Francesco Dimitri  è un esperto di letteratura fantastica e magia. Nato a Manduria (TA) nel 1981, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato quattro saggi, Comunismo magico (2004), Guida alle case più stregate del mondo (2004), Neopaganesimo (2005) e Manuale del cattivo (2006), oltre a essere co-autore di Dies Iraq (2003), tutti con Castelvecchi, e un romanzo, già opzionato per il cinema, La ragazza dei miei sogni (Gargoyle Books, 2007). La Guida alle case più stregate del mondo è considerato un piccolo cult, e ne è uscita un’edizione spagnola. Collabora con «XL», scrive sceneggiature e gioca di ruolo almeno una volta a settimana. Il suo sito è www.francescodimitri.com

Posso iniziare con una domanda cattiva?

Prego.

Il 4 giugno vado in libreria, prendo Pan. Do un’occhiata sommaria e capisco che siamo all’ennesima rivisitazione in chiave moderna di Peter Pan… Ci hanno fatto film, canzoni, cartoni animati, ce lo hanno presentato in tutte le salse. Per quale motivo dovrei comprare il libro?

Oltre che per la mia indiscutibile simpatia intendi?

Oltre.

Perché non è una rivisitazione di Peter Pan. Ho cercato di tornare alle radici del mito. E del mito di Peter Pan fa parte il gran dio Pan, una delle divinità più inquietanti del pantheon greco; fa parte la crudeltà infantile (i Bambini Perduti di Barrie erano terribili, molto lontani dall’immagine zuccherosa che ce ne siamo fatti); e ne fa parte il potere dell’immaginazione: un potere che non è necessariamente “positivo”, come tanti psicologi da talk show vogliono farci credere. Né è metafora di qualcos’altro. È un potere puro, selvaggio e meraviglioso, che spaventa e rende forti al tempo stesso. Come tutte le cose per cui vale la pena vivere, del resto.

Quindi Pan non è un libro pieno di bambini svolazzanti e un pirata con un uncino al posto di una mano. Parliamo di dei?

Sì. Ma soprattutto di uomini, anche se nella storia abbiamo personaggi divini (e non dimentichiamoci che Barrie si rifaceva “esplicitamente” a un dio). Il punto di vista è sempre umano. Gli umani sono al centro e si fanno domande. Il punto non è tanto chiedersi se gli dei esistano o no, quanto se fidarci di loro oppure no. E anche interrogarci sulla loro natura: diciamo che gli dei di questo libro sono particolari, per certi versi.

Vuoi dire che non assisteremo alla solita lotta tra il Bene e il Male, tra Bianco e Nero?

Spero proprio di no! Intendiamoci, “la lotta tra il Bene il Male” ha dato vita a grandissime storie, e io credo che un certo manicheismo, anche se nella realtà consensuale non ha senso, possa averne nelle storie che raccontiamo. Ma non era questo il tipo di storia che volevo raccontare. Volevo scrivere un “fantastico realistico”. Nella realtà consensuale non esistono Bene e Male, a volte non esistono neppure le vie intermedie. Esistono solo le scelte di noi uomini, che non sempre sono giudicabili.

Il libro è ambientato a Roma, ai tempi di oggi. Che c’entra Peter Pan con Roma? Non è poco credibile? L’Isola che non c’è, tutti quei posti meravigliosi, dove sono?

Di solito quando mi fanno questa domanda rispondo: che c’entra Pan con Londra? Pan/Fauno era una divinità greco/romana, non dimentichiamocelo… e il personaggio di Barrie era più simile a un dio capriccioso che a un bambino latte-e-biscotti. E poi i posti meravigliosi abbondano, basta saperli vedere. Ed è questo che abbiamo disimparato, nell’epoca di disincanto che viviamo.

Fammi indovinare, i bambini ci riescono.

Sì, ma non perché i bambini abbiano una magia naturale, un sorriso spontaneo o cazzate da Mulino Bianco del genere. Ci riescono perché agiscono prima di pensare; ci riescono perché per certi versi sono puri. “Purezza” significa anche distanza dai valori morali degli adulti. La purezza può essere terribile.

Tra le pagine di Pan c’è tanta anarchia, del resto…

Una dose di anarchia è indispensabile. Una grossa dose, checché se ne dica. Lo è oggi, perché abbiamo bisogno di liberarci di una delle culture più ipocritamente liberali che si siano mai viste. Diciamo che sono un ultra-libertario, e che Straniero in terra straniera mi ha segnato. Si vede in tutte le cose che scrivo.

Un libro che parla di dei ma anche di censura mi fa venire spontanea una domanda: uno scrittore ha un tema a cuore e ci inventa una storia intorno per poterne parlare? Oppure gli viene in mente una storia e la narrazione poi si arricchisce o viene influenzata dalla sua visione del mondo?

Non posso parlare per lo Scrittore come categoria esistenziale. Ma io parto sempre, sempre, sempre dalle storie. Perfino quando scrivo saggi parto dalla voglia di raccontare storie che mi hanno interessato. Poi è normale che il tuo punto di vista emerga, ma se scrivi un romanzo per mandare un messaggio stai barando. Io non ho nessuna stima, nessunissima, per gli scrittori che lo fanno. Senza peli sulla lingua. Io voglio scrivere storie potenti, che tirino il lettore dentro un mondo parallelo.

Ciò non toglie che il fantasy possa assumersi un ruolo, o comunque che non resti confinato in quello che troppa critica tradizionale considera un genere di “solo” intrattenimento per ragazzi.

È un discorso più ampio. Io credo che non esista nulla di più nobile dell’intrattenimento. La vita è intrattenimento, cos’altro? Solo che un certo tipo di visione del mondo, oppressiva, grigia e fondamentalmente noiosa, ci ha convinto che intrattenersi è male, che bisogna crescere, svilupparsi, che bisogna diventare cloni della tua prof di filosofia al liceo. Cazzate (con tutto il rispetto per i prof di filosofia, che ne ho conosciuti di ottimi).

Spiegati meglio.

Il fantasy è visto male perché fa paura. Perché è il genere che più di tutti ti mostra che la realtà consensuale non è inevitabile, che un’alternativa è possibile. È un genere anarchico nel midollo, nel miglior senso della parola, e non – per citare Tolkien – nel senso di “uomini barbuti che lanciano bombe”.