Ammetto di non poter scorgere chi alla fine tra Gr’ravyen e Tèlleroan prevarrà e se vi sarà un vincitore, perché ho da poco appreso, con mio profondo rimpianto, che giungerà presto il giorno in cui il mondo conosciuto come Ekhelon avrà fine: le Tre Sorelle invocheranno i Nagheloth, gli Angeli Neri, e quando i Cancellatori arriveranno, nulla avrà più importanza. Tutto ciò che esiste su Ekhelon sarà inghiottito dall’oblio. E il novero dei trionfi, alla fine di tutto, sarà vano quanto le colpe che li hanno generati”.

Dalla terza lettera del Guardiano Iosehl, in risposta al Presunto Resoconto di Verità su Ekhelon

PRELUDIO TÈLLEROAN

Ekhelon – Anno 777 del calendario Tèlleroan.

Isola Madre, Colline Placide.

Etor serrò la presa sull’impugnatura di Inarra, la spada sacra dei Tekrat. Piegò i gomiti e alzò le braccia, tenendo l’arma perpendicolare alle spalle contratte; il cuore palpitava irrequieto, il respiro in affanno, i muscoli dolenti per lo sfinimento della battaglia e in tensione per quell’ultimo gesto calibrato. Reclinò leggermente il collo, piantò gli stivali nel terreno erboso e con movimenti lenti, quasi impercettibili, assestò il baricentro.

Con gli occhi chiusi, i rumori provenienti dalle Valli Piangenti parvero per un momento amplificarsi: la cacofonia delle urla, il clangore del metallo che strideva sul metallo e il richiamo della carne trafitta.

Inspirò ed espirò un paio di volte, poi si lasciò cullare dall’oscurità: il buio conciliava la concentrazione e ampliava il suo istinto; gli permetteva di combinare i sensi in un’unica sfera di percezioni, d’isolarsi del tutto.

E il buio divenne silenzio.

Eluse così ogni contaminazione, bandì dalla sua mente qualsiasi immagine tranne la tenebra in cui era avvolto, lasciando che fossero gli altri sensi ad acuirsi e a fondersi al fine di colmare l’assenza della vista. Azzerò le sensazioni fuorvianti che lo circondavano, soprattutto il tanfo di morte che ammorbava la collina.

E il silenzio divenne tangibile.

Adesso erano finalmente soli, lui e il nemico in agguato. Etor fiutò l’aria alla ricerca di un indizio che tradisse la sua presenza: un lieve fruscio tra l’erba bassa, un piccolo spostamento d’aria, l’olezzo dell’urina o del suo afflato mefitico.

Percepì il vibrare di Inarra e della sua melodia tintinnante, potere infuso dall’emissario del Dio dei Mari, e riuscì a captare una goccia di sangue stillare dalla lama affilata e precipitare al suolo.

E all’improvviso, a meno di un passo da lui, un sibilo richiamò la sua attenzione.

Rimase fermo, immobile. Attese ancora… e giusto un attimo prima che la creatura sferrasse il suo attacco, scattò fulmineo e lasciò cadere le braccia in avanti. Inarra sferzò l’aria con un arco trasversale fino a impattare un corpo solido, mutilandolo.

Quando Etor riaprì gli occhi, vide la testa del Basilisco rotolare oltre i suoi piedi, il corpo del rettile fremere in uno spasmo ineluttabile. Calciò via la testa mozzata e la fece ruzzolare verso i pendii scoscesi davanti a lui.

Allora tornò a rimirare lo spettacolo in atto nelle Valli Piangenti, dove i contingenti uniti dei Nove Regni Tèlleroan fronteggiavano le ultime difese dei Gr’ravyen. Dalla cresta della collina poté osservare l’atto finale della battaglia.

La cavalleria Takloen avanzava indomita sulla destra affiancando i contrafforti collinari, dove i reparti d’arcieri Telverk attendevano in riposo l’esito di quella carica che avrebbe spazzato via la flebile resistenza nemica a ridosso delle grotte. Al centro della pianura, dove le valli si univano in un bacino verdeggiante, il grosso dell’esercito Gr’ravyen era ormai circondato, pungolato dai battaglioni di Fiancheggiatori Tavrek e incalzato dagli Assalitori Timuse che avevano dato inizio alla mischia finale. Sulla sinistra, gli Incursori Tokrean avevano sbaragliato gli arcieri nemici e stavano mandando allo sbando gli inservienti alle macchine da guerra. E dietro di loro avanzava la fanteria leggera Tealken, che presto avrebbe raggiunto i Fiancheggiatori e completato l’accerchiamento.

Sugli accessi alle Valli Piangenti, nel pendio sotto di lui, i campi ricchi di ginestre erano disseminati di cadaveri e lordati del sangue Tèlleroan; ma vi erano anche alcuni Gr’ravyen e parecchi dei loro asserviti: schiavi Okly e per lo più soldati Scaven, umanoidi e aberrazioni simili a uomini solo per il loro aspetto bipede.

Etor lasciò vagare lo sguardo oltre l’avvallamento dove si stava svolgendo il combattimento finale e rimase a fissare il Monte Pastaruun, cima anomala e nefanda, spiccante sulla catena montuosa che circondava l’orizzonte settentrionale come una corona di spine. Lassù, tra le pareti di basalto, si ergeva la Roccaforte delle Tre Sorelle, il nerbo di potere degli ultimi Gr’ravyen, quella che per tutti i Tèlleroan era semplicemente la Fortezza Nera.