Harry Potter e la filosofia: un binomio a prima vista insolito, anche se in realtà, nella saga, uno dei cardini di cui si dibatte è quella vecchissima contrapposizione fra Libero Arbitrio e Predestinazione. Nel suo caso, l'accostamento della filosofia al maghetto è, semplicemente, il naturale sbocco fra due sue passioni o c'è qualche 'ingrediente' in più che ha pesato sulla decisione di scrivere questo libro?

Partiamo dalle passioni: la mia passione per la filosofia inizia a quattordici anni, con Platone. E non si è ancora esaurita. Lo leggevo con la stessa avidità con cui si può leggere un romanzo poliziesco. Non che capissi tutto, ma Platone dischiudeva ai miei occhi un modo nuovo di vedere le cose e di pensare.

La mia passione per la filosofia, però, è sempre andata di pari passo con quella per il cinema e letteratura di genere, oltre che per le serie tv di tutti i tipi e i cartoni animati giapponesi. A un certo punto, dopo aver scritto alcuni libri accademici (c’è bisogno anche di quello), ho deciso di fare incontrare le mie passioni, anche perché credo sia ora di finirla con i pregiudizi sull’inferiorità della letteratura di genere, ad esempio, rispetto alla presunta letteratura “alta”.

La saga della Rowling si prestava ottimamente a questo incontro: mi ha appassionato come lettore, così, dopo aver letto I doni della morte, ho deciso di dedicare un libro di filosofia a Harry Potter. Binomio insolito? Sì, ma solo per chi abbia i paraocchi accademici e non abbia mai provato a leggere Harry Potter.

La saga della Rowling, come lei ha messo bene in evidenza anche nel suo libro L’incantesimo Harry Potter, mette in scena lo scontro tra Libero arbitrio e Predestinazione. Nel mio libro affronto la questione, ma arrivando a conclusioni differenti rispetto alle sue: a mio avviso la Rowling riesce a trovare un buon equilibrio tra Libero arbitrio e Predestinazione, tratteggiando l’idea di un’etica come pratica della libertà. Ma oltre a questo grande tema teologico e filosofico sono molte le questioni che rimandano alla filosofia: dall’etica delle virtù incentrata sul coraggio, alla giustizia come apertura all’altro, al rapporto stesso tra Ragione e Magia. Un’ultima cosa sul titolo. C’è un libro molto bello di un filosofo italiano, Sergio Givone, che si intitola Dostoevskij e la filosofia. Ecco, credo che, al di là delle classifiche di qualità letteraria che non mi hanno mai interessato, si possa oggi tranquillamente scrivere un libro su Harry Potter e la filosofia il cui titolo rimanda al contempo ai titoli della saga, in particolare al primo, e a un classico della filosofia italiana.

Ci descriva sommariamente il contenuto di questo suo lavoro e lo scopo a cui vorrebbe tendere

Il libro è suddiviso in 17 capitoli brevi raccolti in quattro sezioni. Affronto diversi temi con riferimento ai testi della saga, molto spesso citati, oltre che a testi filosofici, da Platone a Heidegger. Ad esempio: nella sezione su Magia e Ragione tento di dimostrare, in polemica con Odifreddi che ha accusato Harry Potter di essere pericoloso per la razionalità, come nella saga emerga un’idea di ragione in grado di confrontarsi con quella parte essenziale di irrazionale che ci abita e che non possiamo semplicemente rimuovere. Tutti noi dobbiamo fare i conti, o meglio, fare amicizia con la Luna Lovegood che c’è in noi, perché Luna è una parte essenziale di una ragione aperta in grado di confrontarsi con la complessità del mondo. Sempre in questa sezione analizzo la magia come una forma di quello che i filosofi del linguaggio chiamano performativo cioè “la possibilità di fare cose con le parole”. Altro che superstizione o fantasticherie infantili! La magia in Harry Potter mette in scena il potere che le parole hanno di fare e trasformare le cose. Il caso limite di questo potere è l’Anatema che uccide. Pura fantasia? No, stando a uno dei massimi antropologi viventi, Lévi-Strauss, che in uno dei suoi libri più famosi parla di “casi attestati in parecchie regioni del mondo di morte per scongiuro o sortilegio”. Mi occupo poi di etica e politica soffermandomi molto sul bellissimo discorso che Silente rivolge agli studenti dopo la morte di Cedric e sulla differenza tra ciò che è giusto e ciò che è facile.

Non so se chi scrive abbia uno scopo preciso nel momento in cui decide di scrivere. Io preferisco dire che ho i miei fantasmi che mi accompagnano nella scrittura. Uno di questi fantasmi mi sprona a concepire la filosofia come un bene comune che deve circolare nello spazio pubblico e non come un sapere elitario riservato agli accademici. E mi sembrava che Harry fosse un ottimo banco di prova per far circolare la filosofia. Un altro, più simile a Pix, mi diceva che sarebbe stato divertente mettere insieme Aristotele, Platone, Heidegger, con Hermione, Ron, Luna e Harry.

Quali sono state le difficoltà maggiori durante l'ideazione e/o la stesura?