Benvenuti a “Cucina un Pilot”: oggi vi aiuteremo a creare il vostro American horror story, prodotto seriale tipicamente americano (dopotutto il titolo non mente) in programmazione sulle reti italiane della Fox.

Andiamo adesso a prendere gli ingredienti basilari del format.

Per prima cosa selezioniamo e impastiamo alcuni elementi classici del family drama: lo psicologo Ben Harmon (un ingessato Dylan McDermott proveniente da The Practice la cui perenne espressione stupefatta stavolta si addice maggiormente al proprio personaggio) e la moglie Vivien (una Connie Britton sottotono rispetto a Friday Night Lights), in piena crisi matrimoniale (di più non diciamo per non svelarvi il ripieno) si trasferiscono a Los Angeles trascinandosi dietro la cinica, autolesionista e sociopatica figlia Violet (Taissa Farmiga).

Adesso che abbiamo la base, possiamo farcirla con il concept del culto anni ottanta di La Casa (Evil Dead) di Sam Raimi: una antica dimora, nel nostro caso vittoriana degli venti, dotata di una propria coscienza malvagia; popolata dagli spettri dei molti abitanti susseguitisi nel corso degli anni, tutti morti in maniera tragica e irrazionale, con eventi brutali e fuori dall’ordinario.

Decoriamo quindi il tutto con uno strato di personaggi bizzarri e ambigui che spesso eclissano i protagonisti con interpretazioni brillati e caratterizzazioni al limite della patologia mentale; mostrandosi capaci di catturarci e incuriosendoci a ogni gesto o frase contraddittoria lasciata cadere con, solo apparente, banalità.

Le curiose e inquietanti comprimarie della serie sono principalmente l’ambigua vicina di casa Costance (Jessica Lange è sempre Jessica Lange, con chiunque altra non ci sono paragoni) e la figlia Adelaide affetta da sindrome di down con la spiacevole abitudine di dare chiunque entri nella dimora per già spacciato e la fastidiosa abilità di riuscire sempre e comunque a trovare un modo per entrare in casa. In secondo piano troviamo la spettrale governante Moira O’Hara dalla duplice identità; il misterioso Tate Langdon, paziente adolescente di Ben ed amico di Violet, affetto da gravi turbe mentali e forse parte della casa stessa ed Infine, lo sconcertante ex proprietario dai sorrisi mefistofelici Larry Harvey: un simpatico pluriomicida sfigurato dallo stesso incendio in cui ha ucciso moglie e figlie posseduto da voci provenienti dalla casa stessa.

Guarniamo ambientazione e personaggi con i topoi del genere horror, comprese le frasi fatte ottime per attirare i nostalgici degli Ottanta, e i luoghi tipici dei moderni horror on the road: soffitte e sotterrai bui e puzzolenti in cui si annida il mostro e dove i personaggi scendono rigorosamente uno alla volta.

A questo punto, avremmo dovuto già aver cambiato canale ma qualcosa di marcio e subdolo striscia nella nostra mente incollandoci allo schermo. Dobbiamo osservare questa creatura di Frankenstein prendere vita grazie ai produttori Ryan Murphy e Brad Falchuk, rei di averci già regalato la solare e originale Glee. I due avrebbero potuto stupirci (come molte serie recenti hanno cercato, con scarso successo, di fare) con grandiosi effetti speciali, invece hanno scommesso ancora una volta sulla pura tecnica cinematografica per realizzare un prodotto che tiene per quaranta minuti lo spettatore in un clima di agitazione e paranoia dove l’orrore è solo suggerito e raramente visto.

La serie, dalle premesse banali, si regge su un montaggio atemporale con incubi a occhi aperti, distorsioni percettive ed ellissi narrative che ci obbligano a seguire ogni dialogo o dettaglio in grado di collocare nel tempo e lo spazio, gli avvenimenti apparentemente casuali che creano un’angosciante sensazione di straniamento portandoci per mano nell’orrore in cui si trasforma la vita dei protagonisti.

Ogni nuova sequenza ci confonde trasportandoci tra la realtà e gli incubi generati dalla casa, coinvolgendoci nell’evolversi degli eventi, stupendoci con semplici passaggi d’inquadratura in grado di gelare il sangue e un montaggio ritmico che rallenta volutamente facendoci pensare di essere ormai al sicuro, prima di tradirci con il giusto colpo di scena posto in equilibrio rispetto all’azione drammatica.

Sfruttando a pieno le potenzialità del montaggio, gli sceneggiatori allestiscono una girandola di rivelazioni che seppur prevedibile, ci costringe a recuperare una sensazione dimenticata legata alle ghost stories classiche; portandoci a sorridere quando ci rendiamo conto di stare mormorando ai protagonisti “Stai attenta non lo fare!” o “No! Non entrare li dentro!”

Tra invasioni di zombie (l’apprezzato Walking dead), vampiri romantici e melanconici (Vampire Diaries) e giovani lupi mannari al liceo (prossimamente in Italia la serie di MTV tratta dal cult anni ottanta Teen Wolf), sinceramente avevamo bisogno di una sana storia “fuori dal coro”  dotata di maggiore spessore psicologico rispetto a I fantasmi di Bedlam (o anche rispetto a Ghost whisperer che di stagione in stagione traghetta sempre di più dall’horror, se mai lo è stato, verso il family drama) in grado di stupirci con un prodotto curato e di ottima fattura in grado, speriamo, di scavarsi una buona nicchia di pubblico tra gli estimatori del genere horror e gli appassionati del fantastico.