Se chiedete a un appassionato di Fantasy chi è J.R.R. Tolkien vi risponderà senza dubbi e con dovizia di informazioni: se chiedete chi è C.S. Lewis facilmente vi dirà due cose: che è l’autore del ciclo di Narnia e che era amico di Tolkien. Fino a tempi molto recenti la risposta riguardante Narnia sarebbe stata in dubbio perché se il nome dell’autore de Il Signore degli Anelli è noto anche al lettore di fantasy più occasionale, C.S. Lewis si è trovato a vivere – nei paesi non anglosassoni – la condizione di “nome noto” in una sorta di limbo un po’ nebuloso dove la sua persona e la sua opera erano familiari, sì, ma sostanzialmente poco conosciute. Ora, grazie alla nuova fama di cui Narnia gode, torna anche la curiosità di conoscere meglio il rapporto che ha unito Lewis e Tolkien, senza dimenticare però che indagare sui rapporti personali tra due persone è sempre un salto nel buio e che l’immagine completa continuerà comunque a sfuggirci.

John Ronald Reuel Tolkien e Clive Staples Lewis (Jack per gli amici) si conobbero a Oxford nel 1926, quando avevano rispettivamente 34 e 27 anni e non avrebbero potuto essere più diversi per origini, carattere e scelte di vita: Tolkien era sposato mentre Lewis era scapolo e orgoglioso di esserlo, il primo era cattolico e veniva da una situazione famigliare molto disagiata mentre il secondo si trovava proprio all’epoca nel pieno di una personale ricerca spirituale.

Eppure si scoprirono spiriti affini nelle scelte letterarie e soprattutto nell’importanza che entrambi davano al Mito come genere letterario: in modi diversi si trovarono entrambi a indagare la soluzione dello stesso problema, ovvero se fosse possibile rinnovare il racconto mitologico in termini moderni e offrirlo ai lettori contemporanei. Anni dopo Tolkien riassunse quest’esigenza di scrivere raccontando un commento faceto di Lewis: “Tollers, ci sono troppo pochi racconti che ci piacciono. Temo che dovremo provare a scrivere qualcosa noi.”

Tolkien non aveva un carattere facile ma con i pochi amici che considerava intimi dava il meglio di sé: gioviale, amante della buona conversazione e delle risate in compagnia, poteva passare dalla malinconia alla battuta in un momento. Lewis aveva una mente brillante e un umorismo arguto e pungente che ben compensavano l’altro.

Come già accennato, inizialmente legarono per la comune passione nei confronti della letteratura ma l’elemento fondamentale che cementò la loro amicizia fu la ricerca spirituale di Lewis e l’importanza che entrambi diedero alla religione nella loro vita: Tolkien era un cattolico convinto e seguì con molta partecipazione e affetto il cammino personale dell’amico che dopo un’infanzia protestante e una giovinezza agnostica, negli anni Venti si riavvicinò al cristianesimo. Lewis, convertitosi nel 1931, riconobbe sempre il ruolo importante svolto da Tolkien in questa scelta e trovò in lui un teologo attento e appassionato con cui poter discutere dei temi cari a entrambi. Un legame ancora più necessario per i due uomini se si ricorda che fino alla Seconda Guerra Mondiale non era facile essere cattolici nell’Inghilterra protestante.

A partire dai primi scritti giovanili, negli anni Trenta Tolkien diede forma più compiuta al nucleo delle storie del Silmarillion e dello Hobbit, mentre Lewis cominciò ad imbastire il mondo di Narnia.

Iniziarono a leggere a vicenda il frutto delle proprie fatiche, tanto che Lewis fu tra i pochissimi esterni alla famiglia di Tolkien a poter leggere gli scritti dell’amico. Dirà in seguito Tolkien in merito alla genesi del Signore degli Anelli: “Lui (Lewis, n.d.a.) l’ha ascoltato tutto, pezzettino per pezzettino, letto ad alta voce…”

L’influenza che ebbero l’un sull’altro non fu tanto stilistica quanto umana, negli incoraggiamenti a non demordere di fronte all’ilarità del mondo accademico per le loro fantasie e nel continuare a credere che il mito e il racconto fantastico potessero avere uno spazio nella letteratura per adulti. Contrariamente a quanto ammiratori e biografi hanno sostenuto, tra i due non si instaurò mai una vera collaborazione attiva – cosa che, per inciso, entrambi hanno sempre negato – ma un costante supportarsi a vicenda con spunti e stimoli che nascevano anche dal confronto di stili e gusti molto diversi. Un Tolkien già anziano scrisse in una lettera: “Il debito impagabile che io ho nei suoi confronti non è tanto un’influenza come la si intende di solito, quanto il puro incoraggiamento. A lungo è stato il mio unico pubblico. Solo lui mi ha messo in testa che la mia roba poteva essere qualcosa di più di un divertimento privato.”

Mentre Lewis fu un appassionato sostenitore del Signore degli Anelli, non si può dire che Tolkien, pur apprezzando altri scritti dell’amico, ricambiasse l’entusiasmo nei conforti di Narnia, troppo lontana dal suo mondo per gusto, scelte narrative e fonti.

Purista per natura, Tolkien considerava Narnia un universo caotico dove buone idee e spunti erano soffocati da riferimenti contrastanti, opinione comprensibile se si pensa che l’ottica con cui ha affrontato il suo lavoro era molto diversa da quella del collega. Tolkien ha continuato a ritoccare i suoi libri per decenni, pulendo e sfrondando da tutto ciò che riteneva non necessario, mentre la scrittura di Lewis si nutriva anche di innovazioni subitanee e improvvisi rifacimenti: tanto Tolkien cercò di fare della sua creazione una vera mitologia moderna, basata sulla coerenza di regole inviolabili, quanto Lewis scrisse in Narnia un racconto propriamente fantastico, coltivando il gusto per l’effetto scenico, la commistione di fonti e i rimandi a tradizioni diverse. Un approccio alla scrittura che Tolkien definì “l’intrusione tipicamente lewisiana di cose che non c'entrano.”

Nonostante le differenze di vedute sulle loro opere i due continuarono a frequentarsi fino alla fine degli anni Quaranta, soprattutto perché già dal decennio precedente la loro amicizia si era allargata a includere un gruppo di altri uomini, tutti legati all’ambiente di Oxford, tutti interessati e in misura diversa coinvolti nel mondo letterario, in quel cenacolo di amici diventato noto con il nome di Inklings.

Charles Williams fra Lewis e Tolkien
Charles Williams fra Lewis e Tolkien

Il gruppo si unì a Lewis e Tolkien nelle serate al pub o a casa dello stesso Lewis; nel corso della serata qualcuno avrebbe tirato fuori un taccuino o un manoscritto da cui avrebbe letto poesie o racconti e, tra lodi e stroncature, avrebbero continuato in discussioni appassionate sino a notte fonda. Il progressivo allontanamento tra Tolkien e Jack iniziò quando nel circolo degli Inklings entrò Charles Williams, scrittore caro a Lewis e malvisto da Tolkien, che si risentiva dell’influenza esercitata da Williams sul vecchio amico. Tolkien si ingelosì della presenza ingombrante di Williams soprattutto perché tra loro due non scattò mai nessuna affinità, né sotto il profilo umano né sotto quello letterario.

La distanza tra Jack Lewis e Tolkien si fece enorme intorno al 1957, anno del matrimonio di Lewis con Joy Davidman Gresham. I sentimenti di Tolkien in merito al matrimonio dell’amico non sono mai stati chiariti, ma sembra che lo guardasse perlomeno con diffidenza.

C’è chi ha voluto vedere in questo atteggiamento una tensione omosessuale. In realtà, è più probabile che dipendesse in gran parte dalla gelosia dei propri affetti tipica di Tolkien, un tratto caratteriale evidente nello scrittore e probabilmente legato all’infanzia difficile. All'età di nove anni Tolkien era già orfano di entrambi i genitori, e sotto la tutela di un prete cattolico che di fatto divenne, fino al matrimonio con la moglie Edith, il suo unico riferimento famigliare. Non bisogna dimenticare, inoltre, il retaggio culturale di entrambi: le donne, poco visibili nella Oxford della prima metà del Novecento, di fatto non erano ammesse nella sfera culturale e letteraria in cui i nostri si muovevano e avevano uno spazio quasi unicamente relegato nella sfera domestica. Tolkien ha amato teneramente Edith per tutta la vita – e sul rapporto tra i due ci sarebbe molto da raccontare – ma non l’ha mai coinvolta nella creazione del suo mondo fantastico come farà poi con il figlio Chistopher: Edith è stata fonte di ispirazione, e non a caso la Luthien del Silmarillion è basata su di lei, ma mai una collaboratrice attiva.

Al contrario, sposando la letterata Joy, Lewis, che per anni aveva ignorato il mondo femminile tanto quanto l’amico, iniziò a condividere con la moglie un’affinità intellettuale che Tolkien sembrò percepire come qualcosa di alieno e poco comprensibile.

Nel 1963 C.S.Lewis morì. Lui e Tolkien non si vedevano da tempo, eppure il vecchio affetto per tutto ciò che si erano dati a vicenda rimaneva. Negli anni di lontananza Tolkien ebbe solo parole di stima e grande affetto nei conforti del vecchio collega e Lewis scrisse del legame con l’altro nel 1958, nel saggio sull’amicizia all’interno del suo libro I Quattro Amori.

Oltre a questo, non sappiamo dire. Esiste uno spazio privato che resta tale nonostante l’indiscrezione di appassionati e biografi. E’ stato sicuramente un rapporto profondo che ha avuto un ruolo importante nella crescita umana di entrambi e, almeno indirettamente, ha contribuito a darci il caposaldo della letteratura di genere fantastico del secolo scorso. Lasciamo le amicizie nell’ambito personale che è loro proprio e chiudiamo con le parole di Tolkien, che dopo la morte del vecchio amico parlò di lui in una lettera a terzi, concludendo: "Naturalmente potrei dire molto di più, ma non lo farò. Tuttavia vorrei che, dopo la morte di un grand’uomo, si potesse impedire di parlarne a quei piccoli uomini che non hanno, e dovrebbero rendersene conto, una conoscenza sufficiente della sua vita e del suo carattere per poter dire la verità.”