Così però la testa costellata di ciuffi ribelli spiccava ancora di più. Helen, la sorella maggiore, cercava sempre di domargli la chioma a colpi di spazzola, ma senza ottenere mai un risultato decente. Julian aveva i capelli tipici dei Blackthorn, proprio come suo padre e la maggior parte dei fratelli: ispidi, selvaggi, color cioccolato fondente. Quel tratto comune aveva sempre affascinato Emma, che invece aveva preso molto poco dai genitori, a parte i capelli biondi di suo padre.

Da qualche mese Helen si era trasferita a Idris insieme alla sua ragazza, Aline; si erano scambiate gli anelli di famiglia e, secondo i genitori di Emma, avevano “intenzioni serie” — in altre parole, non facevano che scambiarsi sguardi svenevoli. Emma era sicura che, se mai si fosse innamorata, non si sarebbe sdilinquita tanto.

Sapeva che qualcuno aveva avuto da ridire sul fatto che Helen e Aline fossero entrambe femmine, ma non riusciva a capire perché, e comunque ai Blackthorn Aline piaceva molto. Era una presenza rassicurante, che aiutava Helen a non preoccuparsi troppo.

In assenza di Helen, nessuno stava facendo manutenzione ai capelli di Jules, e la luce del sole che entrava dalle vetrate gli accendeva d’oro le punte ispide. Attraverso la parete orientale, la linea ondulata delle montagne separava l’oceano dalla San Fernando Valley: colline aride e polverose crivellate da canyon, cactus e cespugli spinosi.

A volte gli Shadowhunters si allenavano all’aperto, ed Emma adorava quei momenti, in cui poteva scovare sentieri nascosti, cascate segrete e lucertole sonnacchiose che riposavano sulle rocce. Julian era un maestro nel convincere i piccoli rettili a raggomitolarsi sul suo palmo e a farli addormentare accarezzandoli con il pollice sulla testa.

— Attenzione!

Emma si abbassò mentre un coltello dalla punta in legno le sibilava accanto, rimbalzava contro la finestra e poi colpiva Mark sulla gamba. Il ragazzo sbatté il libro a terra e balzò in piedi con aria scocciata. In teoria Mark doveva fare da secondo a Katerina, ma di fatto preferiva leggere che insegnare.

— Tiberius, non lanciarmi addosso i coltelli.

— Guarda che non ha fatto apposta! — Livvy si mise fra Mark e il suo gemello. Tiberius era moro quanto Mark era biondo, ed era l’unico fra i Blackthorn (a parte Mark e Helen, che però erano un’eccezione per via del loro sangue di Nascosto) a non avere i capelli color cioccolato e gli occhi verde-azzurro tipici della famiglia. Ty sfoggiava una chioma nera e riccia, gli occhi grigi come il ferro.

— No, non è vero — precisò Ty. — Stavo proprio mirando a te.

Mark sospirò, enfatico, e si passò le mani fra i capelli, gesto che li fece rizzare come gli aculei di un riccio. Aveva gli occhi dei Blackthorn, color verderame, ma i capelli erano biondo platino, gli stessi della madre. Si mormorava che la donna fosse una principessa della Corte Seelie e che dalla sua storia con Andrew Blackthorn fossero nati due figli, abbandonati sulla soglia dell’Istituto la notte prima di scomparire per sempre.

Il padre di Julian aveva accolto quei figli con metà sangue di fata e li aveva cresciuti come Shadowhunters. In fondo era quella la componente dominante del loro essere e il Consiglio, per quanto controvoglia, doveva ammettere i figli di Nascosti nel Conclave, purché la loro pelle tollerasse le rune. Sia Helen che Mark le avevano ricevute per la prima volta a dieci anni, e la pelle aveva reagito alla perfezione, benché Emma fosse certa che Mark avesse sofferto più di uno Shadowhunter qualsiasi. L’aveva visto trasalire, nonostante gli sforzi per trattenersi, quando lo stilo gli era stato appoggiato alla cute. In seguito aveva notato molte altre cose di lui: quanto fosse affascinante la strana forma del suo viso, influenzata dal sangue di fata, e quanto larghe le spalle sotto il tessuto della maglietta.

In realtà non capiva perché la colpissero tanto parti-colari del genere, e il fatto che succedesse non le andava affatto a genio. Anzi, le faceva venire voglia di schiaffeggiare Mark, oppure di nascondersi, e spesso le due cose insieme.

— Stai fissando... — disse Julian, inginocchiato nella tenuta da allenamento chiazzata di vernice.

Lei si scosse. — Fissando cosa?

— Mark. Di nuovo. — Sembrava infastidito.

— Sssh! — gli sibilò sottovoce strappandogli di mano lo stilo. Lui se lo riprese, e ne nacque una zuffa. Emma ridacchiò, rotolando via da Julian. Si allenavano insieme da così tanto tempo che era in grado di prevedere ogni sua mossa prima ancora che lui la pensasse. L’unico problema era che le veniva spontaneo andarci piano, troppo piano con lui. Il pensiero che qualcuno potesse fargli del male la mandava in bestia, e a volte quel qualcuno includeva anche se stessa.