Remake dell’omonimo film horror e riproposizione del classico letterario di Stephen King, il Pet Sematary di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer, debutta cavalcando l’onda del rinascimento di genere. Si tratta di una coincidenza oculatamente calcolata dai produttori di Paramount, ma che finisce col gettare il lungometraggio nel mezzo di una competizione virtuosa e autoriale da cui è difficile uscirne vincitori. Pet Sematary è l’ennesima trovata commerciale che insozza la nomea dei “remake” o ha la sensibilità e l’intelligenza di stagliarsi come opera nuova e autonoma?

La trama

Louis Creed (Jason Clarke) e sua moglie Rachel (Amy Seimetz) si sono trasferiti in campagna con i figli Ellie (Jeté Laurence) e Gage (Hugo e Lucas Lavoie). Sin dai primi attimi si trovano a disagio nel nuovo habitat: gli usi del luogo sono cupi, li mettono in soggezione e la tensione accumulata col trasloco acuisce le giá intense allucinazioni di Rachel. A stemperare l’alienante isolamento della famiglia é solamente Jud (John Lithgow), un anziano vedovo che trova in loro un surrogato parentale.

Sotto alla sua ala, i Creed si ambientano, fanno feste, creano legami. L’unica cosa a ottenebrare la loro quotidianitá è la dipartita del felino di casa, Church. Timoroso dalla potenziale reazione dei figli e spronato da Rachel a mentire sul concetto stesso di mortalitá, Louis si apre all’amico, il quale lo convince a seppellire il corpo dell’animale in una zona anonima nel fitto della boscaglia. La mattina seguente il gatto si ripresenta all’uscio di casa: è sporco, decrepito e crudele. Animato, ma evidentemente morto.

L’infausto risultato disgusta e inquieta, tutti prendono le distanze dal pericoloso Church e infine lo abbandonano nella boscaglia. Pur consapevole dei risultati, Louis non si fará peró remore a riportare alla vita uno dei suoi figli, vittima di uno sventurato incidente automobilistico.

Tecnica

I due registi, Kevin Kölsch e Dennis Widmyer, hanno una curriculum vitae poco degno di nota. A oggi sono stati perlopiú relegati a un ruolo marginale e vengono qui scomodati per essere passivamente funzionali alla pellicola. Oramai si è sdoganata la prassi per la quale i blockbuster vengano affidati a emeriti sconosciuti, personaggi manipolabili al fine di dare vita a una merce che poco o nulla a che vedere con intenti artistici o narrativi. Il commerciale sconfigge l’autoriale.

In questo senso Pet Sematary funziona. Regia, fotografia, sonoro, recitazione sono privi tanto di infamia, quanto di gloria. L’unica a poter vantare qualche merito aggiuntivo é la giovane Jeté Laurence, il cui ruolo resta criminosamente marginale nonostante qualche potenzialitá inespressa.

Narrazione – Film VS film VS libro

Jeff Buhler ha dimostrato con The Prodigy di non meritarsi l’inchiostro con cui scrive. Con quest’ultima fatica certamente non si riscatta, ma a sua parziale discolpa i testi horror di Stephen King non sono di facile conversione. Essi tendono a essere barocchi, abusano di opulenti dettagli e fenomeni paranormali appesantiscono la trama, infierendo sul ritmo della narrazione. Il dramma umano scivola dietro a un velo di grotteschi “jump scare” con nessun concreto risvolto; non è un caso che i migliori film legati allo scrittore – Stand by me e Shining – siano anche quelli che hanno subito il maggior numero di alterazioni.

Buhler non osa allontanarsi dal seminato. Ripropone una nenia giá nota, limitando il suo intervento a una minuscola variazione che decide di non esplorare a fondo. È latente ogni forma di affetto o passione: non parla a una nuova demografica, non altera i contenuti originari, non stravolge le aspettative, non si abbandona al fan service. É lo stesso film proposto 20 anni fa, ma assistito da una tecnologia meno obsoleta.

Conclusioni

Hereditary, Get Out, It Follows hanno risollevato le sorti del cinema di paura, ma Pet Sematary si disinteressa smaccatamente di traguardi tanto ambiziosi. Anche affiancato a produzioni di serie B quali i remake di The Evil Dead e di IT, il film dell’accoppiata Kölsch e Widmyer finisce con lo sbiadire sotto la fitta patina di banalitá con la quale si é coperto.

I registi – che hanno annunciato di non voler partecipare a un eventuale sequel – si sono trovati invischiati in un labirinto disegnato dal dipartimento di marketing: intere sottotrame sono stati girate e poi tagliate per assecondare i capricci del pubblico di prova, mentre i trailer contengono addirittura materiale ignoto ai due direttori. Pet Sematary è, a giudizio di chi scrive, poltiglia predigerita di innegabile intrattenimento, ma che non preserva nulla di memorabile o significativo, e che scivolerá nell’oblio nel giro di pochi anni.