Lo scorso mese, con Il ritorno del mare, è arrivato in libreria il secondo volume della saga fantasy Gli Eroi Perduti edita da Piemme. L’autore è l’italiano Simone Laudiero, scrittore e sceneggiatore già conosciuto nel panorama dei romanzi per ragazzi grazie alla trilogia L'Accademia dei Supereroi. Noi di Fantasy Magazine l’abbiamo intervistato per voi!

Il ritorno del mare è l’atteso seguito della tua saga fantasy Gli Eroi Perduti con la quale hai conquistato una grande fetta di pubblico. Hai incontrato difficoltà nel riapprodare nel mondo di Ronac e Rovaine?   
 

Al contrario, sono stato felicissimo e sollevato. Se ho incontrato difficoltà è stato durante l’ideazione della saga, nel costruire il mondo della Croce Azzurra e quindi nel capire che cosa volesse dire per me “fantasy all’italiana”. Ci ho messo anni a rispondere a questa domanda, e ho cominciato a fare progressi solo quando ho messo a fuoco l’idea di Mediterraneo. Di questo ho parlato in tante interviste, quindi aggiungerò un’altra “difficoltà” che mi sta altrettanto a cuore: creare un’avventura appassionante e divertente per qualsiasi lettore ma allo stesso tempo gratificante per un vecchio appassionato di fantasy come me. Per farlo mi serviva un’ambientazione che fosse allo stesso tempo classica ma sorprendente, come la tartaruga volante che appare nelle primissime pagine: quando la incontri ti sembra una normalissima tartaruga, per cui quando si libra nell’aria da una parte condividi il senso di meraviglia dei personaggi, e dall’altra pensi: ah, certo, una buona vecchia tartaruga volante. Avevo bisogno di tarare al punto giusto questo equilibrio, tra classico ed eretico, tra concreto e meraviglioso. Fatto questo, seguire Ronac e gli altri protagonisti nelle loro avventure è più che altro un piacere.

Questo secondo volume ritrova in prima scena proprio le due sorelle Ronac e Rovaine, quanto e come sono cresciute rispetto a Le mura di Cartavel?

Non così tanto, in verità, mentre è in questo secondo volume che si comincia a fare sul serio e che Ronac e Rovaine sono costrette a fare un passo verso l’età adulta. Quando ritroviamo Ronac, ci accorgiamo subito che è la stessa del primo volume: una cacciatrice di tesori inesperta ma ambiziosa, pronta a tutto ma anche un po’ (molto) maldestra. Ora che ha trovato il tesoro che cercava non vede l’ora di barattarlo con il titolo di Rassin, ma quello che ha tra le mani è molto più di un semplice cimelio: ovviamente (potrebbe essere altrimenti?) è la chiave per il passato e il futuro dell’umanità, e questo costringerà Ronac a rivedere la sue priorità, a scoprire di più su se stessa, a porsi delle domande che nessun altro si è posto, in poche parole a crescere.

Lo stesso vale per Rovaine: come già accadeva nel primo volume, la troviamo diretta sempre più a Sud, alle prese con una missione apparentemente impossibile. La prima volta gli è andata male. Questa volta sarà costretta a imparare dai propri errori e forse farà meglio…

In che modo invece pensi di essere cresciuto come scrittore dal primo volume e da Ronac e Raila
Le mura di cartavel
Le mura di cartavel

Credo di aver sviluppato un rapporto più “sano” con i miei modelli. Sono cresciuto con i romanzi fantasy classici, quelli misurati sul migliaio di pagine, con tanti personaggi e tante storie che si dipanano e si intrecciano nell’arco di diversi volumi. Per questo, nel trovarmi a scrivere la mia saga volevo fare qualcosa di simile. Ho scelto quattro protagonisti/punti di vista: Ronac, Rovaine, Sahon e Asul. Ma per tanti lettori che si avvicinano al fantasy per la prima volta, avventurarsi in un mondo del tutto nuovo e dover allo stesso tempo seguire le avventure di un cast così ricco può essere difficile e in definitiva “rovina” la lettura. Se mi trovassi a ricominciare da capo forse ridurrei il numero personaggi. In questo secondo volume ho cercato di correggere il tiro, stabilendo una gerarchia più chiara tra le due protagoniste e gli altri.

Nel tuo secondo volume torna la minaccia dei Vala, che vengono descritti come una sorte di titani delle profondità marine. Quanta influenza c’è stata da parte dei miti greci in Il ritorno del mare?  
Ronac e Raila
Ronac e Raila

Ovviamente molta: non serve dirlo, la mitologia greca offre un immaginario di potenza e ricchezza incredibile. Noi italiani, ma più o meno tutti noi “occidentali”, ce l’abbiamo così sotto pelle che per un qualsiasi romanzo d’avventura, fantasy, mediterraneo o meno, sarebbe assurdo non attingere a piene mani da questa riserva. Eppure, ell’imbastire un fantasy mediterraneo ho cercato di non limitarmi alla Grecia antica e di attingere a ogni possibile immaginario epico che abbia toccato le sponde del nostro mare: dai miti cristiani a quelli musulmani, dalle guerre puniche alle crociate, ovunque fosse stata costruita mitologia. E poi naturalmente, se si parla di leviatani che emergono dalle profondità del mare, c’è un’attenzione particolare a Lovecraft, che è una miniera infinita di suggestioni e immagini che si adattano benissimo a quest’ambientazione marina. Lovecraft è davvero come una carcassa di balena, possiamo saccheggiarlo per cento anni e continuerà ad avere qualcosa di prezioso da offrire.

Leggendo il tuo romanzo non ho potuto non notare la tematica ecologica che affiora non appena si parla di Itri e di pesante sfruttamento dei suoi giacimenti a scopo bellico. È un riferimento voluto? Quanto ti sta a cuore il tema dell’ecologia? 

È il tema più importante, di questi tempi. Non dico che vada sempre e comunque preso di petto, certo, ma farci i conti è la cosa più ovvia, almeno per chiunque voglia passare ancora qualche anno sulla Terra. Detto questo, non mi illudo certo che il mio libro possa ridurre di una sola molecola l’anidride carbonica nell’atmosfera, ma credo che la vocazione ecologista del fantasy sia fondamentale e vada riconosciuta. Da Tolkien a Martin passando per Miyazaki capita spesso che il fantasy brilli con la massima intensità proprio quando sotto l’epica e l’avventura e la meraviglia si trovi innervato un discorso sull’ambiente e sulla modernità. Chi ha letto Nausicaä della Valle del vento sa di cosa parlo, ma non posso dire di più perché insomma, no spoiler :P 

Nausicaä della Valle del vento
Nausicaä della Valle del vento
Un secondo aspetto che il lettore incontra in Il ritorno del mare è certamente l’eroismo, tema a cui la letteratura ci ha da sempre abituato. Ti sei ispirato a qualche romanzo classico in particolare?

Negli ultimi anni si parla molto dei romanzi di Martin, e quello che mi ha sempre colpito delle Cronache del ghiaccio e del fuoco (ok, una delle cose) è il suo discorso sull’anti-eroismo: Martin ha un’idea molto chiara di chi sono i suoi eroi, ovvero quelli che non hanno “le carte in regola” per essere eroici. Bastardi, storpi e cose rotte (se ricordo bene la traduzione di bastards, cripples and broken things) sono coloro che si ergono a eroi in opposizione a figure più blasonate, coerentemente con il fantasy antiretorico di cui Martin è diventato l’araldo.

Nel costruire il mio fantasy “italiano” mi sono trovato a fare un ulteriore passo indietro. Sono partito dall’assunto che in Italia di anti-retorica ne abbiamo già abbastanza e facciamo una gran fatica a costruire degli “eroi”: nessuno ha il tempo di fare una cosa buona che già lo abbiamo messo in discussione, decostruito, smantellato. Siamo a tutti gli effetti, ormai da secoli, una società senza eroi. Ho quindi voluto costruire un mondo in cui gli eroi non sono fasulli come in Martin, ma perduti – e nessuno si pone neanche più il problema di ritrovarli. Ronac e Rovaine non ambiscono a essere eroine, certo, ma non si domandano neanche chi siano i “veri eroi”. Non hanno modelli a riguardo. L’epica è una cosa che cresce dentro di loro, loro malgrado, e quando scoprono di averla è già troppo tardi.

Ritieni che la letteratura possa essere utilizzata come strumento per diffondere importanti messaggi? Se sì, posso chiederti quali?

Tutti. Più di ogni altro mezzo, non c’è limite a quello che la letteratura può dire. Generi “d’intrattenimento” come il fantasy hanno il grande pregio di aprire delle autostrade verso i cuori dei lettori, sulle quali i messaggi viaggiano al doppio (se non al centuplo) della velocità. Mi ha sempre colpito il modo in cui J.K Rowling comunica ai lettori le sue idee (molto progressiste). Come quando ha svelato, a eptalogia conclusa, che per lei Albus Silente è gay. Il preside di Hogwarts è un personaggio saggio, autorevole, in nessun modo associabile con le caratteristiche stereotipiche dell’omosessualità, ed è spiazzante scoprire che sia gay.

La Rowling spiega semplicemente: non mi sono mai trovata a esplorare l’aspetto sessuale/sentimentale del personaggio, quindi non c’era motivo di parlarne, ma l’ho sempre scritto come gay. Poi però ha deciso di svelarlo. Non ce n’era bisogno, ma lei sapeva che in quel momento, con un colpo semplicissimo, stava dicendo delle cose molto importanti a milioni di bambini che ancora non avevano pietrificato le loro idee sul mondo, e che specialmente pendevano dalle sue labbra, con la forza di un milione di pubblicità progresso. Chapeau. 

La saga de Gli Eroi Perduti si inserisce a pieno diritto nel panorama fantasy italiano. Quali sono gli autori ai quali ti sei ispirato? Con quali romanzi di genere sei cresciuto?

 

Fin da bambino macinavo tutto ciò che fosse avventura: Verne, Stevenson, Asimov, Alan Dean Foster, Gibson, tantissima fantascienza e poi naturalmente Tolkien e tutto ciò che spuntava sullo scaffale del fantasy (negli anni ’80 era ancora possibile). Crescendo ho cominciato a leggere di tutto e per anni ho quasi smesso di leggere fantasy, anche perché cominciavo a soffrirne la ripetitività ma non ero ancora in grado di andare a scovare le cose migliori. Tra gli autori che ho amato (e quindi studiato) mi vengono in mente Fenoglio, Chandler, Flaubert, Zola, Hornby, Wodehouse.

Tad Williams - Ejdzej - Own work - <a href="https://creativecommons.org/licenses/by/3.0">CC BY 3.0</a>
Tad Williams - Ejdzej - Own work - CC BY 3.0

Tornando al fantasy, se dovessi indicare l’autore che più mi ha influenzato (a parte ovviamente Tolkien che è come dire che Copernico ha influenzato la rivoluzione copernicana) è Tad Williams con la sua trilogia delle spade, ovvero Memory, Sorrow and Thorn. Ogni tanto la rileggo e, per quanto sia lentissimamente lenta (come solo il vecchio fantasy sa essere) la trovo sempre eccellente.

Quali progetti letterari hai in serbo per il prossimo futuro?  

Ho appena avuto un figlio, quindi completare gli Eroi Perduti per ora mi sembra l’obiettivo da porsi. E intanto penserò a cosa fare dopo. Sarebbe bello scrivere dei libri più semplici da congegnare, ma chi lo sa, è possibile che mi imbarchi in un’altra saga come questa: mi diverto troppo.

Appena entri in libreria di fronte a quali scaffali ami temporeggiare di più? 

Un tempo mi piaceva passare al setaccio il reparto dei libri in lingua originale inglese, dove trovavo le novità più novità prima ancora che venissero tradotte. Poi sono arrivati gli e-book e il modo più semplice per mettere le mani sui libri subito è diventato quello. In questi giorni per esempio sto finendo la trilogia della Terra Spezzata di N. K. Jemisin, che in Italia è ancora in corso di traduzione, e so che non ce l’avrei mai fatta ad aspettare sapendo che qualcuno là fuori la stava già leggendo…

Noi di Fantasy Magazine ti ringraziamo per la piacevole intervista e ti facciamo l’in bocca al lupo per tutte le tue prossime sfide letterarie!

Grazie a voi dell’ospitalità!