Jules si avvicinò di più a Emma, le prese una mano tra le sue e l’aiutò ad alzarsi. Emma avrebbe voluto fargli notare che stava benissimo e che poteva farcela anche da sola, ma lasciò correre. Capiva il bisogno di sentirsi occupati a fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di essere d’aiuto.

All’improvviso un altro grido si levò dal piano inferiore, seguito da uno schianto di vetri in frantumi. Emma attraversò di corsa la sala per raggiungere i gemelli, ancora immobili come statue. Livvy era cinerea in viso, Ty le stringeva la maglietta in una morsa letale.

— Andrà tutto bene — disse Jules, appoggiando una mano fra le scapole esili del fratello. — Di qualunque cosa si tratti...

— Tu non ne hai la minima idea — ribatté Ty, secco.

— Non puoi dire che andrà tutto bene. Perché non lo sai.

Seguì un altro suono. Peggiore di un grido. Fu un ululato terrificante, bestiale e malvagio. Lupi mannari? pensò Emma, sbalordita, ma le era già capitato di sentire i loro versi. E quello era qualcosa di molto più cupo e feroce.

Livvy si strinse contro la spalla di Ty. Lui sollevò il visino pallido, lo sguardo che lasciava Emma per posarsi su Julian.

— Se ci nascondiamo qui — e quella cosa ci trova e poi fa del male a nostra sorella, allora sarà colpa tua.

Il viso di Livvy era nascosto contro quello di Ty, che aveva parlato con voce calma, ma si capiva bene cosa intendesse dire. Nonostante l’intelligenza spaventosa, le stranezze e l’indifferenza per il resto del mondo, il ragazzino era inseparabile dalla gemella. Se Livvy era malata, Ty dormiva ai piedi del suo letto; se si procurava un graffio, lui andava in panico. E la cosa era reciproca.

Emma vide espressioni contrastanti rincorrersi sul viso di Julian. L’amico la cercò con gli occhi, lei annuì senza esitare. L’idea di rimanere lì dentro in attesa che la misteriosa fonte di quel suono andasse a prenderli tutti la faceva sentire come se la pelle le si stesse staccando dalle ossa.

Julian attraversò deciso la stanza e tornò portando con sé una balestra ricurva e due pugnali. — Ty, ora devi lasciare Livvy — disse, e un secondo dopo i gemelli si separarono. Jules passò a Livvy uno dei pugnali e porse l’altro a Tiberius, che lo fissò come se fosse un oggetto alieno.

— Ty — gli disse Jules, riabbassando la mano. — Perché tenevi le api in camera tua? Cos’hanno che ti piace?

Nessuna risposta.

— Ti piace il fatto che collaborino tra loro, giusto? —

proseguì Julian. — Bene, ora anche noi dobbiamo collaborare. Dobbiamo raggiungere l’ufficio e chiamare il Conclave, okay? Una chiamata d’emergenza. Perché mandino rinforzi in nostro aiuto.

Con un breve cenno, Ty tese la mano per accettare il pugnale. — È quello che avrei suggerito anch’io, se Mark e Katerina mi avessero dato ascolto.

— Lui l’avrebbe fatto — disse Livvy. Aveva preso l’arma con più sicurezza rispetto a Ty, e la stringeva come se sapesse bene cosa farne. — Era quello a cui stava pensando.

— Ora dobbiamo fare molto piano — riprese Jules. —

Voi due mi seguirete nell’ufficio. — Alzò gli occhi, e il suo sguardo incontrò quello di Emma. — Emma ora va a prendere Tavvy e Dru, poi ci incontriamo lì. Tutto chiaro?

Il cuore di Emma fece un tuffo, cadendo in picchiata come un uccello marino. Octavius —detto Tavvy, due anni appena. E Dru, otto, ancora troppo giovane per iniziare l’addestramento fisico. Era ovvio che qualcuno dovesse andarli a recuperare. E gli occhi di Jules erano supplicanti.

— Sì — disse. — È esattamente quello che sto per fare.

Emma teneva Cortana assicurata alla schiena e aveva in mano un coltello da lancio. Aveva quasi l’impressione di poter sentire il metallo che le pulsava attraverso le vene come un battito cardiaco mentre, spalle al muro, scivolava lungo il corridoio dell’Istituto. Di tanto in tanto nelle pareti si aprivano delle finestre, e la vista dell’oceano azzurro e delle montagne verdi sormontate da nuvole candide la traeva in inganno. Pensò ai suoi genitori, da qualche parte in spiaggia, completamente ignari di cosa stesse succedendo dentro l’Istituto. Avrebbe voluto averli lì con sé, ma allo stesso tempo era felice che non ci fossero. Almeno così erano al sicuro.