Matteo Garrone è uno dei nomi più riconoscibili del cinema contemporaneo italiano. Regista divenuto estremamente noto con Gomorra, da almeno dieci anni si è fatto notare su scala internazionale grazie alla cura dei dettagli e alla caratteristica poetica. Che siano di successo o fallimentari, i suoi film vantano una forte identità, un immaginario stratificato su forti retaggi culturali. La fiaba italiana è una delle sue influenze ricorrenti, uno stimolo già sollecitato apertamente con la trasposizione cinematografica de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile e che ora torna dirompente in Pinocchio

Pinocchio
Pinocchio

Trama – Malvina

Geppetto (Roberto Benigni) è un falegname privo di incarichi, un uomo povero costretto a mendicare e a vivere di espedienti, ma la comparsa in paese del circo delle marionette gli offre un nuovo stimolo per reinventarsi e divenire costruttore di burattini. Da un fatato ceppo di legno intaglia una scultura tanto perfetta da non volersene più separare e, quando questa si anima, adotta la creatura come proprio figlio, chiamandola Pinocchio (Federico Ielapi).

Nonostante i sacrifici del babbo, Pinocchio si dimostra un pargolo degenere e disobbediente. Alla prima occasione fugge da scuola per visitare lo spettacolo di marionette, ma in chiusura dell’evento viene rapito dal padrone della carovana, Mangiafuoco (Gigi Proietti). Liberatosi, il burattino intraprende il lungo e faticoso viaggio per riunirsi al padre e, con l’aiuto della Fata Turchina (Marine Vacth), per divenire un bambino vero.

Tecnica – Artemone

Prodotto, scritto e diretto da Matteo Garrone, Pinocchio si dimostra esteticamente affine alla cifra stilistica del suo creatore. Attingendo al suo retaggio artistico, Garrone crea delle composizioni atte a richiamare la scuola pittorica dei Macchiaioli, offrendo campi lunghi che, per colori e composizione, potrebbero essere introdotti agilmente in una quadreria di fine Ottocento. Tuttavia in una narrazione cinematografica la mera immagine non basta. Il regista dimostra di saper proporre magistralmente le scene dominate dai personaggi, ma zoppica se messo di fronte ai paesaggi, quasi come se competenze filmiche e pittoriche cozzassero senza riuscire ad armonizzarsi.

Un plauso va mosso al trucco di Mark Coulier e ai costumi di Massimo Cantini Parrini. I due hanno saputo offrire sia soluzioni discrete che enfatizzate, esaltando al massimo gli eclettici e altalenanti toni della fiaba collodiana. Sorprendentemente dubbie sono le musiche di Dario Marianelli, compositore premio oscar che qui si trova a produrre nenie elementari e desuete. Che la scelta miri ad armonizzarsi col clima del lungometraggio è indubbio, ma l’azzardo non porta i risultati sperati. Le musiche sembrerebbero infatti adattarsi meglio alla colonna sonora di Fantaghirò che a quella di un film d’alto profilo.

Attori – Zia Tortilla 

Senza girare attorno alla faccenda, il casting di Roberto Benigni (La vita è bella, Non ci resta che piangere) si è dimostrato tenero quanto goffo. L’attore – che nel 2002 aveva diretto e interpretato un altro film su Pinocchio – è noto al pubblico per il suo carattere esuberante ed espansivo, per la sua artefatta dramatis persona strutturata sugli archetipi da “bischero” toscano che molto hanno in comune col burattino stesso. Benigni, insomma, è così preso dall’interpretare se stesso che Geppetto finisce quasi sempre con l’essere fagocitato fino a calare in secondo piano, un errore di valutazione che risulta ancor più cocente se si tiene conto che la prima scelta attoriale era caduta sull’eccellente Toni Servillo.

Sono notevoli in senso virtuoso Massimo Ceccherini (Il racconto dei racconti, Fuochi d’artificio) e Rocco Papaleo (The place, Nessuno mi può giudicare), qui reciprocamente la Volpe e il Gatto. Complice il fatto che Ceccherini sia intervenuto direttamente nella stesura del copione, il loro ruolo evidenzia una spiccata quanto profonda caratterizzazione, un dinamismo di coppia che si armonizza con la naturale intesa che lega i due attori e si cristallizza in una performance memorabile.

Federico Ielapi, pur dimostrando una certa professionalità, si grava dei soliti problemi che nascono dal dover dirigere attori in età infantile: a tratti risulta petulante, ma considerando che veste i panni di Pinocchio non ci si poteva aspettare altrimenti. Gratuita e leggermente molesta la presenza di Marine Vacth – bellissima modella/attrice parigina che si è sostituita al casting originale di Matilda De Angelis – la quale cozza brutalmente con la profonda italianità del cast. Le fini fattezze e il tono immacolato della doppiatrice che le presta la voce stridono con i tratti meno raffinati degli altri attori e con le marcate cadenze regionali del loro parlato. Si potrebbe asserire si tratti di una scelta consapevole, se non fosse che la rappresentazione fanciullesca della Fata (affidata alla giovane Alida Baldari Calabria) non dimostri tratti tanto alienanti. 

Conclusioni – Barabas

Pinocchio di Matteo Garrone è un abbecedario di piccole cadute di stile, piccoli difetti che suggeriscono la pellicola abbia avuto seri problemi di gestazione e che rovinano la fruibilità dell’opera. La brutalità del romanzo di Carlo Collodi è riportata in grande stile, con scene che sicuramente daranno noia alla sensibilità contemporanea e sdegneranno famiglie intere, ma il contraltare onirico non detiene la stessa carica dirompente, la stessa intensità narrativa e registica.

Garrone sembra condannato a eccellere nella descrizione dei tormenti (Gomorra, Dogman), mentre negli altri frangenti indulge in lunghi periodi di imbarazzante attesa. Pinocchio ne è un ottimo esempio, alternando svariati minuti di tediosa sospensione a scene di angoscia degne di un horror.