«Lei deve essere Miss Doyle. L’aspettavamo mezz’ora fa. Ha fatto attendere la direttrice. Venite. Seguitemi».

 

§

 

La governante ci chiede di aspettare in un salottino semibuio pieno di libri polverosi e di felci avvizzite. Il fuoco è acceso. Crepita e sibila divorando la legna secca. Un trillo di risate risuona dalla porta a due battenti aperta e in un attimo scorgo diverse ragazzine con indosso scamiciati bianchi che avanzano nel corridoio. Una lancia un’occhiata dentro, mi vede e prosegue come se non fossi altro che un mobile. Ma un attimo dopo torna con altre compagne. I loro occhi si fissano su Tom che si pavoneggia e rivolge loro un inchino, facendole scoppiare in risolini estatici.

Che Dio ci aiuti.

Temo di dover usare l’attizzatoio per far cessare questo spettacolo. Per fortuna mi viene risparmiato ogni istinto omicida. La torva governante è tornata. Per me e Tom è giunto il momento dei saluti, che consistono principalmente nel tenere lo sguardo fisso sul tappeto.

«Bene, allora. Penso che ci vedremo il mese prossimo per il Giorno della Riunione con le altre famiglie».

«Suppongo di sì».

«Rendici orgogliosi di te, Gemma» conclude. Nessuna rassicurazione sentimentale, ti voglio bene; andrà tutto bene, vedrai. Sorride un’ultima volta alla folla di ammiratrici adoranti ancora appostate in corridoio, poi se ne va. Io resto da sola.

«Da questa parte, Miss, se vuole seguirmi» dice la governante. La seguo fuori in un immenso atrio aperto, con un incredibile scalone doppio che si biforca a destra e a sinistra. Un alito di vento da una finestra aperta fa dondolare i pendenti di cristallo di un candeliere sopra la mia testa. È un’opera stupefacente. Gocce di finissimo cristallo sono appese a sostegni metallici a forma di serpenti.

«Attenzione ai gradini, Miss» mi esorta la governante. «La scala è ripida».

La scala sale e si avvita apparentemente senza fine. Dalla balaustra vedo le piastrelle di marmo nere e bianche che formano un motivo a diamante sul pavimento sottostante. In cima alla scala siamo accolte dal ritratto di una donna dai capelli argentei con un abito di gran moda una ventina di anni fa.

«Quella è Mrs Spence» mi informa la governante.

«Oh» rispondo. «Deliziosa». Il dipinto della donna è enorme, come avere l’occhio di Dio su di me.

Proseguiamo per un lungo corridoio fino a una pesante porta a due battenti. La governante bussa con il pugno carnoso, aspetta. Dall’altro lato della porta una voce risponde: «Avanti», e io vengo sospinta in una stanza dalla tappezzeria verde scuro con un motivo di piume di pavone. Una donna piuttosto corpulenta con una chioma castana striata di grigio è seduta a una grande scrivania, un paio di occhiali dalla montatura metallica appollaiati sul naso.

«È tutto, Brigid» dice, congedando la calorosa e amorevole governante. La direttrice torna a occuparsi della corrispondenza mentre io resto in piedi sul tappeto persiano, fingendo di essere rapita dalla statuetta di una contadinella tedesca che porta sulle spalle due secchi di latte. Il mio impulso sarebbe di girare i tacchi e scappare da lì a gambe levate.

Sono desolata. Ho sbagliato. Credo di dovermi presentare a un altro collegio, gestito da esseri umani, che potrebbero offrire a una nuova arrivata del tè o almeno una sedia. L’orologio sulla mensola del camino scandisce i secondi, il suo ritmo a cullarmi in una sonnolenza che cerco di combattere.

Finalmente la direttrice posa la penna. Indica una sedia sull’altro lato della scrivania. «Si sieda».

Nessun “per favore” o “prego”. Tutto considerato ho la sensazione di essere la benvenuta come una boccetta di olio di fegato di merluzzo. La bestia abbozza un’espressione bonaria che potrebbe essere scambiata per una folata di vento gelido.

«Io sono Mrs Nightwing, direttrice della Spence Academy. Ha buon viaggio, Miss Doyle?».

«Oh, sì, grazie».

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

«Brigid è stata gentile con lei?».

«Sì, grazie».

Tic, tic, tic, tac.

«Non è mia abitudine accogliere ragazze di età così avanzata. Trovo che per loro sia più difficile integrarsi con lo stile di vita della Spence». Ho già una macchia nera sulla mia reputazione. «Ma viste le circostanze, ho reputato nostro dovere cristiano fare un’eccezione. Le porgo le mie condoglianze».

Non dico niente e fisso lo sguardo sulla stupida contadina tedesca. È sorridente, ha le gote rosse, probabilmente sta tornando al suo piccolo villaggio dove l’aspetta la madre, senza ombre nere appostate nel buio.

Vedendo che non rispondo la Nightwing prosegue. «Mi rendo conto che le consuetudini richiedono di osservare un periodo di almeno un anno di lutto. Ritengo tuttavia che un monito tanto persistente non sia salutare. Ci fa concentrare sulla morte e non sulla vita. Riconosco che non sia convenzionale». Mi lancia una lunga occhiata da sopra il bordo degli occhiali per vedere se ho qualcosa da obiettare. Nulla. «È importante che si ambienti qui e sia allo stesso livello con le altre ragazze. Dopotutto molte di loro sono con noi da anni, hanno passato qui molto più tempo che con le famiglie. La Spence è come una grande famiglia, basata sull’affetto, il rispetto, le regole e la coerenza». Sottolinea l’ultima parola. «Pertanto indosserà anche lei la stessa uniforme come tutte le altre ragazze. Confido che sia accettabile per lei, vero?».