Preludio

Iki-Tursas, padre delle nove malattie, emerse dalle acque.

Per un attimo inspirò l'aria fredda del mattino; un solo istante prima di lasciarsi cadere esausto sulla piccola spiaggia sassosa. Nelle isole orientali dello Jütland, le leggende identificavano Tursas con il dio della guerra Týr, colui che portava le epidemie tra gli eserciti nemici: ma ora Tursas stava riprendendo le sue fattezze umane, per tornare ad essere “solo” Oscar. Un semplice ragazzo, con tutte le sue debolezze.

Quella sua doppia natura era una delle poche cose che al momento rammentava di se stesso, non riusciva neppure a ricordare da quanti giorni stesse nuotando. All'inizio – di questo era consapevole – la sua era stata una specie di fuga: partito dal porto di Napoli, aveva cominciato a nuotare senza una meta precisa verso i mari del Nord, le terre d'origine di sua madre. A guidarlo era stata una flebile voce nella sua testa, la voce di qualcuno che gli chiedeva di andare a Settentrione. A volte non riusciva a percepirla, era come se ogni tanto perdesse il “segnale” e la voce si “spegnesse”: era per lo più in quei casi che si avvicinava alla costa e tornava sulla terraferma.

Un brivido lo riscosse da quei pensieri: sentiva freddo, anche se non faceva poi così freddo per essere gennaio, anzi. Si guardò le mani e il corpo e “scoprì” il motivo di quella sensazione: era nudo, tranne che per una folta barba incolta che gli incorniciava il viso.

Doveva procurarsi dei vestiti e, come le altre volte che aveva toccato terra, sapeva come fare: per lui, uccidere, non era certo un problema.

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Il Ragnarok è vicino

Il mio regno per un parcheggio! – declamò Marziangela mentre cercava di districarsi tra la vecchietta al volante della Toyota che la precedeva e il ganzospandone sulla BMW che gesticolava inveendo a un metro dal culo della sua Panda.

Insensibile alla sua disperazione, il cellulare squillò sulle note di Smoke on The Water. Il display esibì un nome: Rodrigo. La ragazza non si sognò neppure di rispondere, già immaginando la replica: “Ma dove sei si suona tra un'ora c'è da montare gli strumenti accordare…”. Il tutto ripetuto cinque volte senza virgole e con gli interessi: come se bastasse la raffica verbale a trasformare la Panda nella DeLorean DMC-12 volante di Ritorno al Futuro Parte II, superare planando la strada pedonale e atterrare proprio davanti al palco all'aperto di quella specie di pub chiamato Tana dell'Orso.

Effettivamente era in ritardo per il concerto, la visita in clinica le aveva fatto perdere troppo tempo stavolta, lasciandole un gran mal di testa e una sensazione di straniamento. E non aveva ancora avuto occasione di comunicare la novità a Jeppe, il suo ragazzo.

Stava quasi sudando, tutta colpa di quella strana bolla di calore che da quasi un mese avvolgeva la regione attirando centinaia di turisti: un gennaio così non si era mai visto a Odense e molti turisti avevano deciso di farne la meta dei loro viaggi, quasi un prolungamento delle festività natalizie. C'era davvero tanta gente in giro, concerti all'aperto e jazz band sui battelli. Lo zoo, in particolare, era pieno di visitatori.

Miracolo! Ecco un parcheggio finalmente, e non a pagamento!

Non appena Marziangela cominciò a fare manovra, ecco spuntare all'orizzonte il solito ciclista: espressione da re della strada, a metà tra il cowboy e il Cavaliere della Tavola Rotonda.

– Eddai, Tex Lancillotto, datti una mossa! – sbraitò la ragazza, schiaffeggiando il volante e ricevendo come risposta un dito alzato verso il cielo. Ma guarda ‘sto cafone! Benvenuta a Odense, Marzy, paradiso dei ciclisti, delle anatre, e inferno degli automobilisti!

Con una manovra da pilota di Formula 1, Marziangela infilò la Panda tra un Mazda e una Volkswagen, aprì il portabagagli ed estrasse la custodia della tastiera digitale Roland.

Torreggiando sui tacchi alti, cominciò a sfilare per Vestergade con quel sarcofago appresso.

Che tortura, pensò, ma non potevo mica atteggiarmi a Giovanna D'Arco in bici con cinque ottave giapponesi e relativi chili! Nella mia prossima vita suonerò l'ottavino o l'ocarina, biciclettando, per tiranneggiare gli automobilisti.

Hola, Marziana! – era Rodrigo che la salutava. Nessuna paternale; umorismo messicano seguito da un monologo brontoloso che aveva quale main theme il chitarrista, Boris, troppo sballato per recepire il bubbolio di rimbrotti, e intento, con espressione ascetica, a intonare scale di sessantaquattresimi.

Il cellulare cinguettò: stavolta era uno dei medici che la seguiva. Vedendo che la ragazza non aveva risposto, le aveva mandato un sms: ”Gentile signora, si metta al più presto in comunicazione con la nostra equipe, il successo della sperimentazione richiede il passaggio alla fase due del progetto nel quale risulta inserita, con la garanzia della nostra pronta e gratuita assistenza sanitaria anche per gli anni a venire”.

E adesso che volevano questi? Marziangela ricordò che le avevano accennato qualcosa quando ci era andata un anno prima con Jeppe, ma non era quello il momento migliore per rispondere.

In meno di cinque minuti, Marziangela piazzò la tastiera sul tavolo sporco di guano di uccelli e attaccò lo spinotto al mixer, sfidando l'aroma alla vodka esalato da Boris.

Sono pronta, non devo accordare – disse tra sé Marziangela – le tastiere elettroniche non ne hanno bisogno. Il La ce l'hanno nell'anima digitale, a fianco della batteria elettronica incorporata che tiene il tempo, come Rodrigo e Boris, del resto. Vodka, hashish, o pedanteria: quelli, fortunatamente, il ritmo non lo mollano.

– Cia-o Mar-zian-gela-a.

La ragazza sobbalzò. Il suono di una voce maschile da tenore era fuoriuscito dagli altoparlanti della tastiera, canticchiando in Do maggiore.

Ma che cazz… ? Chi ha infilato un altoparlante sotto il tavolo?

Oltre a sorprendersi per quello che credeva uno scherzo, Marziangela si stupì per il fatto che la voce non avesse storpiato il suo nome, come invece accadeva a tutti. Fece per chinarsi alla ricerca di un eventuale altoparlante, quando entrò nel suo campo visivo un bel ragazzone biondo.

Michelanghèla la salutò il fan che non si perdeva nessuno dei concerti del gruppo. Marziangela non fece in tempo a sorridere che l'apparizione della sorella di Rodrigo, autentica stangona latina, calamitò l'attenzione del biondo, facendole tornare il cattivo umore.

Caro papà, ti voglio bene, ma non potevi chiamarmi Ingrid, Britt, Ulla al posto di darmi un nome impronunciabile da figlia di immigrati? Che, poi, Marziangela, con la faccia da danese che mi ritrovo, non c’entra proprio nulla!

Bionda, alta con splendidi occhi blu, in Italia avrebbe fatto girare tutti per strada, lì nella terra dei vichinghi era una bellezza poco più che al di sopra dello standard, in alcuni casi ”invisibile”.

Uffa, perché mi hai fatta bionda?

– Perché anche lui discende da un aruspice nordico!

Adesso ne era certa, era stata la tastiera a parlare, senza cantare questa volta.

Ma che succede? I fumi di Boris mi hanno sballata passivamente? O è ancora l’effetto di quelle pillole?

– No, Marziangela, sei nel pieno delle tue facoltà – ribatté la tastiera.

La ragazza si guardò intorno. Nel locale, i tavoli erano pieni zeppi di gente ma nessuno dava l'impressione di aver sentito quella voce.

– Tranquilla, Marziangela, solo tu puoi sentirmi.

– Ma che… sussurrò lei flebilmente.

Non c'è bisogno che parli. Comunica col pensiero.

La ragazza, incredula, si guardò intorno poi serrò le labbra e pensò: Chi sei? Da quale pianeta?

Nella mente di Marziangela risuonò la risposta della tastiera, che lei continuava a percepire come se lo strumento le parlasse a voce alta.

Vengo da Asgaard, e non è un pianeta, è piuttosto una dimensione a sé. Io sono l'entità chiamata Balder, dio della musica, figlio di Odino. Sono il portavoce degli dei, gli Asi.

– Senti, lo scherzo è bello quando dura poco. Come avete fatto a farmi sentire la voce nella testa? Fatevi vedere! C'è qualche telecamera nascosta nei dintorni?

Donna di poca fede!

– Massì, facciamo finta che sto parlando con una tastiera elettronica telepatica, tanto prima o poi scopro il trucco. Andiamo al dunque, tra mezz'ora devo suonare, quindi facciamola breve. Cosa vorrebbero gli dei da me?

Tutto inizia qualche secolo avanti Cristo.

– See! Boris, Rodrigo! Dove siete? Dai, smettetela, non abbiamo tempo da perdere!

No, sarò breve. Una tua antenata era una sibilla Cumana che si trovava a Roma durante l'invasione dei Galli di Brenno. Lei e un druido celta al seguito degli occupanti si innamorarono e si sposarono. Una storia d'amore proibito finita con un esilio. Secoli dopo, una discendente di quella coppia di aruspici si sposò con un Erulo.

– Accidenti, ve la siete preparata bene la storia. Ma, poi, cosa sarebbe un eru… ?

Gli Eruli erano una popolazione germanica che abitava qui in Danimarca. Bravi guerrieri e ottimi aruspici, interpreti e scrittori di rune. Nel secondo secolo dopo Cristo…

– E bravo, Balder. Vuoi che ti chiami così, giusto? Vabbè, almeno hai skippato qualche secolo. Vai avanti che la facciamo finita con questa farsa…

Insomma, in quel periodo arrivarono i Dani, ossia i danesi odierni, e cacciarono gli Eruli. Costoro vagarono per l'Europa e per sopravvivere divennero ausiliari dell'esercito romano. Poi ci fu un pronunciamento e un certo Odoacre, alla testa di un esercito di Eruli, rovesciò l'ultimo imperatore romano, Romolo Augustolo. Un soldato erulo sposò la tua antenata che aveva poteri paranormali e faceva l'indovina per campare. L'erulo aveva facoltà medianiche e interpretava le rune. Un matrimonio fortunato. Da due aruspici non poteva venir fuori che una stirpe di vati. E così fu. La coppia si trasferì nella capitale del regno romano barbarico d'Italia.

– Roma, ao'!

No, Ravenna! Ma cosa hai imparato a scuola?

– Non lo sai che non insegnano la storia italiana in Danimarca? Qui si va di Vichinghi, Valremari, Canuti, e l'immancabile Cristiano IV.

Tuo padre è di Ravenna!

– Ma sai proprio tutto, Balderuccio caro, sei peggio di Google!

Insomma, la tua stirpe ha nei suoi geni facoltà paranormali, latenti.

– Chiunque tu sia, Boris, Rodrigo o qualcun altro, hai davvero voglia di prendermi in giro: papà non ha ancora imparato il danese correttamente dopo una vita che è qui, e si barcamena a fare il cameriere volante nelle pizzerie per arrotondare la pensione. Io, carisma zero. Se sei un dio, mi vedi. Guardami. Ho un bel viso, capelli che sembrano una cascata d'oro, due seni che paiono cupole, persino il culetto a mandolino: l'unica cosa latina che ho ereditato. E porto bene i miei trentadue anni. Eppure, nessuno mi considera affascinante! Anonima, svanita, maldestra, ingenua. È un miracolo che mi sia trovata quello straccio di fidanzato, Jeppe. Mia mamma è danese ma non mi sembra abbia facoltà paranormali.

Anche tua madre discende da un aruspice erulo. Siete una combinazione unica voi. I geni si moltiplicano e le facoltà aumentano. Sibilla cumana, più druido celta, più aruspice erulo moltiplicato per due, uguale: La Forza è con te!

– Io non ne vedo gli effetti, – rispose Marziangela ridendo – a parte il fatto che sto disquisendo telepaticamente con una tastiera campionata.

Il Ragnarok è prossimo…

– Di prossimo c'è solo il rock che devo suonare tra un quarto d'ora…

Già. Allora rimandiamo la rivelazione a dopo il concertino…

– Rivelazione? E basta adesso! Boris, Rodrigo, finitela! – urlò Marziangela ai colleghi che finalmente spuntarono nella sala portando degli strumenti.

I due la guardarono senza capire, e solo Rodrigo abbozzò una risposta Ci siamo, noi abbiamo quasi finito, tu piuttosto sbrigati che sei in ritardo.

Marziangela aggrottò la fronte.

Tempo al tempo. – La voce aveva ripreso a parlare, ma i due, notò Marziangela, non stavano muovendo le labbra né parlando in qualche tipo di microfono – Adesso scatena il tuo potere riversandolo sulla musica. Rock and roll!

In ogni caso, chiunque ci fosse dietro quello sciocco scherzo, pensò Marziangela, aveva ragione, adesso doveva muoversi: in un batter d’occhio, finì di prepararsi, salì sul palco e cominciò a suonare.

Tutto andò benissimo: Rodrigo ci diede sotto col basso cantando magnificamente; Boris eseguì degli assolo di grande gusto e di tecnica raffinata; Marziangela, un'esibizione impeccabile e un'intesa perfetta con i suoi partner.

Le mani della ragazza scivolavano come ragni sulla tastiera.

Sono io a suonare oppure è… Balder che muove le mie mani? Strana sensazione… Vuoi vedere che questo è veramente il dio della musica?

Marziangela non sapeva cosa pensare: stava davvero accadendo qualcosa di strano o si stava immaginando tutto?

Il pubblico applaude a ogni mio assolo, Boris sembra essere uscito dallo stato di zombie dovuto all'afghano e alla vodka e mi sorride. Rodrigo salta e gioisce. Il pubblico è in piedi sulle sedie. Applauso generale. Bis. Doppio bis. Uao!

All'improvviso, nel cielo apparve una nuvola minacciosa e scura.

Poi, un tuono.

Accidenti! Se piove adesso finisce la cuccagna. Maledetta nuvola, pussa via!

Marziangela fece una scala con blue notes, aggiungendovi le note di Who'll stop the rain dei Creedence.

La nuvola sparì e un raggio di sole illuminò il palco.

Giubilo del pubblico.

Il cuore di Marziangela stava battendo all'impazzata mentre il seno si alzava e abbassava al ritmo accelerato del suo respiro. La ragazza puntò la testa verso il cielo e abbracciò con lo sguardo il pubblico in festa. Aprì le mani, allargò le dita e se le guardò rigirandosele, come a controllarne l'integrità. Poi, sospirò, distese le braccia lungo il corpo e rimase a fissare Roland, la sua tastiera divina.

Canto

Ove Østergaard si era svegliato presto, anche se quel giorno, come d'altronde quello precedente, non aveva nessuno a cui fare da guida. La stagione della pesca sportiva avrebbe avuto inizio tra qualche mese, ad aprile, e allora sì che avrebbe avuto tanto da fare con tutte quelle persone che venivano da mezza Europa sull'isola di Fionia per le aguglie e le trote di mare. Quel giorno, poi, non si sentiva molto bene, aveva un po' di febbre, dovuta forse alla temperatura troppo alta per la stagione. Cominciava a sentirsi vecchio e pieno di acciacchi e alzarsi per andare a pesca diventava sempre più faticoso. Ciononostante, aveva cominciato a preparare il peschereccio nel porticciolo quando era ancora buio. Aveva intenzione di uscire in mare poco dopo l'alba, come sua antica abitudine.

Un po' di pescato gli faceva sempre comodo, per arrotondare la pensione.

Come di consueto, prima di salpare, ne aveva ingollato un po' di quello forte, una vodka, tanto per cominciare bene la giornata. Subito le guance larghe gli si erano colorate di rosso, ma un solo bicchierino non sarebbe riuscito a fargli diventare le palpebre pesanti. O forse no? In effetti, si sentiva un po' rintronato e prima di partire sarebbe stato meglio fare due passi sulla spiaggia.

Era uscito dalla baracca mentre il sole nascente si specchiava sulle grandi finestre nude. Ed era stato allora che lo aveva visto. O che aveva creduto di averlo visto: qualcosa, un essere mostruoso, era emerso dalle acque del fiordo, aveva percorso a nuoto una ventina di metri a gran velocità sino a quando, arrivato in prossimità della riva, si era fermato. Poi, si era messo in posizione eretta rivelando fattezze antropomorfe.

Ove aveva fatto alcuni passi indietro verso l'entroterra per, poi, accovacciarsi dietro a dei cespugli gialli dalle foglie lunghe e sottili.

L'essere si era alzato in piedi, aveva inspirato profondamente l'aria del mattino e, poi, era crollato a terra, disteso lungo lungo sulla spiaggia.

Il vecchio pescatore aveva avuto paura ed era scappato a nascondersi nella sua baracca, dubitando di quello che aveva visto. Decisamente doveva aver bevuto troppo snaps la sera prima.

Adesso era seduto sul letto con le mani che gli tremavano. Era un maledetto vecchio e ancora una volta si disse che non avrebbe più alzato il gomito.

Oppure, si domandò, ciò che aveva visto era vero ma solo un po' distorto dalla vodka e da tutto il liquore fatto in casa che aveva in corpo? Un brutto scherzo che gli aveva giocato il suo vizio. Uno dei suoi vizi. Ma allora, forse, si trattava di un naufrago, qualcuno che gli avrebbe dato una ricompensa se lo avesse aiutato? Oppure, qualcuno con addosso qualcosa di prezioso, un anello d'oro, un orologio? Era già capitato in passato di trovare oggetti addosso a persone disperse in mare, come quella volta che il tizio era ancora vivo, e allora era stato lui a dargli il colpo di grazia. Tanto, per come era ridotto, gli aveva fatto solo un favore; come lo aveva fatto in altre occasioni anche ad altri prima di lui, in verità.

Magari, era proprio per quello che gli era sembrato di aver visto un mostro: forse erano vestiti logorati dalla permanenza in mare e l'alcool aveva fatto il resto, facendogli vedere un mostro dove c'era solo un disgraziato pronto ad andare all'altro mondo. Magari, dopo avergli fatto un regalo. E se ce ne fosse stato bisogno, ci avrebbe pensato Ove a dargli una mano a fare il grande salto. Sì, dopotutto, quella poteva diventare una giornata fortunata per lui.

Buttò giù un altro goccetto e si strinse nel giaccone; sapeva cosa fare e non aveva più paura del “mostro” adesso.

Aprì la porta e si ritrovò di fronte a un ragazzo dalla pelle chiara, completamente nudo, con la barba folta. Una barba strana, che sembrava dotata di vita propria.

Ove balbettò, strabuzzando gli occhi terrorizzato.

Immobile sulla soglia della porta, l’essere lo fissò con occhi gelidi, alzò il braccio trasformato in una lama tagliente e parlò con voce sibilante: – Mi ssservono i tuoi ves-s-titi.

In un attimo il vecchio passò in rassegna i fantasmi del passato riemersi in un lampo dai meandri della sua coscienza. La lama impossibile fu l'ultima cosa che vide prima che il buio calasse sulla sua tragica vita, per sempre.

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