In tanti nei secoli gli hanno fornito il sostrato corporeo per esibirsi nelle acrobazie fisiche e mentali che lo caratterizzano, ma a me pare sempre molto somigliante a Lawrence Olivier; so che non è originale, ma del resto squadra che vince non si cambia: perché mai, allora, si dovrebbe cambiare un volto che funziona?

Ce l’ho davanti. Mi guarda un po’ sornione e un po’ benevolo. E anche un po’ dall’alto in basso; se no che empireo sarebbe, vi pare? Se ne sta tranquillo, apparentemente ozioso a guardare il cielo, con l’aria di chi sta per giocare al gatto col topo. Io, comunque, non mi faccio scappare l’occasione, e attacco subito con la prima domanda.

Senti, Amleto, perché a un certo punto ammazzi Polonio?

…? No, scusa, fammi capire: prima sdilinquisci in codesto panegirico nei miei confronti, poi mostri grande premura di intervistarmi, e da ultimo, quando sembra che anche le Pleiadi scenderebbero ad ascoltarti e con esse le muse, le ninfee e le parche tutte, ecco che inizi con una bolsa domanda sul perché o sul percome io avrei ucciso l’altrettanto bolso Polonio. Dico: mi prendi in giro?

Con tutto il rispetto, principe, mi sembra che sei tu ad aver già cominciato a sfottermi… Comunque… No, è che da quando ho letto Amleto per la prima volta ho cominciato a chiedermi perché a un certo punto decidi di far fuori Polonio, tutto qui.

Ahi ahi, mio buon amico, mi ricordi quegli studiosi vostri contemporanei, che studiando il particolare o addirittura la patologia di un organismo credono di poter ricostruire le regole generali che governano l’intero. Chiunque pensasse di elaborare una teoria su come si costruisce una casa tenendo in considerazione solo le macerie, cioè i fallimenti, sarebbe con ogni probabilità considerato pazzo; eppure pensate di poter ricostruire il meccanismo generale che regola la psiche umana tenendo in considerazione solo le sue nevrosi o le sue fobie, che tra l’altro sono moltitudini, perché moltitudini sono gli uomini… per tacer delle donne! A volte, ancora, volete analizzare la società secondo un metro puramente conflittuale, quand’anche assolutamente minoritario: nel ‘68, ad esempio, quelli che alla mattina andavano mestamente in fabbrica o ad aprire bottega o in biblioteca a studiare erano molti di più di quelli che riempivano le piazze di cortei, striscioni e slogan, però erano questi ultimi a finire sempre sulle prime pagine dei giornali, perché le persone che a torto o a ragione si posizionavano in modo collaborativo con il sistema (cioè accettandone le regole) non erano ritenute tanto degno d’interesse.

Sì, ma a parte il fatto che è curioso sentire una dissertazione del ‘68 da te te, che sei un personaggio della Danimarca del medioevo inventato in Inghilterra alla fine del '500, mi dici che c'entra questo con la mia domanda su Polonio?

Ma niente, dicevo così, per dire… Però anche tu, avendo a disposizione me, che sono il corpus della tragedia che porta il mio nome, ti attardi a speculare su un personaggio minore come Polonio!

Va bene, mettiamola così: che domanda vuoi che ti faccia?

Tu pensi veramente che tutti quelli che ci leggeranno saranno già a conoscenza della mia storia?

Ma certo, sei famoso come una rockstar; e della rockstar hai la volubilità e l'irraggiungibilità.

Ma le rockstar non sono famose: solo le loro ombre lo sono; quelle che vengono propagate dai media, quelle raffiche di balle paurose; i fan credono di sapere tutto sui loro idoli, ma sanno ben poco, perché i press-agent si danno un gran daffare per gettare in pasto al pubblico quello che il pubblico stesso vuol sentirsi dire; secondo il principio domanda-offerta. Se per esempio a Marilyn Manson venisse in mente di pagare gli studi a un bambino del terzo mondo, un buon agente dovrebbe fare di tutto per tenerlo nascosto, perché se si venisse a sapere gli si rovinerebbe il make-up mediatico, cioè quel totem che nella vita reale non esiste, e che fa soldi a palate sfruttando certi precisi dettami del proprio culto. A meno che…

A meno che?

A meno che questo ulteriore cambio di facciata non fosse a sua volta una mossa: l’arte di reinventarsi è rara e difficile; io ne so qualcosa.

Frank Sinatra
Frank Sinatra

Molti tra critici e studiosi sostengono che la prima rock-star della storia è stato Frank Sinatra anche se non ha mai cantato una sola nota di rock in vita sua; questo per via delle scene di isteria collettiva ed esplicitamente erotica che suscitava in legioni e legioni di ragazze pronte a tutto pur di vederlo esibirsi dal vivo. Fu certamente il primo, negli anni ‘40, quando il rock non era ancora stato inventato, a dover cantare nei palasport, perché se si fosse esibito nei locali preposti, alla maniera di Bing Crosby, per intenderci, quei medesimi locali sarebbero stati letteralmente rasi al suolo.

Ebbene?

Ebbene, proprio in quel periodo il suo agente George Evans riuscì per anni a far credere che Frank era il prototipo del bravo ragazzo un po’ timido e marito fedele; che aveva occhi solo per sua moglie e non era minimamente interessato alle altre donne; che, insomma, il suo matrimonio sarebbe durato in eterno.

Questa è la prova che al grande pubblico si può far credere di tutto… però c'è una sottigliezza psicologica notevole: più le fan lo desideravano, più Evans metteva in giro la voce che lui era il marito ideale; cioè, in pratica, che per loro non c'era niente da fare…

…e in questo modo loro lo desideravano ancora di più: loro non potevano innamorarsi di un inguaribile dongiovanni, ma del loro ragazzo ideale. Il cavaliere azzurro non può tradire, per il semplice fatto che non esiste: su di lui una donna può convogliare tutte le aspettative che vuole.

Poi con l'arrivo di Ava Gardner quella messinscena non resse più…
Ava Gardner
Ava Gardner

Se hai presente com’era Ava Gardner all’epoca capirai che ben poche cose sarebbero state in grado di reggere… comunque a quel punto l’unica mossa mediatica possibile era quella di puntare tutto su un’immagine opposta, che è poi quella che di Sinatra si è conservata fino a oggi.

Altrettanto fasulla, dici?

Altrettanto no, però in buona parte gonfiata per il solito piacere dei fan; credimi, non c’è niente di così irriducibile come un luogo comune, quando riesce a conficcarsi nelle cervici della gente. Per fare un esempio vicino a quelli fatti finora: se Dean Martin ogni volta che andava in scena avesse veramente bevuto tutto quel whisky, gli si sarebbe disfatto il fegato a quarant’anni; così pur essendo senza dubbio un robusto bevitore, spesso si presentava sotto i riflettori con il bicchiere pieno di succo di mela.