Un giovanotto svogliato quanto ambizioso lavora – o meglio, non lavora – in un impresa di lavaggio sognando il grande colpo che gli permetta di arrivare al top della scala sociale. La sua opportunità giunge quando, per un equivoco, viene creduto responsabile della morte di uno dei figli di un potente boss mafioso e la sua menzogna è retta dal fratello del defunto che vuole rifarsi una vita. Ma il pericolo incombe mentre l’eroe comincia a rimpiangere gli amici di un tempo, messi da parte troppo in fretta...

Cominciamo dal voto, Shark Tale merita un “discreto” che è la media tra l’ottima realizzazione tecnica e il divertito impegno dei protagonisti – primeggia Will Smith, molto più capace qui che nell’indigesto I, Robot – e la storia non eccelsa né fantasiosa. Linguaggio permissivo a parte e qualche incontinenza corporale di troppo, sembra un divertito omaggio allo stereotipo From Rags to Riches che furoreggiava tra gli anni ’30 e ’40, se le voci fossero state quelle di Mickey Rooney, Edward G. Robinson e Sylvia Sidney l’illusione sarebbe stata perfetta. E’ un po’ come rivedere, per chi lo ha presente, la prima parte del commovente e divertente Il Boxeur e la Ballerina (Movie, Movie, 1979) di Donen o un’ennesima variazione della favola di Ammazzasette; il tutto filtrato attraverso l’umorismo e la satira goliardica e sempliciotta di Mad magazine, incluse le parole cambiate a canzoni famose (Car Wash diventa, con rispetto anche della metrica, Whale Wash, ovvero Lavaggio Balene) un giochino molto più diffuso negli Stati Uniti che non da noi, dove ormai – per chi ricorda i fasti di Giovanna la Nonna del Corsaro Nero e i classici rivisitati dell’inossidabile Quartetto Cetra – sono un po’ demodé.

Le battute sono divertenti, se non graffianti, le side gag funzionano (soprattutto grazie alla simpatia delle due meduse rasta), ci sono momenti esilaranti come quando gli squali mafiosi vanno all’attacco mugolando la colonna sonora di Jaws, o quando nel finale Martin Scorsese arrischia un incredibile Reggae Rap con tanto di “Yo, Mon!”, ma l’insieme scricchiola e ci sono effettivamente cadute di gusto che danno fastidio come la scena del funerale – cattolico – di Frankie, lo squalo figlio del boss Don Lino.

Manca qualsiasi accenno a una morale valida per il periodo che viviamo o a un percorso iniziatico come quello ben presente in Alla Ricerca di Nemo, così come non c’è ricorso alla tanto paventata violenza che ha spinto la censura americana a imporre il parental guide al film; perfino i temutissimi squali appaiono costantemente frustrati, tutto è spaventosamente edulcorato.

Tra mafiosi da operetta e meduse giamaicane, sorge un legittimo dubbio legato all’improbabile finale che si dipana in un tripudio di sentimenti premiati e felice concordia: se tutti quanti gli abitanti della barriera corallina si convertono alla dieta vegetariana propugnata da Lenny, che ne sarà della catena alimentare?

Non è che dopo la visione del film qualche bambino si sentirà autorizzato ad accarezzare gli squali, inermi bonaccioni dell’oceano?

Un ultima annotazione: nella versione originale Will Smith, Robert De Niro, Angelina Jolie – tra gli altri – doppiano i loro sosia marini con effetto un po’ straniante ma azzeccato, siamo sicuri che nella versione italiana, Luca Laurenti, Tiziano Ferro, Cristina Parodi o Luisa Corna – senza nulla togliere alle loro capacità in altri campi – funzioneranno altrettanto bene?

Staremo a vedere, o meglio, a sentire.