1. Creazione

Le mani tremavano di nuovo.

Aldo tirò un profondo respiro, poi riprese a versare il liquido nella boccetta. Era di un denso colore viola, non fosse stato per i riflessi metallici sarebbe parso un colore a tempera.

Prese dal ripiano di lavoro un contagocce preparato in precedenza, riempito con un pallido liquido latteo. Versò quattro gocce nel preparato e restò a osservare il bianco che si fondeva col viola, dando vita a una reazione chimica che dapprima mutò il liquido in un rosato acceso, per poi spegnersi rapidamente e virare verso un inatteso cristallino trasparente.

Perfetto, valutò soddisfatto, mentre le dita cominciavano a dolergli, come fossero addormentate. Odiava quando gli succedeva.

Cercò di stiracchiarsele, dopo aver posato e richiuso il contenitore.

Maledetta Pandora.

Si morse il labbro. Non doveva pensare queste cose, c'era sempre il rischio che uno dei Telepati fosse nei paraggi.

In fondo lo pagavano bene, si era potuto permettere una villa con tanto di sauna, piscina e campo da tennis, nella zona extraurbana a nord–est di Roma, vicino Guidonia. Molto suoi colleghi non potevano permettersela, ma era anche logico, nessuno aveva un ruolo di responsabilità come il suo.

Si strofinò le mani guantate di lattice sul camice bianco.

Scrisse una parola su un'etichetta adesiva, poi la appiccicò sulla boccetta.

– Dottore? – La voce gli arrivò ovattata. La distinse appena, mentre pensava che avrebbe voluto fare tutt'altro nella sua vita. Da giovane aveva studiato medicina con l'ideale di aiutare gli altri.

– Dottor Sanna?

Aldo si scosse.

– Sì?

Sulla soglia del laboratorio, il volto illuminato da una luce giallastra, stava un ragazzetto di sì e no vent'anni, capelli rossicci e lentiggini.

– Devo effettuare la consegna.

Aldo annuì.

– Giusto. Nascose la mano sinistra – quella che tremava di più – nella tasca del camice, quindi consegnò la boccetta al giovane, che l'afferrò con noncuranza.

– Attento – si raccomandò il dottore «se fai cadere anche solo una goccia, gli effetti potrebbero essere diversi.

– Del tipo? – chiese il ragazzo, perplesso.

– Non lo so – rispose Aldo, seccato – al di sotto della dose necessaria, la reazione varia al variare del corpo ospite, quindi assicurati che il tappo sia ben chiuso prima di consegnarla.

– Lei lo ha chiuso? – fece quello, di rimando.

– Certo.

– Allora non ci saranno problemi – fece il giovane che, ora Aldo se ne rendeva conto, non era un fattorino qualsiasi. Nei suoi lineamenti colse una somiglianza inquietante con Enrico, il suo supervisore.

Aldo non aggiunse altro e il giovane uscì dal laboratorio.

2. Consegna

Fabio lavorava per Pandora da due anni. Tuttavia, per chiunque – eccetto che per suo fratello – era uno nuovo. Il suo potere, se così si poteva chiamare, era quello di scomparire nella mente di chi lo incrociava, senza lasciare tracce.

Succedeva anche se lui non voleva. Inevitabilmente, chiunque aveva a che fare con lui, presto se ne dimenticava, cancellando i dettagli del volto e gli eventuali segni particolari notati sul momento.

Enrico pensava che fosse un dono del cielo. «Potresti uccidere il Presidente della Repubblica in diretta televisiva e il giorno dopo nessuno si ricorderebbe di te!».

Già, perché il bello era che il suo volto veniva sfocato sia che gli scattassero una foto sia che venisse ripreso da una videocamera. La sua esistenza era destinata a non lasciare tracce.

Se fosse successo qualcosa a Enrico, pensava mentre si dirigeva con la boccetta verso la sua destinazione, nessuno si sarebbe ricordato che lavorava per Pandora.

La cosa a volte lo inquietava, ma suo fratello gli aveva sempre garantito che ai piani alti sapevano di lui, della sua esistenza, anche se non avevano – per ovvi motivi – mai visto una sua foto.

Potrei farmi ritrarre da un pittore, gli capitava spesso di pensare. Ma poi si chiedeva che motivo avesse per voler immortalare a tutti i costi la propria immagine, per cui la cosa finiva lì, al nascere nella sua mente.

Quando arrivò di fronte alla porta azzurra, si fermò. Sopra, una targhetta d'alluminio riportava la scritta: Room 12.

Tirò fuori una tessera magnetica dal taschino della camicia e lo infilò nell'apposita fessura. Ci fu uno scatto e l'uscio si aprì, lasciandolo entrare.

All'interno, quattro pareti bianche senza altre porte né finestre; al centro una scrivania con un pc collegato in modalità wireless alla rete. In alto, sopra la porta, una telecamera osservava la stanza emettendo un debole ronzio.

Sullo schermo al momento ruotava un cristallo azzurro luminoso. Uno screensever a cui ormai si era abituato.

Posò la boccetta sulla scrivania e quasi non si accorse di sfiorarla nel ritrarre la mano. Il contenitore si rovesciò su un lato ma lui fu lesto a ritirarlo su. Quando ritrasse la mano, si accorse che il suo dito medio era umido.

Merda.

Uscì di corsa dalla stanza, lanciando un'occhiata sfuggente all'occhio della telecamera. Decise che doveva parlare con Sante. Subito.

3. Corruzione

L'uomo si grattò la testa, osservando la mazzetta di banconote da cinquanta euro che il giovane gli stava porgendo. Non credeva di averlo mai visto, ma il ragazzo insisteva di volere la registrazione video dell'ultima mezzora della Room 12.

Certo, avrebbe dovuto avvertire immediatamente i suoi superiori, ma quelle erano cinquanta–cento–centocinquanta–duecento–duecentocinquanta–trecento euro facili.

Pensò che avrebbe potuto pagarsi quel viaggetto a Venezia che voleva farsi da anni. Così sarebbe passato a trovare sua nipote, Maria. Chissà che sorpresa sarebbe stata! Si ripromise di fare un salto in agenzia viaggi e farsi fare dei preventivi.

Trecento euro con cui non avrebbe dovuto pagarsi le bollette di casa o il mutuo.

– Io… non potrei… – balbettò, la mano che esitava di fronte alla generosa offerta.

– Su, andiamo. Sappiamo entrambi che ti fanno comodo. Sante, tu non ti ricordi di me, ma noi abbiamo già parlato una volta, dei tuoi casini con il fisco, dei debiti di gioco.

Ah, già. Di colpo Venezia parve a Sante lontanissima.

– Forse… magari…

Il giovane sospirò, poi aggiunse altre quattro banconote da cinquanta nel mazzo.

– Non puoi dire di no, adesso.

Sante allungò le dita. Ma esitava ancora. Per anni aveva svolto il suo compito onestamente. Era una guardia di vigilanza, anche se non era pagato benissimo, aveva un lavoro sicuro. E se lo avessero cacciato, per quello?

– Te ne do altri cinquecento, dopo che sarò andato via – disse il ragazzo.

Sante restò a bocca mezza aperta.

– Come… come hai detto che ti chiami?

– Non l'ho detto. Che differenza fa? Tu sei Sante Oriali, lavori qui da dodici anni, hai un figlio chissà dove in Giappone e una ex moglie alcolista. Un ramo della tua famiglia è a Venezia. Non vedi nessuno di loro da anni, vivi solo e hai debiti con certi strozzini per esserti fidato troppo di certe voci sulle partite truccate della Juve.

– Ah, lo sai…

– Che vuoi farci, capita alla tua età, di scordarti le cose.

– Ma, quindi… tu sei?

– Mille euro – tagliò corto l'altro – niente domande. Lasciami solo mezzora qui dentro.

– Ma tu come… fai a… insomma, tutti questi soldi da dove…

– Li prendi o no? – lo interruppe il ragazzo dagli occhi azzurri, secco.

Lentamente, le dita di Sante si serrarono sulla mazzetta di banconote. Dapprima il giovane fece un po' di resistenza, poi i loro occhi si trovarono, e Sante poté ritirare il denaro.

– Andrò… – balbettò – a bere dell'acqua. E al bagno. La mia prostata, sai.

Annuendo tra sé, uscì dalla sala di controllo video, lasciando che l'altro gli chiudesse la porta alle spalle.