Il dio nell’urna

Arus il guardiano stringeva la balestra con mani tremanti. Sentì appiccicose goccioline di sudore formarsi sulla pelle mentre fissava lo sgradevole cadavere che giaceva scompostamente di fronte a lui sul pavimento levigato. Non è piacevole incrociare la Morte a mezzanotte in un luogo solitario.

Arus si trovava in un grande corridoio illuminato da enormi candele disposte nelle nicchie lungo le pareti. Ai muri erano appesi arazzi di velluto nero, e tra gli arazzi erano appesi scudi e armi incrociate di fattura favolosa. Qua e là si ergevano anche statue di misteriose divinità – immagini scolpite in pietra o legno raro, o fuse nel bronzo, nel ferro o nell’argento – che si riflettevano sul pavimento lucente di mogano nero.

Arus rabbrividì: non si era mai abituato a quel luogo, anche se vi lavorava come guardiano notturno ormai da alcuni mesi. Era un luogo favoloso, il grande museo e antica residenza che la gente chiamava “il Tempio di Kallian Publico”, stipato di rarità provenienti da tutto il mondo… e adesso, nella solitudine della notte, Arus sostava nel grande corridoio silenzioso e fissava il cadavere scomposto che era stato il ricco e potente proprietario del Tempio.

Persino il tardo cervello del guardiano riuscì a notare che l’uomo appariva ora stranamente diverso da quando percorreva la Via Paliana nella sua carrozza dorata, arrogante e dominatore, gli occhi scuri luccicanti di magnetica vitalità. Gli uomini che avevano odiato e temuto Kallian Publico lo avrebbero riconosciuto a malapena ora che giaceva come una botte di lardo sfracellata, le ricche vesti mezze strappate dal corpo e la tunica viola tutta scomposta. Aveva il volto annerito, gli occhi quasi fuori dalle orbite e la lingua pendeva nera e floscia dalla bocca spalancata. Le mani grassocce erano protese in un gesto di singolare futilità. Sulle dita tozze luccicavano pietre preziose.

– Perché non gli hanno preso gli anelli? – borbottò a disagio il guardiano, poi trasalì e si fece guardingo, i corti capelli ritti sulla base del collo. Attraverso gli scuri tendaggi di seta che celavano una delle numerose porte che si aprivano sul corridoio stava giungendo una figura.

Arus vide un giovane muscoloso e di alta statura, nudo a parte un perizoma e coi sandali allacciati in alto sulle caviglie. Aveva la pelle abbronzata come dal sole delle terre desolate, e Arus fissò nervosamente le ampie spalle, il torace massiccio e le braccia poderose. Un solo sguardo ai foschi lineamenti e alla fronte larga disse al guardiano che quell’uomo non era un nemediano. Da sotto la chioma di capelli ribelli giungeva lo scintillio di due pericolosi occhi azzurri. Una lunga spada riposava nel fodero di cuoio appeso alla sua cintura.

Arus sentì accapponarglisi la pelle e le sue dita sfiorarono nervosamente la balestra; aveva una mezza idea di trafiggere con un quadrello il corpo dello straniero senza alcun avvertimento, ma al tempo stesso temeva ciò che sarebbe successo se non l’avesse ucciso al primo colpo.

Lo sconosciuto guardò il corpo sul pavimento mostrando più curiosità che sorpresa.

– Perché l’hai ucciso? – chiese Arus nervosamente.

L’altro scosse la testa arruffata.

– Non l’ho ammazzato io – rispose, parlando in nemediano con un accento barbarico. – Chi è?

– Kallian Publico – rispose Arus arretrando.

Un lampo di interesse apparve negli imbronciati occhi azzurri.

– Il proprietario della casa?

– Sì. – Arus era arretrato fino al muro; afferrò la spessa corda di velluto che pendeva in quel punto e la strattonò con forza. Dalla strada antistante si udì il rintocco stridulo della campana appesa davanti a tutte le botteghe e le residenze e che serviva a chiamare la ronda.

Lo straniero trasalì.

– Perché l’hai fatto? – chiese. – Farà arrivare il guardiano.

– Il guardiano sono io, furfante – rispose Arus, aggrappandosi al suo coraggio vacillante. – Resta fermo dove sei; non ti muovere o ti trapasso con un quadrello.

Aveva il dito sul grilletto della balestra, la crudele cuspide del quadrello puntata dritta sull’ampio petto dell’altro. Lo straniero si accigliò, il suo viso scuro si incupì. Non mostrava paura, ma sembrava incerto se obbedire all’ordine o tentare uno scatto improvviso di qualche tipo. Arus si leccò le labbra e gli si ghiacciò il sangue nel vedere chiaramente l’indecisione mutarsi in intento omicida negli occhi torbidi dello sconosciuto.

Poi sentì una porta spalancarsi con uno schianto e una mescolanza di voci, e inalò un profondo respiro di stupefatta gratitudine. Lo straniero si irrigidì e assunse un’espressione torva e preoccupata, come una belva cacciatrice colta di sorpresa, mentre mezza dozzina di uomini faceva il suo ingresso nel corridoio. Tutti tranne uno indossavano la tunica scarlatta della vigilanza civica numaliana, cingevano spade da affondo e imbracciavano lunghe armi inastate, a metà tra la picca e l’ascia.

– Che diavoleria è mai questa? – esclamò l’uomo più vicino, i cui freddi occhi grigi e i lineamenti scarni e affilati lo distinguevano dai suoi nerboruti compagni non meno degli abiti civili che indossava.

– Per Mitra, Demetrio! – esclamò grato Arus. – La fortuna è senza dubbio al mio fianco, stanotte. Non speravo che la ronda accorresse tanto in fretta… o che tu saresti stato tra loro!

– Facevo il giro con Dionus – rispose Demetrio. – Stavamo giusto passando davanti al Tempio quando ha suonato la campana. Ma chi è costui? Per Mitra! Il padrone del tempio in persona!

– Proprio lui – rispose Arus. – E barbaramente assassinato. È mio dovere pattugliare i dintorni dell’edificio durante la notte, perché come sai vi è conservata una quantità immensa di ricchezze. Kallian Publico aveva clienti facoltosi: studiosi, principi e ricchi collezionisti di rarità. Orbene, solo pochi minuti fa ho provato la porta che dà sul colonnato e ho scoperto che era chiusa solo con il chiavistello. La porta è infatti dotata di chiavistello, azionabile sia dall’interno sia dall’esterno, nonché di un grosso lucchetto che può essere azionato solo dall’esterno. Soltanto Kallian Publico aveva la chiave per aprirlo, la chiave che ora vedi appesa alla sua cintola.

« Ovviamente mi sono venuti dei sospetti, perché Kallian Publico chiude sempre la porta a chiave con il lucchetto quando esce dal Tempio, e non lo avevo visto tornare dopo che se n’era andato alla sua villa nei sobborghi orientali della città, all’inizio della serata. Io ho una chiave che aziona il chiavistello, così sono entrato e ho trovato il corpo che giaceva lì dove lo vedete. Non l’ho toccato.

– Bene – gli occhi penetranti di Demetrio esaminarono il fosco straniero. – E questo chi è?

– L’assassino, senza dubbio! – esclamò Arus. – È entrato da quella porta laggiù. È una specie di barbaro del nord, forse un iperboreo o un bossoniano.

– Chi sei tu? – chiese Demetrio. 

– Mi chiamo Conan – rispose il barbaro. – Sono un cimmero.

© 1932 Robert E. Howard 

Traduzione: Marco Crosa

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