«Gli abitanti dei Monti – un territorio aspro e selvaggio – possiedono dei Doni: uno per famiglia, passato ai discendenti per via ereditaria (di padre in figlio e di madre in figlia). Doni meravigliosi: la capacità – con un gesto, una parola, un'occhiata – di chiamare gli animali, di accendere il fuoco, di spostare la terra. Doni terribili: la possibilità di spezzare un arto, di ottenebrare la mente, di scatenare una malattia devastante. E gli uomini e le donne dei Monti vivono nel continuo terrore che una famiglia "scateni" il proprio Dono contro le altre, mutilandole, sterminandole o rendendole schiave. Ma, così facendo, non rinunciano forse a ciò che hanno di più prezioso?»

Ursula K. Le Guin (Berkeley, 1929) sfiora in questo suo ennesimo, pregevolissimo romanzo corde emotive profonde, senza accontentarsi di narrare una “bella storia” fine a se stessa, e chiedendo al lettore di scavare nell’intimità umana come mai prima d’ora. Lo fa usando uno stile semplice, risicato fin quasi al limite, essenziale (ciò dimostrato anche dalla misurata lunghezza di questo lavoro); lo fa con garbo, senza strafare, e con abilità innata. La Le Guin non si perde in invitanti descrizioni o in rocambolesche avventure, ma indaga in profondità il cuore e la mente umana, fino a sviscerarne i più torbidi segreti, le più cupe paure, i più sordidi desideri (e bisogna dire in un modo davvero ingegnoso e brillante!).

Chi cerca in questo volume, I Doni (primo tomo di una trilogia in fase di stesura), la “classica” Le Guin, quella di La Mano Sinistra delle Tenebre (The Left Hand of Darkness, 1969) o di I Reietti dell’Altro Pianeta (Dispossessed; an ambiguous utopia, 1974), rimarrà forse - il dubbio è lecito - deluso. Non stiamo parlando solo di un cambio di genere – comunque non alieno a questa pregevolissima autrice –, ma parliamo soprattutto di un più profondo e non indifferente cambio di stile. La storia sfreccia via fluida, con grazia infinita e con indiscutibile ingegno: si fa intensa e toccante, e subito dopo tranquilla e serena. Dove un tempo la Le Guin risultava essere profonda, esigente e indagatrice, qui appare invece lieve, raffinata e semplice. Tutto ciò non va a demerito di questo libro, anzi: una scelta simile, si pone in un certo senso come una piacevole variante in un genere dove pochi dei tanti autori affermati “amano” e “osano” sperimentare in tutta libertà. E questo sperimentare, questo osare, lo si ritrova ancora una volta nel modo in cui l’autrice tratteggia i suoi “giovani eroi d’inchiostro”.

I personaggi sono difatti caratterizzati in maniera eccellente e la Le Guin sceglie di narrare in prima persona: il punto di vista è quello di un ragazzo, Orrec, che per buona parte della vicenda indossa una benda sugli occhi e che in definitiva risulta cieco agli eventi che gli si svolgono attorno. Un’idea, questa, oltremodo intrigante e che non potrà mancare di coinvolgere i lettori affascinati da questo genere di sfide narrative. La storia che tocca questo giovane è studiata nei minimi dettagli, e mostra il meglio delle capacità dell’autrice. C’è lo scontro generazionale, i turbamenti dell’adolescenza, il dolore profondo e la passione improvvisa; la perdita del potere e degli affetti, la voglia sempre presente di rivalsa e il riscatto finale. 

Si può allora ben dire – senza correre il rischio di scadere in banali considerazioni – che Orrec si immerge per libera scelta nelle tenebre venutesi a creare nel suo mondo, ma solo per riuscire a scorgere con maggior chiarezza la luce che gli sta tutt’intorno. E in questo percorso sarà aiutato da un “cast” di personaggi di primo livello. Caratterizzati in modo limpido, appassionato ed estremamente veritiero, su tutti spicca in particolar modo Gry, coetanea e amica di Orrec: una giovane ragazza d’animo profondo e taciturno che – esattamente come il protagonista – decide di non adoperare il Dono che possiede e di sfidare le regole in uso da secoli per trovare una propria via. Ci riusciranno? Troveranno la loro strada? A voi scoprirlo.

Per finire, il libro (per nostra fortuna) non sembra risentire della spesso ingombrante suddivisione in più volumi (cosa assai di moda in questi ultimi anni). Qui la serialità non è un fastidioso impiccio, ma un sottile filo rosso che raccoglie più avventure legandole tutte assieme sotto a uno stesso cielo. La storia risulta così a sé stante, la si assapora con grande piacere, chiara e precisa dall’inizio alla fine, senza lasciare domande fondamentali in sospeso. La traduzione, infine, è davvero eccellente ed è un pregio di non poco conto.

Che dire ancora? Nulla, se non che la trilogia ideata dalla Le Guin ha iniziato felicemente il suo percorso – col piede giusto, sfiorando le corde giuste –, e noi non possiamo far altro che augurarci continui così anche con i prossimi volumi.