Una guerra contro una figura divina combattuta in un lontanissimo passato. Un piccolo ed eterogeneo gruppo di eroi impegnati in una lotta impari contro le forze del male. Cosa potrebbe esserci di più classico?

Questi elementi sono alla base dell’opera che più di ogni altra ha influenzato la narrativa fantasy, Il signore degli anelli di J.R.R. Tolkien. E che Guy Gavriel Kay conosca bene l’opera di Tolkien è fuor di dubbio, visto che negli anni ’70, per un anno, ha collaborato con Christopher Tolkien alla sistemazione di tutto quel materiale che in seguito sarebbe stato pubblicato con il titolo Il Silmarillion. Ma mentre per la maggior parte degli autori, soprattutto negli anni ’80, il modello di Tolkien è consistito in qualcosa da imitare in modo superficiale, ciò che ne ha ricavato Kay è stato qualcosa di molto più profondo.

Da Tolkien Kay ha capito come anche la migliore delle storie possa finire per ritrovarsi in un vicolo cieco, come sia necessario tanto tempo per fare le cose nel modo giusto, e ha visto l’importanza di andare alla radice delle cose. Si possono usare archetipi o stilemi già usati da altri ma, perché la storia funzioni, questi elementi vanno inseriti in un contesto coerente, e devono essere sviluppati in profondità.

L’arazzo di Fionavar – per la riedizione di una trilogia arrivata in Italia come Il mondo di Fionavar nei primi anni ’90 Mondadori ha scelto di tradurre fedelmente il titolo originale – si colloca nel pieno della tradizione. Kay non si limita a riproporre motivi già presenti in Tolkien o in C.S. Lewis – come per Le cronache di Narnia siamo nell’ambito del portal fantasy, con il passaggio dal nostro mondo a quello fantasy in cui si svolge la gran parte della storia – ma va oltre, andando a innestare nel suo mondo spunti tratti dalla letteratura medievale e, risalendo ancora più indietro, dalla mitologia. A innestarli, non a copiarli e, come nel caso dei migliori innesti, i frutti che derivano dal lavoro svolto sono straordinari. Un esempio, fra i tanti che si potrebbero fare, è nella reinterpretazione della figura di Odino, che dalla divinità principale della mitologia norrena si trasforma qui in uno dei volti di un essere umano tormentato e straordinariamente vivo.

E questa è un’altra delle caratteristiche dei romanzi di Kay, già presente in quella che è la sua opera d’esordio: la ricchezza dei personaggi. Tutti, anche quelli secondari, hanno una loro storia, una loro identità, e motivazioni credibili per azioni che spesso comportano scelte dolorose. La sovrapposizione a un archetipo non implica mai la sparizione del personaggio, o della concretezza dell’episodio narrato da Kay. Il libero arbitrio, le questioni morali, sono calati in un contesto preciso, creato dall’immaginazione, ma in cui per il lettore è facile ritrovarsi anche se nella realtà nessuno dovrà mai affrontare faccia a faccia un mutaforma, o un Oscuro Signore. Cambia l’aspetto più appariscente, non cambia la necessità di compiere scelte importanti in situazioni difficili.

Nessun elemento è mai usato solo perché fa parte della tradizione, e anche la strutturazione della storia in una trilogia ha un suo perché. Nel caso del Signore degli anelli, la tripartizione di quello che è un unico romanzo era stata legata alla crisi della carta nell’Inghilterra postbellica, e alla necessità di non pubblicare un romanzo che, con il costo alto dovuto alle notevoli dimensioni, avrebbe potuto scoraggiare una buona parte dei lettori. Nei successori il sospetto è che troppo spesso ci sia stato il semplice desiderio di emulare una formula che aveva funzionato limitandosi alla superficie, anche in dettagli come la tripartizione della storia.

In Fionavar fra il primo romanzo, L’albero dell’estate, e il secondo, La fiamma errabonda, c’è una cesura dettata da esigenze di trama. Il cambiamento fra prima e dopo è talmente grande, ed è fondamentale per gli sviluppi successivi della storia, che una pausa è necessaria, e la distinzione in due volumi si limita ad assecondarne il ritmo. E se La fiamma errabonda e La strada più oscura non sono separate da un intervallo di tempo impossibile da accorciare, il tono dei due romanzi è molto diverso, perché da una fase in cui il cammino dei protagonisti è, per riprendere il titolo, errabondo, perché ci sono numerose cose che devono essere fatte prima della fine, nell’ultimo romanzo l’unica direzione possibile è quella verso l’oscurità, con la speranza di trovare, alla fine, una luce.

Archetipi che risuonano nel profondo del lettore, personaggi credibili, una storia ben costruita e una scrittura senza fronzoli che va all’essenza delle cose. L’arazzo di Fionavar, troppo a lungo impossibile da trovare nelle nostre librerie, è stato ripubblicato in un volume arricchito dalle illustrazioni realizzate a suo tempo da Martin Springett per l’edizione originale. Per quanto le notevoli dimensioni rendano il libro scomodo da maneggiare, si tratta di un’opera imperdibile per tutti gli amanti dell’epic fantasy.