In passato aveva avuto modo di leggere frammenti dell’Utopia Tèlleroan: tavole disegnate secoli addietro appartenenti alla scomparsa civiltà Tevlis. Suo nonno spesso le interpretava per il popolo facendo da oratore e gli aveva insegnato come leggerle e divulgarle. Etor non ricordava più chi avesse dipinto quelle tavole e perché, ma alcuni stralci del contenuto erano rimasti impressi nella sua mente come un marchio a fuoco sulla pelle del bestiame. Alcuni passaggi chiave li aveva fatti suoi crescendo, assimilandoli e vivendoli giorno per giorno, e uno di questi recitava: “Se la libertà è il primo valore imposto dagli dèi all’animo umano, la felicità deve esserne la diretta conseguenza, espressione tacita di tale realizzazione”.

E se non fosse stato davvero così, il mondo non avrebbe avuto alcun senso. Quindi per lui, al fine di ottenere una vita ricca e felice, sarebbe stato lecito, anzi doveroso, ambire al raggiungimento di quel traguardo.

Arcan guardò il cielo, dove nubi veloci cariche di pioggia si avvicinavano da oriente.

Un vento gelido soffiò dal mare, portando l’effluvio della salsedine a contatto con il puzzo del sangue e del sudore che impregnava le colline verdeggianti.

Ma un odore differente destò le narici di Etor: l’odore inconfondibile di un Gr’ravyen.

Il Margravio che l’eroe Tekrat aveva visto cadere poco prima, abbattuto dall’ascia di Arcan, si erse dal promontorio dietro al quale i due eroi Tèlleroan stavano discutendo. La sua armatura di piastre metalliche era cosparsa di vene cerulee, come se le stesse placche di ferro facessero parte di quell’organismo vivente; sulle spalle e dalle giunture dell’armatura spiccavano rostri appuntiti, e tra le mani enormi e putride e dalle unghie ricurve simili ad artigli il Gr’ravyen brandiva una mezza ferrata con due teste grosse come crani umani. Il volto del Margravio era una maschera amorfa di cera colante, e dalla sommità calva ruscellava sangue sgorgante da una ferita profonda.

L’unico segno di vita in quella figura spettrale erano i due puntini iridescenti che baluginavano al posto degli occhi.

Etor impugnò Inarra, ma non fece in tempo a lanciare l’allarme. Il Gr’ravyen aprì la bocca dai denti seghettati e lanciò il suo Grido di Lame.

L’onda d’urto investì Arcan in procinto di girarsi: centinaia di lame vennero scagliate a ventaglio con una velocità impressionante e lacerarono il suo corpo; labbra livide e sanguinolente si aprirono nelle carni del Tokrean, mentre fu scagliato a diversi passi di distanza.

Arcan non urlò. Etor, invece, lanciò il suo grido di battaglia, lasciandosi guidare dal sacro furore. Colmò la distanza che lo separava dal Margravio a grandi falcate.

Dal lato opposto comparvero alcuni Incursori Tokrean armati con archi e frecce.

Etor roteò Inarra e quando il Gr’ravyen gridò ancora il suo supplizio affilato, le lame furono attirate dalla spada sacra Tekrat. Non tutte. Lembi di vestiti e di corazza vennero scalfiti e il bruciore sulla carne fece comprendere a Etor che non sarebbe stato uno scontro facile.

Balzò sul Gr’ravyen calando un colpo discendente, scheggiando il pettorale d’armatura come se fosse una corteccia d’albero. Il Margravio barcollò appena: nonostante Etor fosse di robusta corporatura, il suo avversario era più alto di lui di tutta la testa e con un fisico più possente.

Etor scattò in un affondo che il Gr’ravyen deviò con il braccio protetto dall’armatura. Nonostante la mole e le placche di metallo che ricoprivano quasi interamente il suo corpo, il Margravio rispose alla svelta. Alzò la mazza ferrata e costrinse il Tèlleroan a indietreggiare per non essere investito dal mulinello di sfere.

La pattuglia Tokrean incoccò le frecce, pronta al tiro, ma il Gr’ravyen si accorse di loro. I due puntini iridescenti al posto degli occhi saettarono malefici e, prima che i quattro Incursori potessero scoccare i loro strali, il Grido di Lame si propagò impietoso trafiggendoli tutti.

La pattuglia Tokrean incoccò le frecce, pronta al tiro, ma il Gr’ravyen si accorse di loro. I due puntini iridescenti al posto degli occhi saettarono malefici e, prima che i quattro Incursori potessero scoccare i loro strali, il Grido di Lame si propagò impietoso trafiggendoli tutti.

Era così che i Gr’ravyen avevano sterminato migliaia di Tèlleroan in tutti gli anni della Guerra Eterna, ed Etor era consapevole che se molti di loro non fossero morti senza apparente motivo, non sarebbe stato l’esercito dei Nove Regni a trovarsi oggi davanti alla Fortezza Nera, in procinto di cantare vittoria.

Etor tornò alla carica. Si abbassò appena in tempo per evitare la catena della mazza ferrata che gli sfiorò i capelli e si gettò nello spazio, Inarra protesa in avanti.

Il Gr’ravyen fu abbastanza veloce da spostarsi di lato poco prima dell’affondo, ma nel ruotare la sua arma il colpo perse vigore e il peso delle due teste lo sbilanciò, facendolo cadere con un ginocchio a terra.