Sono passati ventotto anni da quando abbiamo sentito per la prima volta la musica di Superman, composta da quel genio musicale di John Williams, lo stesso dei celebri temi di Guerre Stellari e di Indiana Jones, per intendersi. Quando una colonna sonora diventa un marchio (oggi forse sarebbe meglio dire una suoneria per cellulari) non è più possibile dissociarla da ciò che rappresenta. Tutto questo per dire che la scelta di Bryan Singer di riproporre proprio quel tema per il suo Superman returns è forse l'unica che avrebbe potuto fare un regista dotato di senno. Farne comporre un'altra sarebbe stato come proporre il supereroe con il costume giallo!

Ora, cosa succede a un fan (magari un po' nostalgico) dei vecchi film con Christopher Reeve quando inizia il film e si trova di fronte gli stessi titoli che vengono risucchiati nello spazio, mentre il motivo musicale innesca quel suo famigerato crescendo? Per quanto mi riguarda un odio latente per l'altro me stesso recensore, che alla fine delle due ore e mezzo dovrà mettersi di fronte alla pagina bianca e vomitare con la consueta supponenza fatta di stellette tutti i difetti che, con un occhio chiuso e uno aperto, immancabilmente avrà scovato.

Insomma, Superman è tornato, lo dice pure il titolo! Voglio godermelo come quando ero un bambino, voglio credere per due ore di possedere i suoi poteri, voglio sognare a occhi aperti. Ecco, a scanso di equivoci questo è lo spirito. E certo se avessi scritto una recensione all'uscita dal cinema, quando nel cervello continuavo a veder sfrecciare l'uomo d'acciaio nei cieli di Metropolis, di stellette ne avrei assegnate tante quante ce ne sono nella bandiera degli Stati Uniti.Per fortuna (o per sfortuna) mentre l'io bambino si godeva a pieno lo spettacolo, l'altro io, quello cattivo, quello in silenzio nell'ombra, si è annotato tutto e, prima di perdermi irrimediabilmente nella schizofrenia, vuoterà il sacco.

Torniamo ai titoli di testa. La scelta di Singer di rifarsi ai film precedenti è un modo intelligente per chiarire subito due cose importanti: primo, il film è un'ideale prosecuzione (dei primi due, che gli altri, pessimi, non li ricorderà più nessuno); secondo, sono passati trent'anni in cui gli effetti speciali, visivi e sonori, hanno fatto quel passo in avanti decisivo per cui tutto finalmente sembrerà “vero davvero” e per questo incredibile (e l'io bambino ha un sorriso che fa il giro completo della testa).

Spendiamolo subito, quest'elogio agli effetti speciali, data la sua indubbia importanza in film come questi. Sono perfetti, com'era logico aspettarsi. Chi, dopo Superman returns, avrà l'ardire di riguardare i vecchi film con Reeve, si tapperà gli occhi dall'imbarazzo vedendolo volare. Veloci, fluidi, reali, caratteristiche che si apprezzano maggiormente quando non sono utilizzati per animare strane creature o generare chissà quali incanti scenografici. Con risorse come quelle che ruotano intorno a un blockbuster del genere, e con i mezzi di oggi, il rischio è sempre lo stesso: cadere nell'abuso e ribaltare il senso del loro utilizzo.

Ne abbiamo avuto una spiacevole dimostrazione in X-Men 3, dove la trama esiste per giustificare gli effetti e quasi mai viceversa. Ma non succedeva nei precedenti X-Men, guarda caso firmati da Singer, e non succede ora. Per quanto le immancabili scene di salvataggio in cui il nostro eroe è impegnato siano visivamente grandiose, non ne vediamo molte di più di quelle che servono e il film, per fortuna, non è tutto qui.

Il nuovo Superman e quello fumettistico 'adulto'
Il nuovo Superman e quello fumettistico 'adulto'
Marchio di fabbrica di un regista che ha dimostrato di prediligere l'introspezione dei personaggi e le loro contraddizioni (sempre X-Men) all'azione frenetica e fine a se stessa. In questo, Singer ha cambiato eroe ma il suo smalto è rimasto inalterato.

In breve la trama: alcuni astronomi individuano i resti del pianeta Krypton e Superman torna a casa, per verificare se davvero sia tutto distrutto. Torna sulla Terra dopo cinque anni in cui sono successe alcune cose che non aveva previsto: Lois Lane si è sposata e ha avuto un figlio; Lex Luthor è in libertà ed è diventato ricchissimo. Riconquistare l'amore della prima e impedire i folli disegni del secondo sono le preoccupazioni dell'uomo e dell'eroe. Piuttosto lineare, schematica, la storia non brilla certo di originalità. Del resto, non sembra essere questo a interessare il regista, che non manca mai di anteporre le relazioni interpersonali alle azioni.

Non c'è niente che non funzioni, e la sceneggiatura non si discosta dagli schemi tipici fumettistici in cui tutto scorre in progressivo, senza flash-back (con l'unica eccezione, quasi all'inizio, di Clark Kent, alias Kal-El, alias Superman, che si rivede bambino nella fattoria dei genitori adottivi). Diciamo piuttosto che è una sceneggiatura povera, o meglio essenziale, tanto che viene da chiedersi: ma come hanno fatto a scorrere così velocemente 157 minuti? Anche la sola domanda, tuttavia, è una risposta positiva al giudizio generale sul film.

Caliamoci nei panni di Singer, autore anche del soggetto: con un eroe imbattibile, vulnerabile solo alla kryptonite, su cosa posso basarmi per far funzionare il meccanismo? Certo non su un improbabile nuovo stratagemma per metterlo in difficoltà (come in Superman II, quando l'eroe perde volontariamente i poteri per amore di Lois), né inventandoci nemici fisicamente del suo livello (sempre Superman II, con il generale Zod e i suoi scagnozzi evasi dalla prigione zona-fantasma).

Meglio affidarsi alla collaudata e irresistibile follia di Lex Luthor e approfondire tutti quegli aspetti che solo il fumetto moderno ha deciso di trattare e che quello tradizionale ignorava: i dissidi interiori, i drammi umani, l'amore, in una parola apparentemente fuori posto: le debolezze di Superman. Mostrare il senso di impotenza dell'uomo più forte del mondo, o la solitudine dell'uomo più amato del mondo (“ci sono tre cose che fanno vendere i giornali: le tragedie, il sesso e Superman” dice a Lois Lane il direttore del Daily Planet) è invece un'idea vincente. Singer ha ridotto all'osso la figura di Clark Kent non a caso: la sfida amorosa riguarda totalmente l'eroe svelato e non la sua maschera integrata (male) nella società.

Superman e Lois
Superman e Lois
Il rapporto Superman/Lois, con le intrusioni del figlio per alcuni aspetti importanti e il marito per altri più marginali, è il vero leit-motiv del film, a differenza di come avviene sempre in questo genere di film in cui predomina il rapporto tra l'eroe e il cattivo di turno. Qui sembra che gli intrighi del nemico svolgano soltanto una parte di supporto al resto. E in effetti è nella parte riservata a Superman vs Luthor che si manifestano i difetti peggiori dello script: troppe soluzioni sembrano tirate via, banali (errore in cui cadeva anche il fumetto): un meteorite cade sulla terra, automaticamente è kryptonite, tanto per fare un esempio. Tuttavia il livello è riequilibrato dalla figura di Luthor, assolutamente sopra le righe: geniale e folle da una parte, ridicolo e demenziale dall'altra. Kevin Spacey buca lo schermo, quanto se non più di Gene Hackman (il Luthor dei primi due film). La sua comicità funziona, alcune gag sono a dir poco esilaranti; contemporaneamente si sta sviluppando un piano diabolico, assurdo, che potrebbe mettere in pericolo la vita di miliardi di persone e che raggiunge inaspettati livelli di drammaticità.

In generale tutto il cast funziona bene, a partire da Brandon Routh, che certo non ha avuto un compito facile: la faccia di Christopher Reeve era incollata all'eroe ancora di più di quanto non lo fosse la musica di Williams. Ma la prova del giovane attore è ottima per la parte, così come quella della bella Kate Bosworth che ha sostituito nei panni di miss Lane una Margot Kidder rimasta invece nel dimenticatoio di Hollywood. Se proprio si vuole fare una critica al casting (e non al cast) è quella di aver scelto attori troppo giovani per i propositi dichiarati (e rispettati) di Singer di riallacciarsi ai primi due lungometraggi.

La sceneggiatura fa continui riferimenti alla trama dei film precedenti, alcune battute sono riprese alla pari. Alcune scene, addirittura, marchiano a fuoco questa scelta (una su tutte la faccia di Marlon Brando nei panni di Jor-El, riflessa sulle pareti di ghiaccio della casa al polo Nord). Forse qualche ruga in più avrebbe reso tutto questo più naturale.

Lex Luthor
Lex Luthor
Come più naturale sarebbe stato rispettare la collocazione temporale di fine anni '70, con le vecchie macchine per scrivere al posto dei computer e le vecchie cabine telefoniche al posto dei cellulari, ma questa considerazione non toglie nulla al valore del singolo film.

Le citazioni sono un altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi: Singer ne fa un uso forse eccessivo, contando ruffianamente sull'amore degli spettatori per l'eroe. Una cosa che può disturbare alcuni e far felici altri. Del resto è un ammiccare che non toglie niente alla funzionalità autonoma del film; nessun rischio di incomprensioni per i non esperti in materia.

Certo che quel “E' un uccello, è un aereo, è Superman!” che arriva da un passato lontanissimo un bel sorriso lo fa venire. Non solo citazioni nostalgiche, ma come detto anche con funzione di continuazione dal pregresso. Ce n'è una, però, che sembra suggerire una possibile continuazione verso il futuro, che molti avranno colto. Meglio non lasciarsi andare a speculazioni prive di fondamento, ma quando il telegiornale dice che Superman, nelle sue attività di salvataggio, è stato visto a New York, a Parigi, a Metropolis, a Gotham... qualche campanello di allarme viene e qualche barlume di speranza si accende in chi non vede l'ora di vedere sul grande schermo la trasposizione di Batman vs Superman.

Per concludere, qualche considerazione sparsa sugli aspetti più cinematografici. Il montaggio non riserva niente di particolare, complice la sceneggiatura come detto lineare. La colonna sonora, invece, appare ripetitiva: se inizialmente il tema ha una funzione di richiamo molto forte, nel prosieguo il suo abuso gli fa perdere di fascino. Interessante invece la fotografia, in cui si apprezza un bel gioco di significati legati al blu: se le profondità del mare, in basso, e dello spazio, in alto, rappresentano il pericolo, sulla terra acquista senso di sicurezza grazie a un costume.

In definitiva un film che funziona, che diverte, che non è un capolavoro ma che non dovrebbe deludere nemmeno chi aveva delle enormi aspettative.

Il mio io bambino e il mio io critico si accordano sulle tre stellette. Abbondanti però.