Corre l'anno 1974 quando Tobe Hooper realizza uno degli horror più intransigenti di tutti i tempi: Non aprite quella porta. Un horror che ha dovuto scontare il proprio successo con gl'immancabili seguiti che lo hanno un po' per volta trasformato in qualcosa di quasi tranquillizzante, di quasi comico, di quasi accettabile.

E oggi… oggi arriva il remake.

Diciamo la verità: ci siamo abituati al continuo riciclo di idee, e sappiamo tutti che il cinema ama troppo smodatamente se stesso, la propria mitologia interna, per non ripetersi e ripetersi e ripetersi. Si tratta di un'autoreferenziarietà a cui non si fa nemmeno più caso. Come a dire: le storie sono sempre le stesse e vanno riproposte senza tregua a nuove generazioni, cambiando - al più - la tecnica narrativa. Eppure esiste una logica sottile in questo riemergere di personaggi, plot e atmosfere.

Se l'horror fosse un corpo, questo corpo sarebbe stato, negli ultimi anni, depezzato e gettato in fondo a una palude di censure e ridicole morali; neanche le macchie di sangue rimaste nel locus delicti sarebbero state risparmiate. Gli stessi sociologi, psicologi, e mille altri "qualcosologi" autori dello smembramento, le avrebbero nettate con detergenti al delicato profumo di politicamente corretto e strofinacci in puro tessuto new age.

Ma c'è sempre un ma, e - almeno in questo caso - il crimine non ha pagato.

Perché eccole lì, le membra mutilate dell'horror, eccole riemergere dalla palude, ricompattarsi in una bestia urlante, forse più brutta e incazzata di prima. Eccoci - alleluja! - a riprendere un discorso che a tanti sembrava chiuso.

Ritorna il rombo di una motosega in un cinema! Una motosega cattiva, il cui nastro dentellato affonda nella carne palpitante di teenagers al macello. Con tutto il rispetto che si può avere per la motosega di Ash ne L'armata delle tenebre, l'emozione è di quelle che andrebbero celebrate con una o due lacrimucce. Quindi Non aprite quella porta non è semplicemente un remake ma l'urlo di quella bestia, una sorta di suggello, di ciliegina sulla torta, al trionfante ritorno dell'horror nell'immaginario di tutti.

Ritorna l'horror cupo, senza humor, fatto di urla, spasmi e frattaglie.

Qualcuno potrà dire: ma era veramente morto? No. Certo che no. Pretendere di eliminare un genere come l'horror dalle fantasie umane sarebbe un po' come volerci castrare degli incubi che rendono meno monotone le nostre notti (cosa che a tanti piacerebbe, soprattutto in questa nuova età vittoriana); pur depezzato e mezzo annegato nella palude, l'horror - nel nostro paese dei cachi - ha resistito in una semivita clandestina, attento a non far affiorare bolle troppo puzzolenti. E lentamente ha rigenerato se stesso.

Prima con film non troppo cattivi, poi un po' più cattivi e adesso - finalmente - cattivissimi.

Non aprite quella porta (remake) non regge il confronto con l'originale. Quello era secco e massiccio come un pugno nello stomaco dato da Tyson, questo è patinato dalla prima all'ultima inquadratura, figlio di uno storyboard completo di colori e dettagli minimi, sorretto da un'ottima colonna sonora, puntellato con attori tutto sommato accettabili e belle figliole pettorute. Ciò nonostante il nettare rimane lo stesso: un succo putrido e ammorbante, un pus giallastro denso e ricco come crema pasticcera.

Cinque fricchettoni arrivano in un paesino sperduto del Texas. Soccorrono una ragazza fuori di sé che non aspetta che pochi minuti per farsi esplodere il cranio con un colpo di pistola. Cosa aveva visto per suicidarsi? Nulla di speciale, aveva solo conosciuto la gente del luogo. Bella gente coi denti in fuori o la faccia devastata da una malattia della pelle, che s'accampa tra la spazzatura, tiene grufolanti maialini in casa, sfrutta l'invalidità per palpeggiare tondi sederini, ruba i bambini, fa a pezzi i turisti e impazzisce sotto il sole in un gran lezzo di whisky, orina e sudore.

La storia potete immaginarla, potete immaginare cosa combina Faccia di Cuoio con la sua rombante motosega, potete immaginare le urla e la mattanza. Però non crediate che immaginare basti, e che questo remake coi fiocchi non meriti di essere visto (magari in compagnia di qualcuno debole di stomaco) per apprezzare le variazioni sul tema (ce ne sono molte), la fotografia verdastra, giallastra, organica e nauseante, per sobbalzare ai tanti "buh!", per sorridere, sì, ma di nervosismo, non perché il film purga la propria violenza in una scenetta comica e demenziale... e - merita di essere ribadito - per commuoversi al rombo di quella motosega che esplode in dolby surround.