Esiste un mondo parallelo, quello di U, in cui chiunque può ricominciare tutto da capo. Grazie a una connessione che lega l’avatar al corpo, chi entra in questo social può vivere una vita virtuale, esaltando tutti i talenti che si possiedono anche in quello reale ma che, per qualche ragione non si riescono a esternare. Anche Suzu, una diciassettenne che vive nella prefettura di Kōchi sembra aver bisogno di U. Da piccola ha perso la madre, morta per salvare una bambina, e da allora si sente sola e isolata dal resto del mondo. Con il padre vive un rapporto superficiale e apatico, così come con l’amico d’infanzia troppo preoccupato a proteggerla che ad avere un rapporto alla pari con lei. Inoltre Suzu non riesce più a cantare ma scopre di riuscirci di nuovo una volta entrata in U. Con lo pseudonimo di Belle diventa una idol dei social fino a quando compare un misterioso avatar/drago, nel cui dolore si rispecchia, e decide di scoprire chi si cela dietro a quella maschera.

Presentato in anteprima mondiale fuori concorso al Festival di Cannes e alla Festa del Cinema di Roma l’anno scorso dov’era presente anche il regista Mamoru Hosoda, Belle ha ricevuto ben cinque nomination agli Annie Award, superando mostri sacri come La città incantata ferma a quattro. Merito indubbiamente dello Studio Chizu, fondato nel 2021 dallo stesso Hosoda, capace di sfornare titoli di successo come Wolf Children (2012), The Boy and the Beast (2015), Mirai (2018) e oggi Belle. Dopo i successo di La ragazza che saltava nel tempo e Summer Wars il regista giapponese ha deciso di fondare un proprio studio cinematografico, raffinando in modo sempre più sublime il suo tratto ormai riconoscibilissimo.

Nel caso di Belle la scelta è stata quella di usare il disegno tradizionale, quasi un’animazione giapponese classica, per raccontare la vita di Suzu e quindi il mondo reale. Un tratto in certi momenti addirittura abbozzato nella rappresentazione degli esseri umani, con bocche e occhi appena accennati se il soggetto è distante, ma con paesaggi che rasentano la bellezza di dipinto. Qua e là spunta la grafica digitale ma è una presenza discreta, quasi invisibile. Diverso invece è l’universo di U, dove l’animazione diventa evidentemente digitale sfiorando più volte l’effetto 3D, con una virata verso l’estetica disneyana. Non a caso il rimando esplicito è proprio alla Bella e la bestia come si può già notare dal nome della protagonista, che ha i tratti più simili a Anna o Elsa di Frozen che a qualsiasi eroina nipponica. Una scelta più che consapevole quella di Mamoru Hosoda che mostra i muscoli e insegna che cosa si può fare, sia con la matita che con il computer, quando si ha ben chiaro che cosa sia l’animazione.

Belle è soprattutto un film pensato per una fascia d’età ben precisa, e che fa un po’ fatica ad espandere il suo raggio d’azione. La protagonista è un’adolescente anonima ma che riesce a diventare una idol bellissima (non a caso la colonna sonora sta avendo un ottimo successo), parlando in tal modo al cuore di tante ragazze, ma mancando di trasversalità. È vero che il tema più interessante e adulto è quello del sacrificio, e di come Suzu riesca a comprendere quello della madre, ma alla pellicola manca qualsiasi sfaccettatura o ambiguità nei personaggi sempre solo buoni o cattivi. Nulla di male nel cinema per ragazzi ma un po’ noioso a lungo andare per chi ha qualche anno in più.