Leris

Leris, la capitale delle Pianure del Sole, un tempo era stata teatro di una sanguinosa battaglia. Ne conservava memoria nelle poderose fortificazioni che la circondavano, mura di solida pietra che ne tracciavano il perimetro uniforme e regolare.

La città era accessibile attraverso un’unica porta, sormontata da alti torrioni di difesa, così come il palazzo reale, ora sede del Reggente, somigliava più a una roccaforte che a una residenza nobiliare. Gli Allereth, che in tempi remoti avevano detenuto il trono delle Pianure, l’avevano voluta inespugnabile, quasi del tutto priva di finestre verso l’esterno, pronta per una difesa strenua nel caso che la battaglia si fosse spinta fin nel cuore della città. L’unico orpello consisteva nei bassorilievi incisi nella pietra, narranti le gesta di antichi sovrani, che ornavano la facciata antistante la piazza.

Quelle mura colossali, divenute il simbolo della città, non erano state in grado di salvare la stirpe degli Allereth dall’unica minaccia che realmente incombeva su di loro: il tradimento, che si era insinuato all’interno di quelle difese perfette e aveva distrutto per sempre una delle stirpi più antiche delle Terre.

I secoli avevano sepolto quella storia remota, l’oblio ne aveva lentamente cancellato i particolari, e solo la facciata del palazzo, con la sua teoria di bassorilievi improvvisamente interrotta, ne serbava il ricordo.

Ora Leris si trovava sotto il dominio di un Reggente, Herebon, già di mezza età e senza figli. Il suo governo durava da sedici anni, dei quali tre lustri erano trascorsi nella quiete più assoluta. L’ultimo anno, invece, aveva pagato per tutti.

Governare le Pianure, fino ad allora, era consistito principalmente nel regolare traffici commerciali, occuparsi dell’agricoltura, fare in modo che le varie città potessero contare su strade in buono stato, ma da quando le nebbie avevano invaso la regione, travalicando il confine naturale entro cui si erano sempre contenute, si era scatenato l’inferno. Gli appelli a Palàistra non avevano sortito alcun effetto, nonostante le rassicurazioni del Supremo e le garanzie sul fatto che un gruppo di maghi naturali fosse all’opera per contrastare gli incanti.

Leris, fra tutte le capitali delle Terre, era quella più isolata, posta nell’estremo oriente delle Pianure, ed era sempre stata legata in modo marginale alle vicende delle altre regioni. Isolata a Nord dal Baratro, a est dalle nebbie, a sud e ovest dalle pendici della foresta di Karil, aveva come unico accesso la via verso Cadret, ma non era certo il più piccolo borgo delle Terre.

In mancanza dell’azione promessa dal Supremo, Herebon aveva disposto l’esercito a difesa dei traffici commerciali, i più colpiti dagli incanti celati nella nebbia, creando scorte armate per la protezione dei mercanti, ma non era bastato. Nate dalla magia dei vapori, bande di predoni avevano devastato i villaggi, creature infernali avevano sterminato carovane, e da ultimo, un’intera città era stata rasa al suolo in una sola notte da una delle malie prodotte da quel nemico impalpabile.

Herebon aveva mandato a Palàistra nuovi appelli, sempre più disperati e inascoltati, e nel frattempo aveva tentato di mantenere il stabile più possibile la situazione, spingendo affinché il commercio, su cui si basava la vita stessa delle Pianure, non subisse un completo arresto.

Fingere che tutto fosse a posto, tuttavia, era sempre più difficile, soprattutto da quando le nebbie, con tutti i loro oscuri segreti, avevano circondato anche Leris.

Herebon, però, non era tipo da avere incertezze o da ricorrere a mezze misure. Di conseguenza, quando carovane particolarmente importanti riuscivano a raggiungere la città, si prodigava nell’accogliere di persona i mercanti, offrendo loro un posto alla propria mensa. Era il sistema migliore per diffondere l’idea che a Leris tutto andasse bene, ma anche per informarsi direttamente su quanto avveniva nelle Terre, senza far nascere l’inquietudine che sarebbe derivata da una convocazione a palazzo.

Quella sera, dunque, Herebon aveva in programma un banchetto con diversi ospiti provenienti dal Sud, ed era molto ansioso di incontrarli perché sperava d’avere notizie su Cadret, la città andata distrutta poche settimane prima. Gli era giunta voce che gli abitanti superstiti erano riusciti ugualmente a dar vita al mercato annuale della città, e sperava di poterne sapere di più.

Mancava poco più di un’ora alla cena ed Herebon, nella propria stanza, stava provando una serie di domande davanti allo specchio, studiando tono ed espressione per non tradire la propria ansia e apparire gioviale. Per quanto si sentisse sciocco, aveva appurato che il metodo funzionava, trasformandolo da diplomatico a teatrante, in una situazione che ormai gli pareva farsesca.

Doveva solo dimenticarsi di tutto il resto, dei morti, delle nebbie, della povertà che ormai stendeva la sua ombra scura sul popolo delle Pianure, e recitare la parte del Reggente sereno. In tutto e per tutto, su di lui gravava la responsabilità di un’intera regione e non poteva permettersi di mostrare cedimenti, né di far pesare su alcuno le proprie apprensioni, se non voleva che il panico si diffondesse al di fuori dalle mura. Sperava solo che Cadret ce l’avesse fatta, che quel mercato, simbolo della potenza economica delle Pianure, avesse avuto luogo. Si sarebbe sentito meno solo nel suo ruolo, gli sarebbe bastato come segno che tutti i suoi sforzi avevano avuto uno scopo.

Quando bussarono alla porta, interrompendo le sue prove, ebbe un sussulto che tradì il suo nervosismo. Non era pronto per affrontare gli ospiti con tanto anticipo.

– Due persone vi chiedono urgente udienza, signore – disse il servo, con un inchino deferente.

– E non possono attendere la cena? – rispose il reggente, seccato.

Vide che il servitore indugiava.

– Non sono fra gli invitati. Uno dice di appartenere alla famiglia Udkils.

Herebon gli rivolse tutta la sua attenzione. Conosceva bene quel nome, era quello della casa regnante delle Colline. Che cosa ci faceva laggiù, dalla parte opposta delle Terre? Perché un rampollo dell’ultima famiglia reale aveva attraversato le nebbie per arrivare fino a Leris? Decise che si doveva trattare di un impostore, ma accettò di incontrarlo, almeno per capire chi fosse, e lo ricevette in una saletta attigua ai suoi appartamenti, sperando che la faccenda non gli rubasse troppo tempo e non lo facesse arrivare in ritardo alla cena.

Pochi istanti dopo, nell’accogliente stanza, illuminata dal riverbero delle candele e del camino acceso, i postulanti furono introdotti dallo stesso domestico.

Herebon li studiò incuriosito. Si trattava di un uomo e di una donna, entrambi dall’espressione seria. L’uomo portava capelli biondi lunghi alla spalla, raccolti da un laccio di cuoio, un velo di barba chiara gli copriva le gote, mettendone in evidenza i lineamenti virili. Gli occhi erano chiari, e la luce dorata delle candele li rendeva simili a pozzi d’acqua profondi.

Herebon riconobbe quei tratti. L’uomo che aveva davanti somigliava in maniera incredibile a Leah Udkils, sovrano delle Colline, che Herebon aveva avuto modo di conoscere molti anni prima. La somiglianza, gli abiti eleganti che si intravedevano sotto il mantello e la preziosa spada che gli pendeva dal fianco, segno che l’uomo doveva essere cavaliere e nobile, bastarono a convincerlo che non avesse mentito, che fosse realmente un membro della famiglia reale.

Il reggente spostò lo sguardo sulla donna che, durante il suo breve esame al compagno, si era levata la cappa, e rimase colpito dalla sensazione che anche lei gli fosse nota. C’era qualcosa negli occhi scuri, nei tratti delicati del viso, che gli era familiare. Era bella, di una bellezza non chiassosa, ma estremamente fine. I sottili capelli neri le scendevano come un manto fino alla vita, la veste di velluto purpureo sottolineava la figura snella e longilinea. Anche nei tratti del viso c’era un che di noto, ma non riuscì a identificarlo.

Herebon era abituato a registrare in fretta ogni particolare di coloro che incontrava, e il rapido esame a cui aveva sottoposto i due si fermò a un oggetto che entrambi portavano con sé, un medaglione di metallo lucente appeso a una catena sottile.

Aggrottò la fronte. Mandatari di Palàistra.

Il Supremo aveva dunque risposto al suo appello mandando un cavaliere e una dama? Si trattava di una presa in giro, di un metodo goffo per blandirlo? Non sapeva se essere più deluso o irritato.

– Non mi aspettavo una vostra visita. Ho giusto ieri ricevuto una missiva da Coridia da parte di un vostro uomo e, dato il contenuto della lettera, pensavo foste laggiù. E sinceramente non ho molto da dirvi, che non sappiate già. – L’irritazione, decise, era la reazione più indicata.

Il cavaliere si inchinò leggermente. – In effetti ci stiamo dirigendo a Coridia, signore, ma una questione di estrema urgenza ci ha costretti a disturbarvi. Non vi ruberemo molto tempo.

Herebon fece un cenno poco cordiale per invitarli a sedere a un piccolo tavolo circondato da scranni. I pochi passi che mosse nella stanza mostrarono, con suo dispiacere l’andatura lievemente claudicante. Non voleva che quei due, comparsi dal nulla con il loro atteggiamento spavaldo, lo considerassero un vecchio indebolito dagli acciacchi.

– Di solito gradisco sapere con chi ho a che fare – cominciò gelido. – O dovrei farmi bastare il sigillo del Mandato?

Il cavaliere scambiò con la donna uno strano sguardo, che Herebon non riuscì a interpretare.

– Avete ragione, scusateci. Ho preso l’abitudine di presentarmi come Udkils soltanto. Il mio nome è Nimeon, e la dama che mi accompagna è la Magistra Ester, Consigliere di Palàistra e mia moglie.

Herebon ebbe un brivido. Forse sarebbe stato meglio non sapere. Quelle poche informazioni lo stavano infatti costringendo a riflettere molto in fretta. L’erede al trono delle Colline era l’unico che potesse fregiarsi del solo cognome, quindi l’uomo che aveva davanti non era un parente qualsiasi, ma il primogenito del re. Quanto alla Magistra, la situazione era anche più spinosa: doveva esserci sotto qualcosa, dato che il Consiglio non aveva mai ammesso donne. Sentì la gola improvvisamente riarsa. Moglie del principe, per di più. Il Supremo doveva essere impazzito a mandare quei due allo sbaraglio nelle nebbie.

– Vi sentite bene? – chiese la donna, con gentilezza.

– Certo… solo mi avete colto di sorpresa. Spero che abbiate una scorta armata, per girare da queste parti. I predoni in questa zona sono particolarmente feroci.

Altra occhiata indecifrabile tra i due.

– Non abbiamo bisogno di scorta, signore. Ci proteggiamo con la magia. E comunque non dovete temere, presto tutte le Pianure saranno libere dall’incanto delle nebbie – disse la donna.

– Ho già sentito queste parole molti mesi fa, prima che la nebbia distruggesse due intere città! – rispose d’impulso Herebon. – Spero che abbiate portato con voi i maghi promessi dal Supremo!

Ester chinò il capo arrossendo leggermente. – Non siamo qui per sciogliere le nebbie, ma per controllare se su di voi è stato apposto un incanto. Ci vorranno pochi minuti, se ci permettete di accertarcene.

– Magie su di me? È impossibile. Non è passato nessun mago, da queste parti, chi potrebbe aver fatto una cosa simile? Ma poi… perché?

Herebon era stato colto di sorpresa da quella strana richiesta, ma si accorse della difficoltà dei due nel dargli motivazioni.

– Sono stati colpiti i reggenti di molte regioni – rispose il cavaliere. – Si tratta di incanti mortali, ma soltanto dopo la loro attivazione.

Non possiamo sapere se su di voi è presente l’incantesimo, a meno che non vi lasciate esaminare da Magistra Ester.

Herebon squadrò la donna. – Esaminare… come?

Lei ricambiò lo sguardo, intimidita. – Con la magia, signore. Sono una maga naturale. Mi basteranno pochi minuti, se non troverò alcun incanto. Se invece ci fosse, dovrò scioglierlo, ma non mi ci vorrà molto nemmeno per questo, visto che è ancora inattivo.

Il tempo, pensò Herebon. Il tempo. Gli sembrava che gli eventi si muovessero improvvisamente a una velocità troppo elevata perché lui riuscisse a starvi dietro, o anche solo a pensare, a capire che cosa stava succedendo.

– Ho bisogno di riflettere, prima di accettare. Ci sono troppe domande senza risposta.

La maga sospirò. – Nemmeno il Mandato è sufficiente per farvi fidare di me – disse, come seguendo il filo dei propri pensieri.

Herebon d’un tratto fu colto da una folgorazione, che cancellò tutti gli altri pensieri. Ora sapeva chi era quella donna, e perché gli era così familiare il suo viso.

– Voi siete l’Emissaria! – esclamò, afferrandole un polso.

Ora tutto cominciava ad avere senso. Herebon ricordava la ragazzina che aveva attraversato le Terre per scongiurare la rivolta dei maghi Ileroc e Galadiol, la giovane maga apprendista che aveva salvato le Terre. L’unica donna fra i maghi naturali. Era logico, adesso, il motivo per cui rivestiva il Mandato di Palàistra.

Per un istante gli occhi scuri di lei lo fissarono quasi con tristezza, poi si abbassarono. – Sì – disse solo.

Herebon le lasciò andare il polso, ma trattenne la sua mano. – Sono passati molti anni – mormorò, quasi fra sé. – Ho già fatto una volta l’errore di non fidarmi di voi. Non lo ripeterò – le sorrise. – È l’operato di Palàistra che mi lascia perplesso.

Ester si alzò e si pose di fronte all’uomo, tendendo le mani verso di lui. Herebon avvertì uno strano formicolio, quando dai palmi della donna uscì un bagliore azzurrino che gli si riversò sulla sua pelle come un fluido lucente, accarezzandolo. La sensazione non era sgradevole, e dopo un primo attimo di sorpresa Herebon cominciò a rilassarsi.

Tenendo le mani a pochi centimetri da lui, senza mai sfiorarlo, la maga le mosse lentamente nell’aria, seguendo il suo profilo. Era strano, trovarsi in quella situazione. Il volto di lei era concentrato, Herebon si accorse che lo guardava senza vederlo. Dopo un tempo indefinibile, la donna fece un passo indietro, richiamando in sé la magia. Il reggente avvertì una sensazione di gelo, quando il fluido ceruleo scomparve.

– Nessun incanto – decretò lei, alla fine. – Siete stato fortunato. Quanto all’operato di Palàistra, dovete credermi, non poteva essere migliore. La situazione questa volta è molto critica.

– L’avevo intuito – annuì Herebon. – La missiva inviata dal cavaliere Gheladion non lasciava spazio a molte speranze. Sapete già che le Creature d’acqua sono pronte ad attaccare?

– Abbiamo chiesto noi a Ghel di informarvi. Il governatore di Coridia ha sottovalutato l’ultimatum degli Acquatici. invece, è necessaria una massiccia evacuazione dalle coste, ma anche come Mandatari noi non abbiamo potere fino a questo punto. La decisione spetta a voi soltanto – rispose Nimeon.

Herebon si alzò, zoppicando, e da dietro un pannello che nascondeva uno scaffale prese una caraffa e alcuni calici. Versò per sé e per i due ospiti un liquido bruno, il vino delle Pianure di cui era sempre andato tanto fiero. Cominciava a chiedersi se ci sarebbero state altre annate, dopo quell’ultima. – Governo questa terra da molti anni – cominciò, in tono assorto, – e devo dirvi che non ho mai avuto paura quanta ne ho ora. So che non siete tenuti a darmi spiegazioni, ma vorrei sapere che cosa sta accadendo.

I due mandatari si consultarono con un muto sguardo. Herebon conosceva i metodi di Palàistra… per una cosa detta, ne venivano taciute dieci. L’improvvisa ostilità degli Acquatici doveva essere solo la punta di un iceberg. Stava succedendo qualcosa di terribile, se lo sentiva.

Fu la Magistra a parlare per prima. – Gli Acquatici non sono i soli a metterci in difficoltà. A Coridia, forse il cavaliere Gheladion ve lo ha scritto, è ospite l’ambasciatore dei regni di Fuoco, bloccato lì da problemi di salute. A Ghidara, invece, è presente una delegazione dei regni d’Aria. Tutti i popoli esterni ci minacciano. Stiamo cercando di capire il legame tra queste delegazioni e la serie di incanti che ha colpito dall’interno le Terre.

– Conoscete il nome del responsabile?

Ester si incupì. Le lunghe ciglia scure si abbassarono, gettando un’ombra sulle gote chiarissime. – Forse. Si tratta di uno dei maghi naturali. Dell’uomo trovato affogato a Coridia. È l’unico che ha avuto contatti con i reggenti colpiti dalla magia e… adesso che sappiamo che non è mai arrivato qui…

Herebon fu colto da una forte simpatia per la donna. Sapeva bene a quali avventure aveva già partecipato, pur essendo ancora tanto giovane, e ora vederla presa da tanta sofferenza gli faceva male. – Lo conoscevate bene?

Lei alzò le spalle. – Non abbastanza, temo.

Ma si fidava di lui, pensò il reggente. L’Emissaria. In tutti quegli anni quante volte aveva ripensato a lei? Tante, forse troppe, nel mondo dei se che nelle notti lo tormentavano. Se l’avesse ascoltata, allora, quanta gente si sarebbe salvata dalla furia dei due maghi? – Non è sempre facile capire la vera natura delle persone, mia signora. – Fece una pausa. – Quanti regni sono stati colpiti da quella magia? – domandò.

– Ester è riuscita a salvare Tredor di Edra, ma l’incanto è arrivato a compimento sul reggente di Terre Verdi e… sul re delle Colline. – Nimeon aveva palato con tono neutro, come se stesse facendo un riepilogo ripetuto infinite volte nella mente.

Herebon sussultò.

– Il re delle Colline è vostro padre! – esclamò. – Non abbiamo saputo nulla di tutto questo.

– La sua scomparsa è recente. Non ne è stata data comunicazione, se non a Palàistra, quando mi hanno affidato il Mandato.

Herebon stava bevendo un sorso di vino che gli andò di traverso. – Il Supremo è un pazzo! – tossì. – Come può avere affidato l’incarico del Mandato a voi? Voi… siete re!

– Il Supremo sa quello che fa – rispose pacata Ester. Se c’era una persona in cui aveva fiducia, oltre a suo marito, era Van, suo amico da lunga data e da poco divenuto Supremo.

Herebon poggiò i gomiti sul tavolino, fissando a turno lei e Nimeon.

– Forse siete pazzi anche voi. Solo dei pazzi avrebbero accettato un incarico come il Mandato, se la situazione è quella che mi sto figurando io.

– Non abbiamo avuto molta scelta, a dire il vero. Siamo soltanto stati riconvocati. Avrete saputo che pochi mesi fa le Terre hanno subito un grave attacco, fino a Palàistra.

Quello che aveva sempre colpito Ester di suo marito era la capacità di mantenere la calma anche nei momenti più difficili. Aveva una naturale predisposizione per la diplomazia. Sarebbe stato un ottimo giocatore di poker.

Anche Herebon doveva pensarla come lei, perché nonostante tutto, celò un mezzo sorriso. – Qualche notizia è arrivata fin qui, in effetti. La morte del precedente Supremo, per mano di un mago, quella di re Pentiath e di suo figlio Parmek, la strage dei maghi naturali… sempre voi, immischiati in quella faccenda?

Detto con quel tono canzonatorio, anche alla maga parve abbastanza buffo. Ovunque spuntavano dei guai, arrivavano loro. O era il contrario?

Ester non vedeva l’ora di trovarsi sola con Nimeon, per poter parlare liberamente. Il fatto che Herebon non avesse alcun incanto legato alla sua persona era una prova della colpevolezza di Oriol. Per quanto le facesse male ammetterlo, il mago albino, che lei aveva considerato un amico, li aveva traditi. Dove era passato lui, avevano trovato i semen aurei, le magie letali che avevano mietuto come prima vittima il padre di Nimeon.

C’era ancora da capire perché lo avesse fatto, e perché fosse morto molto lontano da Leris, dove loro stessi lo avevano inviato, ironia della sorte, per assicurarsi che il reggente non fosse legato alla magia. Secondo quanto aveva detto Herebon, Oriol non era mai arrivato a Leris. Qualcuno lo aveva ucciso prima che potesse completare il suo piano. Ma chi e per quale motivo rimaneva un mistero.

Ester si era estraniata dal dialogo tra Nimeon e il Reggente, che si erano messi a discutere dell’incoronazione non ancora avvenuta. La sua mente era presa dal pensiero di Oriol, dalla ormai innegabile prova della sua colpevolezza. Dunque chi lo aveva ucciso era da considerarsi un loro alleato e non un nemico, qualcuno che aveva protetto meglio di loro i reggenti ancora illesi.

Le ci volle qualche istante per accorgersi che nella stanza era calato il silenzio e che Nimeon e Herebon la stavano guardando. – Scusate. Stavo solo pensando – si giustificò.

– Avremo una missiva da portare a Coridia – le ripeté Nimeon, divertito. – Potremo far evacuare le coste.

– Ottimo. Ripartiremo stasera stessa.

– Abbiamo già detto anche questo, Ester – riprese il cavaliere, con fare sempre più canzonatorio. – Veramente il Reggente ha appena chiesto un colloquio privato con te, e ho acconsentito. Sta aspettando che tu accetti.

La maga, che non aveva sentito proprio nulla, si affrettò ad assentire, un poco confusa.

Nimeon lasciò la stanza, non senza averle posato un veloce bacio sulla mano. La donna non riusciva a capire che cosa fosse successo, nei pochi secondi in cui si era distratta. Che accidenti si erano detti, quei due?

Herebon versò un altro calice di vino e lo porse alla maga, mettendoci giusto il tempo che impiegò il cavaliere a chiudersi la porta alle spalle.

– Perdonate se vi sembro indelicato, ma vostro marito mi è sembrato piuttosto felice di permettermi questo colloquio.

Ester assaggiò un sorso di vino, rimanendo stupita per quanto era dolce. – Perdonate me, ma non vi stavo ascoltando. Di che cosa mi volete parlare, che Nimeon non può sentire? Non capisco.

– Di una vecchia storia, mia signora – rispose il reggente, rigirando lentamente la propria coppa fra le dita. – Forse per voi non ha più importanza, ma per me ne ha molta.

Ester non riusciva a capire.

– Vorrei scusarmi per non avervi ascoltata, quando arrivaste a Leris come Emissaria. Fu il più grave errore del mio governo. La mia leggerezza causò molte morti, quando Galadiol tentò di prendere Glamidia e non sarebbe successo, se avessi provveduto ad assecondare le vostre richieste.

La Magistra non seppe cosa rispondere. Negli anni, aveva incontrato quasi tutti i regnanti a cui si era rivolta per ordine della maga di Terreverdi, ma nessuno di loro si era mai scusato con lei. – È una storia vecchia, come avete detto – rispose, confusa. – Ma vi ringrazio.

– Siete la regina delle Colline d’Oro, adesso. E una dei Consiglieri di Palàistra. Dovevo immaginare che l’Emissaria ci avrebbe stupiti ancora.

– Non sono regina, signore. Come Nimeon vi ha spiegato, per ora siamo soltanto i depositari del Mandato, non sappiamo se e quando potremo rientrare a Ghidara.

Ester si morse la lingua. Aveva detto più di quanto avesse voluto, con quel “se”. Alla capitale delle Colline li aspettava tutt’altro che un benvenuto. C’era Areia, la Feiiria, che aspettava il ritorno di Nimeon e di lui soltanto. Il matrimonio avvenuto tra loro oltre la Torre poteva significare guerra, da parte delle creature d’Aria.

Herebon aveva un’espressione strana nello sguardo. Sembrava assorto.

– C’è una vecchia leggenda, che voi mi avete fatto tornare alla mente. Vorrei raccontarvela.

Alla parola leggenda, la maga rabbrividì. L’ultima volta che qualcuno le aveva raccontato una leggenda erano cominciati tutti i suoi guai.

– Spero non ci siano spade – si lasciò sfuggire.

Herebon rise. – Una c’è, per la verità, ma non è la protagonista della storia. Come sapete, le Pianure furono le prime a passare dal regno alla reggenza, si dice fin dall’epoca del Baratro.

Ester si mise in allerta. Sapeva molto bene che il Baratro era stato originato dalla magia che aveva portato nelle Terre il passaggio per il suo mondo. Anche la leggenda degli Udkils partiva da lì. Possibile che anche a Leris ci fossero testimonianze sulla Torre? Poteva essere, visto che era la città più vicina.

– Si dice – continuò Herebon – che sulla città di Leris gravi una maledizione, e che nessun reggente abbia mai potuto generare una dinastia a causa di essa. Una maledizione dovuta al tradimento che colpì gli Allereth e causò la fine della stirpe.

– Spesso si trasforma in leggenda qualcosa che accade per caso – tentò Ester.

Herebon scosse il capo. – Si racconta che una parente degli Allereth, scoperti in sé i poteri della magia naturale, utilizzò gli incanti per arrivare a governare le Pianure, e che la foresta di Karil prenda proprio nome dalla città dove questa donna malvagia viveva, città che al termine della guerra la magia inghiottì nel verde, celandone gli ultimi resti.

Ester lo guardò in tralice. – Vi ricordo quella maga malvagia?

– Assolutamente no! – rise il reggente. – C’è un’altra donna, in questa leggenda. Una fanciulla che scampò al massacro degli Allereth, che combatté la maga cattiva, anzi, che la sconfisse, facendo proprio come voi: si rivolse a Palàistra, insistendo finché non fu ascoltata. Guidò in prima linea l’esercito, e si dice che finì con lo sposare il sovrano delle Colline. Come voi.

– Curiosa leggenda – commentò Ester, sentendosi sulle spine. – E la morale?

– Nessuna, che io sappia. È solo una storia tramandata da secoli da queste parti. Ma ci sono alcuni spunti interessanti, non trovate? Secondo la leggenda, infatti, il sangue degli Allereth scorrerebbe ancora oggi negli eredi degli Udkils. Non sarebbe quindi andata perduta la stirpe che un tempo governò questa regione.

Ester rimase in silenzio; c’era un particolare che l’aveva colpita. – Questa giovane eroina dunque portò con sé, nella famiglia Udkils, la magia?

– Si dice che il mago fosse il re delle Colline. Probabilmente la leggenda tenta di spiegare come mai la magia naturale sia così frequente nelle Colline d’Oro. Ma il cuore della leggenda è la giovane Allereth, che attraversò le Terre e le salvò. Il suo nome andò perduto, perché nella storia viene chiamata soltanto la fanciulla delle Terre.

– Perché mi avete raccontato tutto questo? – La Magistra era più scossa di quanto voleva mostrare. Quell’appellativo le era familiare.

Lei stessa era stata chiamata così, dal cane di pietra che in varie occasioni l’aveva aiutata, e in seguito dal re delle Colline, Leah Udkils. Ora, finalmente, capiva da dove provenisse quell’appellativo.

Forse Alcor, vissuto nelle Terre fin da tempi immemorabili, aveva subito associato le vicende di Ester a quelle della misteriosa Allereth. Forse anche Leah, chiamando lei così, aveva cercato di dirle qualcosa. Ma all’epoca, Ester non sapeva, non aveva capito. Si chiese se a Ghidara, o a Palàistra, esistesse ancora qualche documentazione scritta relativa a quel remoto passato. C’era stata dunque una fanciulla delle Terre che prima di lei aveva lottato per salvare i regni da una magia fuori controllo, che si era scontrata con l’incredulità dei terranei, che aveva portato il suo sangue nella famiglia Udkils, forse conducendo con sé anche la magia. Chi era quella donna? Chi era il re delle Colline che l’aveva presa in sposa? Gli Udkils erano troppo fieri dell’antichità della loro stirpe per non avere memoria di lui. Leah doveva saperlo. E magari anche Nimeon.

Herebon fece una smorfia. – Non so perché vi ho raccontato questa favoletta. A dire il vero, ogni volta che ho ripensato a voi, in questi anni, mi è sempre capitato di associarvi alla Fanciulla. Mi pare singolare ritrovarvi adesso, sposa del re delle Colline. – Fece una pausa. – So che è una piccola cosa, ma spero possa farvi coraggio. È un modo per dirvi che ho fiducia in voi.

Ester sorrise. Il volto del reggente esprimeva un affetto paterno, una sorta di comprensione che per un attimo le diede una gradevole sensazione di calore, come se egli la vedesse veramente per quella che era, dietro tutte le maschere e le cariche che le gravavano addosso. Solo Nimeon, in tanti anni trascorsi nelle Terre, le aveva dato lo stesso senso di familiarità. Una commozione profonda le inumidì gli occhi, quando Herebon posò una mano sulla sua.

– Ester – le disse, – qualunque cosa accada, le Pianure saranno al vostro servizio. Io sarò al vostro servizio. Ricordatelo sempre.

La maga riuscì solo a fare un rapido cenno d’assenso con il capo, troppo emozionata per parlare.

– Andate da vostro marito, adesso – terminò Herebon. – Voglio essere il primo a rendervi omaggio, quando salirete al trono. Ho piena fiducia che accadrà presto.

Ester si congedò. Fuori dalla saletta l’attendeva un servitore che la condusse da Nimeon, che nel frattempo era stato accompagnato in uno degli appartamenti del reggente e rifocillato di cibi e bevande.

Lo trovò piuttosto allegro.

– Già finito il vostro colloquio? – le domandò con un sorriso sornione.

Lei socchiuse gli occhi e con una piccola, rapidissima magia gli strappò dalla mano il pezzo di pane che stava mangiando. – Dobbiamo partire, Udkils. Basta rimpinzarti.

Il cavaliere si alzò pigramente dal tavolo, stirando i muscoli. – Era la mia ultima occasione di sfuggire ai tuoi pasti da viaggio, mia signora. Perdonami, ho ceduto alla tentazione di evitare il solito pane e formaggio.

Appena le fu accanto, l’attirò a sé con un gesto possessivo che le accese il sangue. Per quanto Ester volesse dominarsi, quando lui le stava così vicino le era impossibile mantenersi indifferente. Le sembrava ancora incredibile che quell’uomo fosse suo marito.

Delicatamente gli posò una mano sul viso, accarezzandone i tratti, quasi a capacitarsi che fosse davvero lì. Anche negli occhi di Nimeon poteva leggere, come in uno specchio, i suoi stessi pensieri. Il suo stesso desiderio.

D’altra parte, pensò Ester con un moto di soddisfazione, si erano appena sposati.

Si aspettava, come minimo, che Nimeon la baciasse e protese il viso verso di lui.

– Che ti ha detto? – la gelò invece lui.

Altro che bacio, sospirò fra sé, irritata. Non poteva farci niente, Udkils era così. Il dovere prima di tutto. Si sciolse dall’abbraccio, perché al contrario di Nimeon non ce la faceva a ragionare, quando i suoi sensi erano concentrati a percepire la sua vicinanza.

– Nulla di importante – rispose. – Mi ha solo chiesto di lasciarti, di fermarmi qui a Leris e di diventare la sua amante.

– Spero che tu abbia accettato! – rispose lui allegramente. – Così sarò libero di tornare a Ghidara e di sposare Areia.

La maga dovette rassegnarsi, con uno così non l’avrebbe mai spuntata. Ma in fondo era questo che le piaceva, per troppo tempo aveva avuto sempre l’ultima parola su tutto.

– Mi ha parlato di una leggenda, ma forse lo sapevi già – riprese più seria.

Il cavaliere tornò a sedersi, afferrando un boccone di focaccia. – A me ha detto solo di voler parlare con te, riguardo la questione dell’Emissaria.

– Quindi non sai nulla della Fanciulla delle Terre?

Nimeon posò il cibo con fare rassegnato. – Ti prego, no! La leggenda degli Udkils mi è bastata, per sconvolgermi la vita. Adesso abbiamo già abbastanza da fare con Feiirie, Shlamidre, acquatici, maghi e reggenti morti, e poi Lexon con la sua magia, e Ascalon che muore di freddo a Coridia e la magia che abbiamo scatenato con…

Ester ci rimase male e fece subito in modo che il cavaliere se ne accorgesse, sbuffando sonoramente. Poi ebbe un lampo. – Tu la conosci! – esclamò puntandogli un dito in faccia.

Nimeon riprese il suo pasto. – Sì, che la conosco. Non lo sai che gli Udkils hanno raccolto tutto il materiale, leggendario e non, che abbia sfiorato il casato? Dalle nostre parti la Fanciulla delle Terre è arrivata sotto forma di una canzoncina, ma non sperare che te la canti. Già mi sono pentito di aver acconsentito a quel colloquio, se lo sapevo ti proibivo di parlare con Herebon.

– Lo sai che ti darò il tormento, finché non ne saprò di più.

Nimeon la fissò con occhi vitrei ed Ester capì d’avere vinto. Suo marito avrebbe vuotato il sacco.

– Sembra che la storiella risalga a uno dei capostipiti della famiglia, Laryn, che sposò una giovane delle Pianure – disse infatti lui. – Qualcosa tipo la fanciulla delle Terre dai capelli di fiamma al bianco sovrano il cuore donò. Laryn Udkils, che fu appunto albino.

– Come Oriol? Quindi era un mago? – Ester notò che il marito era particolarmente reticente e non ne capiva il motivo. Non aveva più usato quelle mezze parole da quando…

Si sedette di fronte a lui, scrutandolo con attenzione. – Di’ la verità, ha qualcosa a che fare con la nostra leggenda, vero?

Lui rispose troppo in fretta, per i suoi gusti. – Ester, non è il momento di tirare fuori altre teorie strampalate, non adesso. Io volevo solo che Herebon ti facesse capire una volta per tutte che le tue paure di non essere adatta come regina sono infondate. Per questo, quando mi ha detto di desiderare di parlare con te dell’Emissaria ho accettato. Ma non immaginavo che ti mettesse in testa queste sciocchezze.

La maga si inalberò. – Sciocchezze? Ogni informazione riguardo alla magia può esserci utile, accidenti! Lo sai anche tu che l’incanto che si è scatenato dopo il nostro matrimonio è qualcosa di spaventoso. Devo ancora capire di cosa si è trattato, se è dipeso da me o da te… o da entrambi, ma se adesso salta fuori che gli Udkils hanno ereditato altre forme di magia oltre a quella terranea lo devo sapere!

Nimeon la lasciò parlare. – Io e Lexon abbiamo ereditato anche la magia del passaggio – rispose serafico. – Ma da nostra madre, non da un personaggio leggendario che qualche contadina si è inventata per intrattenere i figli.

La Magistra mise le mani sui fianchi. – Laryn Udkils non è per caso quello che ha scritto la leggenda della spada? – ribatté, provocatoria. – Guarda che me lo ricordo benissimo!

– E allora?

– E allora… niente. – Doveva ammetterlo, una teoria ancora non ce l’aveva. Due parole su una storiella e un nome erano troppo poco per tirare delle conclusioni. Ma il suo istinto le diceva che sotto c’era molto di più. Ma anche se c’era, Nimeon non l’avrebbe aiutata a trovarlo. Ester si arrese e si sedette pesantemente su uno sgabello posto accanto alla piccola mensa, cominciando a mangiare. – Ti manderei a quel paese, Udkils. Ma detto nelle Terre non ha molto senso.