“Nel mondo non c’è niente con meno o più di due zampe. Niente con le ali. niente che succhia il sangue. niente che si nasconde in minuscole fessure, agita viticci, sgattaiola nell’ombra, depone le uova, si lava la pelliccia, fa scattare le mandibole, o fa tre giri su di sé prima di stendersi col naso sulla coda”. Questo perché il mondo di Hsing e del suo amico Luis è un mondo artificiale, creato dall’uomo con un ben preciso scopo e sospeso fra due tempi molto lontani.

Le prime pagine di Paradisi perduti sono quasi una guida per il lettore, un aiuto a orientarsi in quel mondo ristretto che è l'unico conosciuto dai suoi protagonisti. Il resto, gli animali come i luoghi, chiamati solennemente con la maiuscola (Città, Giungla o Campagna) sono solo illustrazioni dei libri o al massimo Terre virtuali. Ma Ursula K. Le Guin è una scrittrice vera anche quando lascia la trama un po' in disparte per fornire informazioni di base. Lo stile è quello solito, asciutto, senza fronzoli, le descrizioni essenziali, i dialoghi ridotti al minimo. Esattamente ciò che serve per descrivere un luogo essenziale, nel quale può esistere solo ciò che è strettamente necessario alla sopravvivenza dell'intera comunità.

L'astronave ha lasciato la Terra da centoventi anni, diretta a Nuova Terra per una missione scientifica. Il pianeta d'origine è ormai un ricordo del passato conservato solo nella memoria del computer, visto che tutti coloro che lo hanno conosciuto sono morti. E, all'arrivo previsto, manca ancora parecchio tempo.

È su queste due distanze, quella fra il mondo lasciato e il mondo non ancora raggiunto, che si snoda la storia. L'inizio è un'introduzione a quel mondo la cui autosufficienza è basata su un equilibrio delicatissimo. I rapporti fra le persone, la ritualità dei gesti, la riverenza destinata a oggetti preziosi e insostituibili, la ricerca di un'identità, la definizione del mondo si susseguono in capitoli molto brevi. Ma se per Hsing e Luis quella che viene descritta è la normalità il lettore non può non provare un senso di spaesamento nel constatare la differenza con la sua idea di normalità.

Il punto di vista cresce e matura con la ragazzina, cambiando la sua comprensione e il suo modo di rapportarsi a quel che la circonda. In maniera graduale, tanto lieve da essere quasi impercettibile, l'autrice porta avanti la sua trama mostrando che quel mondo che sembrava perfetto e immutabile in realtà non è immune ai cambiamenti, e che anche piccoli eventi possono avere conseguenze enormi. E mentre le coscienze mutano e si creano nuovi rapporti all'interno di quella comunità chiusa ma non più unitaria, un evento imprevisto spinge tutti a interrogarsi sulla natura del viaggio e sul senso delle loro vite. Così l'impressione di imperturbabilità dell'inizio viene sostituita da un senso d'urgenza a cui però è difficile dare una giusta direzione. Informazioni vitali si scoprono incomplete, quando non del tutto errate e la realtà cambia al punto che nulla potrà più essere come prima. Il presente deve essere rimodellato in modo nuovo per poter costruire un nuovo futuro, anche se non tutti concordano su quale sia il cammino giusto da percorrere.

L'astronave e il suo equipaggio che proseguono nella loro missione generazione dopo generazione non è un'idea nuova nella fantascienza, ma le idee devono anche essere sviluppate. E se la Le Guin ha sempre ritenuto che il compito della fantascienza consista nel porre domande al lettore, Paradisi perduti è un esempio perfetto di come ci si possa interrogare su religione, scienza, differenze di culture, etica, censura, sogni e speranze, e su come alla fine sia sempre necessaria una scelta. Senza paternalismi, senza neppure la certezza che la scelta compiuta sia quella giusta, ma sempre in compagnia di personaggi vivi e affascinanti.