Tu lo sai perché siete qui, vero? le sussurrò un soffio di voce dentro la testa. Clary si rendeva conto che non era reale, ma non bastava. Non rivedeva suo fratello dallo scontro al Burren, però lo portava dentro di sé in angolino della mente, un fantasma invadente e sgradito.

Per me. Avete sempre saputo che non me ne sarei andato per sempre. Vi avevo detto che cosa sarebbe accaduto. Ve lo avevo scandito.

Erchomai.

Sto arrivando.

Avevano raggiunto la biblioteca. dalla porta semiaperta usciva un’accozzaglia di voci. Jocelyn si fermò un istante, la faccia tirata.

Clary appoggiò la mano sul pomolo. — sei pronta? —

fino a quel momento non aveva notato l’abbigliamento di sua madre: jeans neri, stivali neri, dolcevita nero. Come se, senza nemmeno pensarci, avesse scelto quanto di più simile a una tenuta da combattimento.

Jocelyn annuì.

Qualcuno aveva spostato tutti i mobili, creando al centro della stanza un ampio spazio proprio sopra il mosaico con l’Angelo, su cui era stato collocato il massiccio tavolo formato da un’enorme lastra di marmo in equilibrio su due angeli di pietra inginocchiati. tutto attorno erano seduti i membri del Conclave. di alcuni, come nel caso di Kadir e Maryse, Clary conosceva il nome; altri erano soltanto volti familiari. Maryse, in piedi, spuntava sulle dita un nome di città dopo l’altro, declamandoli tutti a gran voce: — Berlino. Nessun sopravvissuto.

Bangkok. Nessun sopravvissuto. Mosca. Nessun sopravvissuto. Los Angeles…

— Los Angeles? — la interruppe Jocelyn. — Ma è dove stanno i Blackthorn. state dicendo che sono…

Maryse sembrò colta alla sprovvista, come se fino a quell’istante non si fosse accorta dell’arrivo di Jocelyn.

i suoi occhi azzurri si posarono solo un attimo su Luke e Clary. la donna aveva l’aria tesa, esausta, i capelli tirati all’indietro in una pettinatura austera; sulla manica della giacca sartoriale, una macchia. Vino rosso, o forse sangue. — Ci sono alcuni sopravvissuti. Bambini. Adesso si trovano a Idris.

— Helen — disse Alec, e Clary pensò alla ragazza che al Burren aveva lottato contro Sebastian insieme a loro.

Se la ricordava, nella navata dell’istituto, in compagnia di un ragazzino dai capelli scuri che le stava aggrappato al polso. «Mio fratello, Julian.»

— la ragazza di Aline — gli fece spontaneamente eco Clary, e notò che il Conclave le rivolse uno sguardo di malcelata ostilità. facevano sempre così, come se quello che lei era e rappresentava li rendesse quasi incapaci di vederla. La figlia di Valentine. La figlia di Valentine.

— Sta bene?

— Era a idris, con Aline — spiegò Maryse. — i suoi fratelli e sorelle minori sono sopravvissuti, ma sembra che ci sia stato un problema con il fratello maggiore, Mark. — un problema? — intervenne luke. — Che cosa sta succedendo esattamente, Maryse?

— Non credo conosceremo la vera storia finché non andremo a idris — rispose lei, lisciando all’indietro i capelli già lisci. — Ma ci sono stati degli attacchi, più attacchi nel giro di due notti, a sei istituti. Ancora non siamo sicuri di come abbiano fatto a introdursi al loro interno, ma sappiamo che…

— Sebastian — disse Jocelyn. teneva le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni neri, ma Clary sospettava che, se non fosse stato così, gliele avrebbe viste serrate a pugno. — Arriva al punto, Maryse. Mio figlio. Non mi avresti fatto venire qui se non fosse stato lui il responsabile. Mi sbaglio? — Gli occhi di Jocelyn incontrarono quelli di Maryse, e Clary si domandò se quella fosse la stessa situazione di quando le due donne erano entrambe membri del Circolo: gli spigoli aguzzi delle loro personalità che sfregavano l’uno contro l’altro, mandando scintille.

Prima che Maryse potesse rispondere, la porta si aprì e Jace entrò nella stanza. Era congestionato dal freddo, la testa scoperta, i capelli biondi scompigliati dal vento. Le mani, senza guanti, avevano le estremità arrossate e portavano segni di Marchi vecchi e nuovi. Vide Clary e le rivolse un rapido sorriso, poi si accomodò su una sedia accostata a una parete.

Luke, come suo solito, tentò di fare da mediatore. —

Maryse? È Sebastian il responsabile?

la donna trasse un respiro profondo. — Sì, è lui. e ha con sé gli ottenebrati.

— Certo che è lui! — esclamò Isabelle. Fino a quel momento aveva tenuto la testa bassa sul tavolo, ma adesso l’aveva rialzata. il suo viso era una maschera di odio e rabbia. — Aveva detto che stava arrivando ed eccolo qui, arrivato.