Sono sicura che stia scherzando. Tra un istante scoppierà a ridere, dirà che era uno scherzo, ma invece il suo sorriso compiaciuto non vacilla. Non ho intenzione di accettare in silenzio questo insulto. «La mamma era allo stesso livello di papà» replico gelida. «Lui non pretendeva che gli camminasse due passi indietro come una povera imbecille».

Tom torna serio. «Appunto. E guarda dove ci ha portato». Cade di nuovo il silenzio. Fuori dal finestrino, Londra scorre via e Tom si volta a guardarla. Per la prima volta vedo il suo dolore, lo leggo nel modo in cui si passa ripetutamente le dita tra i capelli, e capisco quanto gli costi nascondere tutto. Ma non so come riuscire a costruire un ponte oltre questo silenzio imbarazzato, così continuiamo il viaggio, guardando tutto, vedendo poco, senza parlare.

«Gemma…». La voce di Tom rompe il silenzio, poi si blocca un istante. Sta lottando contro ciò che gli ribolle dentro, qualunque cosa sia. «Quel giorno con nostra madre… perché diavolo sei scappata via? Che cosa ti era preso?».

La mia voce è un sussurro. «Non lo so». È la verità, ma è una ben magra consolazione.

«L’assurdità delle donne».

«Sì» dico, non perché sia d’accordo, ma perché voglio dargli qualcosa, qualsiasi cosa. Lo dico perché voglio il suo perdono. E poi forse potrei cominciare a perdonare me stessa. Forse.

«Conoscevi quel…» serra la mandibola «…quell’uomo che hanno trovato ucciso con lei?».

«No» bisbiglio.

«Sarita ha detto che eri isterica quando lei e la polizia ti ritrovarono. Parlavi di un ragazzo indiano e di… di una visione che avevi avuto». Fa una pausa, si strofina i palmi delle mani sulle ginocchia. Non riesce a guardarmi.

Le mani mi tremano in grembo. Potrei dirglielo. Potrei rivelargli ciò che mi sono tenuta dentro. Proprio ora, con quel ciuffo di capelli che gli cade sugli occhi, è il fratello che mi mancava, quello che un tempo mi riportava i ciottoli dal mare, dicendomi che erano gioielli del rajah. Voglio dirgli che temo di star impazzendo a poco a poco e che niente mi sembra più reale. Voglio raccontargli della visione, farmi accarezzare la testa in quel suo modo insopportabile e sentire liquidare la cosa con una spiegazione medica perfettamente sensata. Voglio chiedergli se è possibile che una ragazza nasca antipatica, oppure se ci diventa e basta. Voglio raccontargli tutto e fare in modo che capisca.

Tom si schiarisce la gola. «Quello che voglio dire è: ti è capitato qualcosa? Lui… sei a posto?».

Le mie parole ricacciano entrambi in un silenzio buio e profondo. «Vuoi sapere se sono ancora vergine».

«Se vuoi metterla così, sì».

Adesso mi rendo conto che è stato ridicolo da parte mia pensare che lui volesse sapere quello che era successo per davvero. La sua unica preoccupazione è che io non abbia in qualche modo disonorato la famiglia. «Sì, sono ancora a posto, come dici tu». Avrei voglia di ridere, che grande bugia: non sono affatto a posto. Ma funziona come mi immagino. È quello che è vivere nel loro mondo: una grande bugia. Un’illusione in cui tutti si voltano dall’altra parte e fingono che non esista niente di spiacevole, nessuna creatura della tenebra, nessun fantasma dell’anima.

Tom raddrizza le spalle, sollevato. «Bene. Perfetto, allora». Il momento di debolezza umana è passato e lui è tornato tutto d’un pezzo. «Gemma, l’omicidio di nostra madre è una macchia su questa famiglia. Sarebbe scandaloso se si sapesse cosa è realmente accaduto». Mi guarda. «Nostra madre è morta di colera» dichiara con enfasi, come se credesse lui stesso a tale bugia. «So che non sei d’accordo, ma sono tuo fratello e ti dico che, meno si sa in giro, meglio è. È per il tuo bene».

Lui è tutto fatti e niente emozioni. Gli sarà utile un giorno quando sarà un dottore. So che quello che mi sta dicendo è vero, ma non posso fare a meno di odiarlo. «Sei sicuro che la tua preoccupazione sia proprio il mio bene?».

Serra di nuovo la mandibola. «Non terrò conto di queste tue parole sfacciate. Se non vuoi pensare a me, a te stessa, allora pensa a nostro padre. Non sta bene, Gemma. Te ne sei resa conto anche tu. Le circostanze della morte di nostra madre lo hanno sconvolto». Armeggia con i polsini della camicia. «Saprai bene che nostro padre è caduto vittima di alcune esecrabili abitudini in India. Fumare il narghilè con gli indiani l’avrà reso molto popolare, ne avrà fatto uno di loro ai loro occhi, ma non ha certo giovato alla sua salute. È sempre stato attaccato ai piaceri. Alle fughe».

A volte papà rincasava tardi sfinito. Ricordo che spesso la mamma e la servitù lo aiutavano a mettersi a letto. Eppure, sentire queste parole mi fa male lo stesso. Odio Tom per questo. «Allora perché continui a fornirgli il laudano?».

«Non c’è niente di male nel laudano. È un medicinale» sbuffa lui.

«Con moderazione…».

«Papà non è un drogato. Non papà» esclama, come se dovesse convincere una giuria. «Adesso che è tornato in Inghilterra, si rimetterà. Ricorda quello che ho detto. Puoi promettermi almeno questo, per favore?».