Londra, anni ’50, nel West End è in cartellone da cento giorni la celebre opera teatrale Trappola per topi di Agatha Christie. Il successo è tale che si pensa ad un adattamento per il cinema ma tutto si ferma quando il regista americano Leo Köpernick viene trovato morto in palcoscenico. Ad indagare sull’accaduto è chiamato l’ispettore Stoppard, un lupo solitario con l’abitudine di alzare un po’ il gomito e che non prende bene l’affiancamento alla giovane ed entusiasta agente Stalker. I due scoprono immediatamente che Köpernick non era ben voluto da nessuno dei membri della compagnia e che chiunque potrebbe essere l’assassino.

Come fare a riportare in auge il genere giallo, quello più classico dei romanzi di Agatha Christie, con l’investigatore che raduna tutti in una stanza per poi rivelare ai presenti e al pubblico chi è l’assassino? Il problema, e lo spiega bene il personaggio del regista di Omicidio nel West End, non a caso americano, è che in questo tipo di film l’azione manca. Vi è un lungo prologo in cui si presentano i personaggi, una parte centrale d’investigazione in cui lo spettatore cerca di prestare attenzione ad ogni dettaglio per capire prima chi è l’assassino e in fine una spiegazione con un lungo dialogo e qualche flash back. Una struttura forse retrò che rischia di mostrare il fianco al passare degli anni soccombendo davanti agli standard cinematografici di oggi decisamente più ritmati. Che fare allora? Ce lo ha mostrato Kenneth Branagh che ha trasformato il suo Poirot (Assassinio sull'Orient Express e Assassinio sul Nilo), da imbranato ometto sovrappeso a eroe action con un passato tragico e romantico. Ma si può anche riprendere la struttura del classico giallo dandogli una spolverata di modernità come in Cena con delitto di Rian Johnson, giocando con il ritmo sostenuto e il ribaltamento di prospettiva, e portandosi dietro una carrellata di star.

I nomi celebri non mancano neppure in Omicidio nel West End ma in questo caso ciò su cui punta il film è rendere evidente la struttura che sta sotto il giallo e giocarvi. È proprio il morto come in Viale del tramonto a raccontare che cosa gli è successo, lasciando agli investigatori lo svelamento dell’indagine ma commentando proprio i vari passaggi di questa. Così ad esempio, quando il personaggio dello sceneggiatore viene interrogato su quali fossero i dissapori con Köpernick, questi spiega come il regista americano avesse dei gusti orribili che non poteva assecondare, chiedendogli ad esempio di inserire nella sceneggiatura dei banalissimi flash back. In quel momento il film fa proprio vedere tramite dei  flash back che cosa è accaduto tra i personaggi mesi prima, facendo divertire il pubblico per questa autocontraddizione.

Omicidio nel West End è quindi a vari livelli un gioco con lo spettatore che basa il proprio interesse ludico non più solo sulla ricerca dell’assassino ma che fa continui rimbalzi fuori e dentro la realtà filmica, e che per questo ricorda più Invito a cena con delitto (Neil Simon, 1976) che i classici gialli alla Agatha Christie. Alle volte il gioco diventa un po’ naif ma quando funziona è davvero divertente.