Nel novembre del 2006, un gruppo di giovani militari, guardano un video di ragazze succinte per caricarsi prima di un’operazione segreta. Solo poche ore dopo, i tredici Navy SEAL americani che fanno base in Iraq, partecipano a una sorveglianza tattica nei pressi di un edificio residenziale che ben presto si rivela un’imboscata. Ignari della vicinanza a una casa utilizzata da miliziani ostili, i soldati si ritrovano improvvisamente esposti e vulnerabili. L’attacco è improvviso e brutale. Una granata lanciata tra le file dei SEAL, seguita da colpi d’arma da fuoco e dall’esplosione di un ordigno improvvisato, trasformano la missione in una lotta disperata per la sopravvivenza. Nel tentativo di un’evacuazione alcuni dei militari subiscono ferite gravissime, ma grazie all’intervento di una squadra di supporto molti riescono ad uscirne vivi.

Alex Garland dopo Annientamento e il più recente Civil War torna a parlare di guerra senza, questa volta, tirare in ballo la fantascienza ma un vero conflitto. Warface – Tempo di guerra è infatti cosceneggiato e codiretto con Ray Mendoza, ex veterano dei SEAL che ha partecipato alla vera missione di cui il film parla, e proprio per la sua esperienza sul campo oggi lavora come consulente a Hollywood. Mendoza aveva già lavorato per Garland in Civil War ma è evidente (anche dai titoli di coda) il contributo fondamentale avuto in Warface proprio nella ricostruzione dell’episodio nei più piccoli dettagli.

La missione segreta di 13 Navy SEAL nel novembre del 2006 è mostrata da Garland in una sorta di documentario iperrealistico, che non concede allo spettatore premesse, background dei personaggi, definizione del contesto o quant’altro, limitandosi all’esposizione di ciò che accadde in una manciata di ore. Non essendoci il minimo contesto quello che rimane è una messa inscena estremamente efficace e indubbiamente affascinante, capace di tenere viva l’attenzione, non tramite l’empatia o l’immedesimazione ma con la pura spettacolarizzazione. L’orrore della guerra non è quello di film come Apocalypse Now o Full Metal Jacket, dove la presa di posizione “contro” passa attraverso un discorso cinematografico, estetico quanto politico. Warface per la sua decontestualizzazione e spettacolarizzazione del conflitto, sta in bilico tra una condanna della violenza e una santificazione dei SEAL, quasi ci fosse da parte di Garland l’impossibilità di una presa di posizione più chiara.

Un’operazione quella che, se da una parte mostra l’incredibile talento di un regista capace di reggere un’ora e mezza di film con dialoghi in gergo militare e nello spazio di una casa di due piani, dall’altro rischia proprio per la sua eccezionale fascinazione, di scadere in una visione quasi pornografica della guerra, intesa come piacere fine solo al mostrare senza fare cronaca. Ciò non tanto per un’esaltazione testosteronica nei confronti dell’azione dei soldati sotto assedio, quanto per una ricostruzione dettagliata e dinamica, che finisce solo per essere estremamente attraente ma priva di spessore critico, sia questo a favore o contro la guerra.
1 commenti
Aggiungi un commentoMa la vera domanda è: cosa c'entra questo film col genere fantasy?
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID