Quale migliore rifugio dunque, per gli Oviani anch’essi vittime di ben due capovolgimenti epocali – di un albero così carico di storia e di simboli?

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E’ un momento magico: all’ombra della gigantesca pianta gli Oviani compiono il successivo passaggio verso il Terzo Millennio e una Nuova Era. E’  un momento di risveglio, di comunione e di elevazione spirituale in cui gli abitanti del Pianeta avvertono finalmente il linguaggio dell’universo, in comunione con il regno animale e  vegetale.

E’ un nuovo cambiamento che sconcerta, perché il vecchio mondo e il suo modo di vedere, ancora una volta, si capovolgono: “tutto ciò su cui ho fatto affidamento è sparito", canta la Frazer in ‘Downside Up’ e quel che affiora dalle rovine è una sensazione di comunanza mai provata prima: “potevo avvertire il mio equilibrio  cambiare prospettiva, tutto intorno si stava muovendo… tutti gli stranieri appaiono come di famiglia, tutta la famiglia appare così strana [in Italiano va purtroppo perso parte del gioco di parole - NdR]… L’unica costante di cui sono sicuro è questo accelerato tasso di cambiamento”. Come non intuire, in quest’ultima frase, un velato riferimento al  concetto di raggiungimento della ‘massa critica’ preconizzato dalle dottrine esoteriche e riscoperto recentemente dalla moderna New Age? Quel concetto secondo cui, una volta che un certo numero di persone si sia sufficientemente elevato, questo innescherà automaticamente, quasi per ‘trascinamento meccanico’, il risveglio spirituale del resto dell’umanità?

Nel frattempo, sui Nostri incomincia a piovere sempre più forte e l’acqua ben presto sommerge la terraferma: ed ecco che la storia di OVO entra nuovamente (era già successo con l’episodio relativo all’incontro fra Sofia e lo Skyboy, e non sarà l’ultima volta che accade), in territorio mitologico. Siamo infatti di fronte a un tema trattato praticamente dalle culture di tutto il mondo: le moderne tribù dell’ Africa, dell’Australia e dell’Asia, i discendenti degli Indiani d’America (Lakota, Hopi, Cherokee, Navajo,  Cheyenne), le antiche civilità Egizie, Maya, Sumere, Babilonesi, Ebree, Greche, Germaniche, Celtiche… Tutte conservano, nel proprio patrimonio leggendario, una traccia mnestica di una calamità simile al celeberrimo Diluvio Universale. Non importa che la fonte sia la tradizione orale, un antico papiro senza nome,  il Gilgamesh,  il Popol Vuh o la Bibbia;  non importa se il sopravvissuto si chiama Noè, piuttosto che Deucalione, Manu, Ziusudra, Utnapishtim, Bergelmir; non importa la ragione per cui il diluvio viene inviato dalla divinità; non importa se si tratta di un diluvio d’acqua o di neve o dello sprofondamento di un continente quale Atlantide… Quel che conta è che tutte le più antiche civiltà di questo nostro Pianeta conservano una testimonianza mitologica di un cataclisma ‘acquatico’ (sulla cui veridicità storica il dibattito dottrinale è tuttora aperto) come presupposto per una successiva rinascita in qualcosa di migliore. Infatti, psicanaliticamente, l’acqua, riconducendosi all’idea del liquido amniotico, è per eccellenza il simbolo archetipo della nascita. Allo stessa maniera, dunque, il mondo di Ovo cancella gli errori precedenti e si prepara all’avvento di una civiltà più elevata. Gli Oviani trovano rifugio tra i rami dell’immensa quercia e, mentre si consuma l’attesa del calo delle acque sulla terraferma, il piccolo Ovo viene finalmente alla luce. Nella storia, l’appellativo del piccolo viene scelto da suo padre perché, osservando il neonato, questi nota che il taglio tondo dei suoi occhi e la conformazione delle sue sopracciglia  tracciano  graficamente queste lettere sul visino del bimbo. Ma, relativamente alla scelta del nome, ‘la storia dietro la storia’ viene invece spiegata da Gabriel come segue: “Mi piacciono ancora i titoli brevi perché assumono una valenza grafica. Il mio preferito per questa occasione era OMO, anche per le connotazioni semantiche della parola, ma sfortunatamente è anche la marca di un detersivo… Anche se credo che ormai abbiano smesso di produrlo, per cui potrei ancora cavarci fuori qualcosa in futuro. E mi sono sempre piaciute anche le parole simmetriche e i palindromi, perciò OVO sembrava adattarsi benissimo, sotto questo profilo, e anche sotto quello semantico, perché richiama un mito di creazione, dell’uovo da cui il  bambino è originato e che vola via verso il futuro in questa sorta di nido, una specie di astronave organica che richiama ‘2001 Odissea Nello Spazio’. Quindi penso che dietro al titolo ci fosse tutto questo ragionamento, ma per un bel po’ il nome è stato rifiutato e siamo passati attraverso una serie di altri nomi, finché al Dome è subentrata una nuova Direzione e a quel punto abbiamo riavuto indietro il nome OVO.

Il piccino reca in sé le principali connotazioni degli eroi mitologici di ogni tempo: come tutti loro è nato da un amore osteggiato (prima da Theo e poi da Ion), è destinato a una grande impresa e, come molti di loro (si possono richiamare gli esempi di Sargon, Karna, Mosè, Sigfrido e Sceaf), verrà affidato all’acqua (la cui valenza è stata evidenziata sopra) e a un nido/cesta  (che, assieme all’acqua, completa la simbologia della rinascita, in quanto, psicanaliticamente, la cesta è elemento rappresentativo dell’utero materno). Infatti Sofia fa un sogno premonitore in cui vede il piccolo navigare in un nido nel cielo – che, nel frattempo è diventato un mare, essendosi il mondo capovolto sottosopra, quasi a realizzare la profezia biblica “come in Cielo così in Terra”.  La funzione di Ovo diventa quella di una sorta di ‘link’ fra questi ultimi due elementi (non dimentichiamo che, del resto, il neonato è progenie di due razze rappresentative proprio di ‘Urano’ e ‘Gea’). Ella prega pertanto la sua gente di aiutarla a fabbricare quel rifugio di matrice onirica. Una volta approntato, il morbido riparo di foglie e piume viene riempito di cibo e il bimbo vi viene deposto. Poi, col suo prezioso contenuto, esso viene lasciato andare.

Si apre qui il discorso futurista di ‘Make Tomorrow’, che sembra in parte riecheggiare il tema di ‘Come Talk To Me’ del precedente album 'Us', con quella volontà di riappropriarsi del contatto umano ("metti giù il telefono che tieni in mano, metti via quelle cose che si frappongono fra noi”), superando le separazioni sotto l’egida della rievocazione dei tempi felici (“indossa il vestito con cui ti sei sposata", “riesci a ricordarti da dove entrambi siamo venuti? Facciamo quello che facevamo una volta”).

Pic: Mark Fisher studio
Pic: Mark Fisher studio