Non intendo dirvi perché spesso un disse è meglio di un affermò, né voglio dilungarmi sull’uso delle caporali e della punteggiatura, eccetera eccetera.

Vorrei riflettere un po’ su quello che è un dialogo, assieme a voi, e poi inserirlo nel filo del discorso che questa rubrica sta seguendo.

Il dialogo è, molto semplicemente, il momento in cui date la parola ai vostri personaggi. Ho appena scritto una cosa banalissima, ma dovete capire quanto il concetto espresso sia in realtà importante e nasconda molti risvolti.

Finché narrate senza utilizzare i dialoghi, i vostri personaggi appaiono, agiscono e pensano. Tutto, però, in forma indiretta. Mi verrebbe da dire: «Be’? Tutto qui?» ;-)

Senza il dialogo, insomma, i vostri personaggi sono muti.

Esistono varie distanze tra il narratore e il lettore, ovviamente, a seconda della soluzione che avete studiato per il vostro romanzo; non mi dilungherò oltre. Sappiate che secondo me nessun narratore, per quanto vicino, sarà mai d’impatto quanto le parole dirette di un vostro personaggio.

Una frase diretta è potenzialmente dirompente: se scritta con abilità, può penetrare nella mente del lettore più di qualsiasi altro funambolico brano indiretto. A volte basta un semplice “no” diretto a suscitare nel lettore un universo di sensazioni; lo stesso no posto nella narrazione avrebbe un effetto molto diverso.

Amo i dialoghi, amo leggerli ancor prima che scriverli, perché vivificano i romanzi (ma bisogna fare attenzione, perché abusarne rende il romanzo sterile).

Sia chiaro, non sto dicendo che i dialoghi siano più importanti della narrazione; tutto è importante in un testo. Sto semplicemente dicendo che hanno una forza particolare, da non sottovalutare.

In questa prima digressione sui dialoghi, vorrei soffermarmi un attimo sul punto di vista e sul ritmo, entrambi già analizzati nei capitoli relativi alla narrazione.

In un dialogo, il punto di vista è importante tanto quanto nel resto del romanzo. Nella maggior parte dei casi, il dialogo erediterà il punto di vista della scena in cui verrà inserito. È bene che questo lo comprendiate subito, perché cambiare il punto di vista durante un dialogo è un errore. Potete commetterlo, se volete, non esistono regole definitive in scrittura, ma almeno fatelo con consapevolezza.

Provate a immaginare la seguente scena. I tre ex ragazzacci di strada soprannominati Puzzola, Piattola e Pidocchio si incontrano dopo tanto tempo a un crocevia. Avevano deciso così, anni addietro, di rincontrarsi proprio lì, in quella locanda, e proprio quel giorno e a quell’ora. Voi narrate il loro arrivo utilizzando un narratore onnisciente che focalizza la sua attenzione su tutti e tre contemporaneamente, perché volete avere il vantaggio di riassumere brevemente ciò che è accaduto a ognuno di essi, permettendo al lettore di avere un quadro sommario di ciò che è successo in passato, prima che essi si parlino.

I tre si incontrano, si salutano felici e infine entrano nella locanda. Senza soluzione di continuità, voi affrontate il dialogo dal punto di vista di Piattola.

A questo punto avete di fronte due scelte ed entrambe hanno degli svantaggi. Uno, inserite comunque il nome Piattola di seguito alle sue frasi dirette, nelle incidentali, nonostante il punto di vista sia una terza persona limitata. Due, non inserite il nome Piattola nelle incidentali quando Piattola parla.

Gli svantaggi sono evidenti: nel primo caso, l’inserimento del nome è ridondante e, permettetemi, tecnicamente molto discutibile; nel secondo caso, pur avendo dalla vostra una tecnica corretta, confonderete il lettore che, almeno a inizio dialogo, a volte non saprà a quale dei personaggi attribuire la frase diretta.

Se fossi in voi, eviterei di far pesare questi svantaggi sul vostro romanzo. La soluzione è semplice: prima di iniziare a scrivere una scena saprete se ci sarà un dialogo o meno (diciamo quasi sempre). Pensate in che modo volete affrontare quel dialogo e narrate la scena fin dall’inizio dal punto di vista che utilizzerete quando i personaggi parleranno.

Se il punto di vista del dialogo è lo stesso della narrazione, il suo ritmo può facilmente essere diverso.

È chiaro che durante una battaglia, ad esempio, i personaggi si scambieranno frasi concitate e quindi, il ritmo veloce della narrazione si trasmetterà anche al discorso diretto. Ma è altrettanto chiaro che, per una qualche ragione che riterrete rilevante, il vostro dialogo potrà creare uno stacco con la narrazione.

I protagonisti della vostra scena sono due personaggi che stanno fuggendo dalla battaglia. Riescono a trovare un rifugio in cui si sentono sicuri e voi volete comunicare al lettore questa loro sicurezza e lo scemare della tensione. Bene, non farete altro che dare un ritmo diverso al dialogo, rallentandolo rispetto alla concitazione dei paragrafi precedenti.

Non c’è nulla di strano in questo, né di sbagliato. Anzi, ho voluto sottolinearlo perché è qualcosa che potrebbe rendere più godibile il vostro romanzo. Il ritmo è una cosa mutabile e indipendente, anche all’interno della narrazione stessa, ovviamente.

Quello che importa è che consideriate il dialogo come un inciso (quindi qualcosa di compiuto in sé, ma non totalmente svincolato al resto del testo). Il dialogo è un brano nel brano che state scrivendo (e, certo, può essere che decidiate di scrivere una scena che è costituita solo da discorso diretto). E in una parentesi, le regole possono essere cambiate.

Nel prossimo capitolo affronterò i dialoghi meno nello specifico, analizzando la loro presenza nell’intero romanzo.