di stacchi ed ellissi che rendono il ritmo vivo e sempre accesso rivolgendosi a un pubblico diverso da quello della stagione precedente.

Ai nostri occhi, sembra che lo scopo della serie, sia quello di porsi come nuova antologia di uno dei generi più amati di sempre. Un contenitore di tematiche, ambientazioni ed atmosfere da preservare ai posteri come insegnamento sulle leggi del brivido.