La storia finora

Era iniziato tutto 10.228 giorni prima, a Londra, in un laboratorio di Cambridge. Degli animalisti, muniti di tutte le migliori intenzioni e di una buona preparazione militare, avevano deciso di liberare delle scimmie utilizzate come cavie dall’industria farmaceutica. In pochi istanti sarebbero stati trucidati e contagiati da quella che sarebbe poi stata definita come la variante più aggressiva del virus della Rabbia. Sarebbero “rinati” come creature veloci e implacabili, affamate, spinte solo dall’istinto. Un piccolo contatto, con la loro saliva o una goccia del loro sangue, poteva bastare per creare in pochi secondi nuovi contagiati: intere legioni. In pochi giorni l’intera Gran Bretagna arrivò al collasso. Le nazioni limitrofe decisero di mettere in quarantena tutto il Regno Unito, sorvegliando militarmente i confini dall’esterno, lanciando saltuariamente sul territorio scatole di viveri o bombe.  

28 giorni dopo
28 giorni dopo

28 giorni dopo, un rider di nome Jim (Cillian Murphy) si risvegliava dal coma, nel suo posto letto del Saint Thomas Hospital, scoprendo di essere il solo individuo rimasto vivo nel centro di Londra. Si unì a un gruppo di sopravvissuti, cercando di muoversi in fretta, a piedi, verso Deuport e poi Manchester. Alla ricerca di risorse alimentari, risposte dai canali radio ancora attivi, altri compagni non contagiati da soccorrere. Cullando il sogno di andare a costruire insieme un’altra società. Ma il gruppo si accorse presto che i contagiati erano solo uno dei problemi e forse non il peggiore: anche i non contagiati, abbandonati a loro stessi in quel caos, in brevissimo tempo sarebbero regrediti allo stato di barbari. 

28 settimane dopo
28 settimane dopo

28 settimane dopo (come da film omonimo, il sequel, uscito nel 2007) l’esercito degli Stati Uniti e la Nato decretarono la fine della quarantena. Per gli scienziati, i contagiati che si nutrivano principalmente solo di carne umana “viva” dovevano ormai essere senza più risorse. L’Isola dei Cani, una penisola nell’East End circondata sui tre lati dal Tamigi, divenne il punto di raccolta per organizzare i primi rimpatri di chi era riuscito a fuggire in tempo alla mattanza. L’esercito avrebbe provveduto a mettere in sicurezza progressivamente tutti i territori, ma per ora Londra era pronta a rinascere. Uno dei guardiani dei nuovi insediamenti, Don (Robert Carlyle), riuscì a ricongiungersi con i suoi due figli (una è interpretata da una giovanissima Imogen Poots), ritrovati dopo che erano stati ospitati in Spagna. Ma la vera sorpresa per Don fu ritrovare, nella loro vecchia casa e ancora in vita, sua moglie Alice (Catherine McCormack). In stato confusionale ma in buona salute, non minacciosa seppur con quegli “occhi rossi” tipici dei contagiati. Per l’epidemiologa Ross (Rose Byrne), Alice costituiva una preziosa portatrice sana del virus della Rabbia. Studiando il suo sangue e la sua saliva sarebbe stato possibile trovare una cura, ma gli eventi precipitano in modo inatteso. Il virus tornò a circolare. Il generale Stone (Idris Elba) chiese ai militari di uccidere con fucili e lanciafiamme l’intera popolazione inglese presente, tutti gli infetti e non infetti, per eliminare alla radice il problema. Essendo insufficiente il contenimento, arrivò a chiedere il bombardamento totale di Londra. L’epidemiologa Ross e il sergente Doyle (Jeremy Renner), un militare che si era rifiutato di sparare sui civili, cercarono di salvare la famiglia di Don dal “fuoco amico”, dai contagiati e dalle imminenti bombe che sarebbero piovute sulle loro teste. 

28 anni dopo – sinossi

Ci troviamo 28 anni dopo l’inizio del contagio, con la quarantena ancora in vigore. 

Siamo nel nord est dello Yorkshire, su una piccola isola difesa da torrette cariche di frecce e balestre (per le riprese è stata utilizzata Lindisferne, conosciuta anche come Holy Island).

Un luogo piccolo e in gran parte indipendente dal resto del mondo, dove si coltivano i campi e si allevano pecore, ma che per ogni altro bisogno “più tecnologico” deve fare affidamento sulla terraferma. Una terraferma che si può raggiungere solo durante le poche ore concesse dalla bassa marea, camminando veloci lungo una stretta strada lunga alcune centinaia di metri. Cadere o farsi sorprendere dall’alta marea significa finire al centro di forti correnti che spingono verso il mare aperto. Una difesa naturale, che per decenni ha preservato la pace insieme all’alto grado di preparazione degli “arcieri” dell’isola. Fin da bambini tutti vengono addestrati dal vecchio Sam (Christopher Fulford) a prepararsi a combattere come veri militari, almeno fino al giorno in cui sarà deciso il loro passaggio all’età adulta: un momento sancito dalla prima missione sulla terraferma e dall’uccisione di un infetto. 

28 anni dopo
28 anni dopo

Spike (Alfie Williams) è un ragazzino di 15 anni, minuto e molto legato alla madre malata, Isla (Jodie Comer). Proprio per cercare al di là della bassa marea una cura per lei, magari in una vecchia farmacia o ospedale, Spike si è addestrato e ha deciso con suo padre Jamie (Aaron Taylor-Johnson) di andare con l’arco “a caccia di infetti”, per diventare adulto. Il mondo al di fuori dall’isola appare al ragazzo sconfinato quanto rigoglioso: pieno di boschi e mandrie di animali che corrono liberi su campi di grano.  Un paradiso in cui gli infetti sembrano essersi perfettamente integrati con il resto della natura. A causa dell’alimentazione cui si sono dovuti adattare, in assenza di “carne umana”, alcuni di loro hanno però subito dei cambiati fisici. Alcuni si sono involuti e hanno cominciato a strisciare: destinati a cibarsi di vermi e insetti. Altri, chiamati Alfa, sono diventati giganti di quasi tre metri, predatori inarrestabili in grado di dare ordini agli altri infetti e quasi di “comandare gli animali”. Colossi e al contempo “stregoni”, che non possono essere abbattuti se non dopo essere colpiti da almeno 20 frecce. Creature quasi divine che con una sola mano possono strappare la testa di un uomo dalla sua colonna verticale. 

28 anni dopo
28 anni dopo

La prima caccia di Spike è confusa e terribile. 

Si protrae per giorni, perché subito un Alfa (Chi Lewis-Parry) inizia a dare la caccia a loro, costringendoli a nascondersi e perdere la coincidenza dalla bassa marea. Il padre lo incoraggia ed esalta, ma Spike non riesce a tendere abbastanza bene l’arco, le frecce scarseggiano, la paura circonda ogni minuto di quell’esperienza orribile. Al ritorno, nonostante le lodi e i festeggiamenti, il ragazzo è certo di non volere mai più uscire dall’isola, ma il vecchio Sam sa dare una spiegazione interessante a una cosa strana che Spike ha visto di sfuggita sulla terra ferma: una colonna di fumo che illuminava la notte. Quella poteva essere la prova che da quelle parti era ancora vivo il Dott. Kelson (Ralph Fiennes) un medico di base che da anni stava cercando di convivere pacificamente con gli infetti, erigendo enormi colonne di teschi per onorare la memoria dei caduti dell’epidemia. Un uomo forse impazzito, ma che forse avrebbe potuto aiutare Spike a curare la madre. 

Pieno di frecce e coraggio, Spike decide di tornare sulla terra ferma. 

Alle radici di una delle saghe Horror più amate degli ultimi anni

Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra. Questa è una celebre frase/profezia attribuita a George Romero, ma è anche una delle paure e suggestioni umane più diffuse. Al punto che la cinematografica ha sempre saputo nutrirci di pellicole cariche di zombie, “contagiati” e in genere creature figlie di una degradazione fisica e psicologica del corpo umano post-mortem. Tutte creature che ci vogliono mangiare/sostituire/obliterare. Spesso gli zombie e i “contagiati”’di Romero ci appaiono come metafore del degrado umano, all’interno di una società consumistica arrivata al capolinea, ma i non-morti al cinema hanno avuto anche chiare valenze religione (Rec), satiriche (Il ritorno dei morti viventi) e soprattutto sono sempre stati una ottima “carne da cannone”, in film action-splatter adrenalinici quanto truculenti (L’alba dei morti viventi di Snyder) e in film così truculenti da diventare comici (Splatters di Peter Jackson). 

28 anni dopo
28 anni dopo

Nel 2002 Danny Boyle inseguiva l’horror. L’autore inglese che aveva esordito con la commedia nera Piccoli omicidi tra amici ed era diventato celebre adattando Trainspotting di Irving Welsh, affiancato dal suo sceneggiatore di sempre, John Hodge, era reduce da The Beach, una pellicola con protagonista Leonardo Di Caprio. Un thriller/ ecologista che adattava il romanzo di esordio di un giovane di belle speranze di nome Alex Garland (uscito nel 1996 in Italia con il titolo L’ultima spiaggia). Nel 2003 anche il secondo libro di Garland, Black Dog (in Italia uscito nel 1997 come The Tesseract), sarebbe diventato un film, per la regia di Oxide Pang dei “Pang Bros” (autori di cult come la saga horror The Eye). Il terzo e per ora ultimo romanzo di Garland (The Coma, in Italia semplicemente Coma, del 2004) non avrebbe mai avuto un adattamento ufficiale, anche se uno dei suoi temi portanti, il confine psicologico tra il pensiero conscio e inconscio, ancora un tema “horror”, avrebbe avuto molte affinità con il primo grande incarico che Danny Boyle gli diede in qualità di suo nuovo sceneggiatore: l’horror apocalittico 28 giorni dopo

La sceneggiatura di Garland si presentava subito come una autentica love letter agli Zombie-Movie di George Romero e in specie de La città verrà distrutta all’alba, che parlava nello specifico di contagiati e non di zombie. Ma tra le fonti di ispirazione veniva ricordato, per ammissione dell’autore, anche Il giorno dei Trifidi, un romanzo di fantascienza del 1952 a opera dell’inglese John Wyndham (autore che ispirò anche Il villaggio dei dannati), diventato nel 1963 il film L’invasione dei mostri verdi. Si parlava in questo caso di creature di origine vegetale “diventate antropofaghe” (potremmo azzardare qualcosa di abbastanza vicino ai Bloaters della serie The Last of Us), ma di fatto molte delle dinamiche narrative e scene-chiave del libro sono riscontrabili tanto in 28 giorni dopo che nel suo sequel 28 settimane dopo

Non avendo tra le mani un altissimo budget, per abbassare i costi il produttore Andrew MacDonald spronò Boyle a girare a Londra alle 5 di mattina, di fatto replicando quello che fece Lucio Fulci per il suo horror-cult Zombie 2: girato a Brooklyn all’alba. 

La fotografia del bravo Anthony Dod Mantle (Festen, Mifune, Dogville, The Millionaire, Antichris), l’ottima prova di tutti gli attori e la scelta (parimenti economica) di usare telecamere a mano digitali ad alta definizione, in luogo di ingombranti telecamere classiche con pellicola, conferirono alla pellicola un forte grado di realismo. Alcuni momenti sapevano davvero fare paura.

28 giorni dopo arrivava in sala 2 anni prima de L’alba dei Morti Viventi di Snyder e di Shaun of the dead di Edgar Wright. Tre anni prima del ritorno al genere del grande Romero con La terra dei morti viventi. Otto anni prima dal remake de La città verrà distrutta all’alba. L’opera di Boyle e Garland andava in qualche modo a riempire nel pubblico un vuoto di paranoie esistenziali sopite. 

28 anni dopo
28 anni dopo

Il successo commerciale fu favoloso, ri-lanciò la moda dei film di questo tipo e lanciò la carriera del giovane protagonista, Cillian Murphy, che nel 2007 Boyle e Garland avrebbero voluto per il fantascientifico e horrorifico Sunshine e che nel 2023 avrebbe ricevuto l’oscar come miglior attore protagonista per il biopic Oppenheimer di Nolan. Fin da subito Murphy aveva manifestato l’intenzione di tornare nella saga di 28 giorni dopo, ma 28 settimane dopo entrava in produzione proprio parallelamente a Sunshine, con Boyle, Garland e MacDonald che si ritagliavano giusto un ruolo produttivo, mentre la regia veniva affidata allo spagnolo Juan Carlos Fresnadillo (nel 2024 regista di Damsel, per Netflix, con Millie Bobby Brown), che si occupò in parte anche della sceneggiatura. Si dice che Garland collaborò attivamente allo script, seppur come non accreditato. Con tanti film di zombie tornati in voga, l’approccio della sceneggiatura doveva cambiare: il film si riempiva di suggestioni “politiche”, un cast maggiormente internazionale e un gran numero di scene d’azione di stampo quasi Hollywoodiano. Il budget di cui poteva disporre MacDonald si era letteralmente moltiplicato, ma la cosa più interessante era che si potevano già riscontrare, qui, alcuni degli elementi da “horror sociologico” che di fatto “avrebbero anticipato” di anni un celebre lavoro di Garland uscito nel 2024: Civil War.  La formula risultava nuovamente vincente e dopo Lord of Dogtown la pellicola lanciava la carriera di un Jeremy Renner in piena ascesa, che solo un anno dopo sarebbe stato candidato a miglior attore protagonista per The Hurt Locker di Kathryn Bigelow. Alla promessa di Murphy, Boyle Garland, MacDonald di voler tornare in futuro in quel mondo post-apocalittico si sarebbe unita, intorno al 2020, anche quella che nel 2007 era la piccola Imogen Poops, ora diventata una attrice molto quotata. 

Ma la data di inizio della produzione del terzo capitolo era ancora lontana. 

28 anni dopo
28 anni dopo

Garland iniziava a adattare il libro Non Lasciarmi, di Kazuo Ishiguro, per il film omonimo diretto da Mark Romanek che sarebbe uscito nel 2010. Nel 2012 avrebbe scritto e si dice anche co-diretto (non accreditato) il fanta-fumetto Dredd – il giudice dell’apocalisse, con un “esordio completo” alla regia che sarebbe avvenuto nel 2015 con un grande horror psicologico: il film sui pericoli dell’intelligenza artificiale Ex Machina, diventato presto un vero e proprio cult. Garland sarebbe poi passato nel 2018 al lovecraftiano Annientamento, nel 2022 al thriller surreale Men, nel 2024 al capolavoro fantapolitico Civil War (che di fatto è una delle visioni del presente Geo-politico più horror che si possano immaginare) e nel 2025 al claustrofobico e disperato war movie Warfare, di prossima uscita. Nel frattempo, Boyle aveva scelto come suo sceneggiatore di riferimento Simon Beaufoy, con il quale avrebbe realizzato la pluripremiata favola urbana Slumdog Millionaire nel 2008 e il thriller claustrofobico 127 Ore nel 2010. Sarebbe tornato poi con John Hodge per il fantascientifico In Trance del 2013 e poi per T2 Trainspotting nel 2017. Avrebbe realizzato il biografico Steve Jobs con lo sceneggiatore Aaron Sorkin nel 2015 e la favola musicale/nostalgica Yesterday con lo sceneggiatore Richard Curtis nel 2019. Tutte cose poco horror, mentre nel frattempo 28 anni dopo “aleggiava”, con una prima stesura della trama che si diceva pronta già nel luglio del 2008, ma anche con dei consistenti problemi riguardanti i diritti, come dichiarato da Garland nel 2010. Per molti anni MacDonald si sarebbe impegnato nel trasferimento della proprietà intellettuale dalla Searchlight Pictures a un nuovo distributore, che sarebbe diventato Sony con la promessa della realizzazione di una trilogia.   Nel 2007 però Paco Plaza e Jaume Balaguero’ avevano già messo a punto una geniale reinvenzione dei “morti viventi” con Rec, utilizzando anche le stesse le telecamere digitali e inquadrature “vivide” del primo 28 giorni dopo

Nel 2009 era già uscito il dissacrante Benvenuti a Zombieland di Ruben Fleischer. 

<i>The Walking Dead</i>
The Walking Dead

Nel 2010 prendeva il via la serie tv The Walking Dead, che di fatto per anni e anni avrebbe cannibalizzato tutto il genere post apocalittico a tema “infetti/zombie/mutanti”, andando più volte, ironicamente, anche su quei territori narrativi che rendevano originale 28 giorni dopo. Forse per la saga di 28 giorni dopo serviva tempo perché il fenomeno Walking Dead “si sgonfiasse”. Magari serviva guardare a Oriente: a Train to Busan del 2016 e a The Sadness del 2021. Oggi sembra arrivato il momento giusto. 

La produzione

28 anni dopo partiva idealmente già come una nuova trilogia.

Nel pensare al primo capitolo, Alex Garland dichiara di essersi imbattuto, per poi rimanere stregato, dal secondo film di Ken Loach per il cinema, del 1969, tratto da un libro di Barry Hines: Kes. La storia di un quindicenne dello Yorkshire del sud, molto simile allo Spike di 28 anni dopo, cresciuto negli anni 60 ma anche lui in una famiglia problematica della working-class. Se Spike cerca un “futuro impossibile” per salvare sua madre, il protagonista di Kes cerca di vivere in un “passato impossibile” dal giorno in cui si imbatte in un falco. 

<i>28 anni dopo</i>
28 anni dopo

Il ragazzo, minuto, introverso e spesso bullizzato, trova un nido e poi un libro su come allevare i rapaci. In breve tempo decide di abbandonare un ambiente scolastico feroce, quasi di stampo militare, dove soprusi e umiliazioni sono all’ordine del giorno, per diventare a tutti gli effetti un falconiere e magari trascorrere sempre più tempo nei boschi. Un luogo benigno, in cui poter scegliere una vita antica, solitaria, quasi “medioevale”. Un luogo in cui poter scoprire di avere quel “valore” che la “società matrigna” non gli conferiva. Tuttavia ciò non lo sottrarrà al “destino/maledizione” di far parte, pur controvoglia, di una famiglia difficile in un mondo reale. 

Con questo racconto di formazione, dal sapore dolce/amaro, il “concreto e politico” Ken Loach ci porta con malinconia quasi dalle parti della favola, sulle ali della fantasia e nello specifico di un falco. Ma come suo solito lo fa in modo “disilluso”, demolendo epica ed eroismi vari, puntando a ribadire il concetto che le favole come gli eroi non esistono. La premessa ideale per l’anti-favola post apocalittica che aveva in mente Garland.

28 anni dopo
28 anni dopo

Era centrale trovare un giovane protagonista bravo e “puro” come l’esordiente, David Bradley, scelto ai tempi da Loach. La scelta è ricaduta su Alfie Williams, già visto in un piccolo ruolo nella serie tv Queste Oscure Materie. Il resto del cast vedeva la presenza della brava Jodie Comer (The Last Duel) e di Christopher Fulford, ma anche di attori internazionali già affermati come Aaron Taylor-Johnson e di Ralph Fiennes.

Anthony Dod Mantle veniva di nuovo scelto come direttore della fotografia.

Serviva uno scenario naturale quasi “fantasy” come quello di Kes, così le riprese si sono svolte proprio nello Yorkshire del sud scelto da Loach, ma anche in una zona lussureggiante come la contea di Northumberland: tra Holy Island, Hexham, la Kielder Forest e le Aysgarth Falls. 

Per la colonna sonora e stato scelto il gruppo scozzese progressive hip hop Young Fathers, alla sua prima esperienza con il cinema ma con sonorità a tratti quasi dalle parti di Trainspotting. 

In Sala

La cifra stilistica del nuovo film di Boyle e Garland arriva, forte e dirompente, quando nella colonna sonora di 28 anni dopo inizia a farsi largo, in modo ossessivo, la marcia Boots – All Quiet on the Western Front: una epica e inquietante rielaborazione sonora, opera di Fenton Rider, di un brano di Rudyard Kipling, recitato da Taylor Holmes nel 1915. Un brano che l’esercito degli Stati Uniti utilizza in addestramento, a livello subliminale, per ricreare la condizione di stress psicologico legata alla sensazione di essere prigionieri. Boyle ci fa ascoltare Boots in momenti sottolineati dalla sovrimpressione sulla scena di immagini in bianco e nero o tratte da pellicole usurate: filmati di repertorio sulla Grande Guerra e scene che ritraggono cavalieri medievali in arco e armatura pronti alla guerra, che dialogano attivamente con la vicenda di un ragazzino costretto a trasformarsi in arciere in un mondo post-apocalittico. Il linguaggio comune sembra essere la “predestinazione al conflitto”: all’inizio come alla fine dei tempi, l’uomo fin da bambino si prepara a combattere. Mettendosi in marcia con la testa bassa, guardando soli i suoi scarponi (boots, in inglese) e ricordando ogni passo che “tutto va bene”, per tranquillizzarsi prima del prossimo, inevitabile scontro.

28 anni dopo
28 anni dopo

Il direttore della fotografia Anthony Dod Mantle cerca di trasformare ogni scontro tra gli arcieri e gli infetti in un momento congelato nel tempo. Mentre l’arco si tende la scena rallenta, quasi a enfatizzare ogni sforzo. Quando la freccia trova il bersaglio la scena si blocca dentro un fermo immagine: un “frame” volto a sottolineare il disfacimento dei corpi contusi come fosse un piccolo fuoco d’artificio, quasi un esercizio di arte astratta. 

Il viaggio di Spike, interpretato dal bravissimo Alfie Williams (molto struggenti le sue interazioni con il personaggio della madre, interpretato da Jodie Colmer), è però anche il viaggio di un bambino che non può vivere di sola “arte astratta”. Un bambino che rincorre ancora (e per forza) sogni di vita e di speranza. Sogni “illogici” che non possono essere capiti da una guida inadeguata come il padre, che cerca continuamente di “distrarre” il figlio dai dubbi, nella speranza così di farlo sopravvivere. Ma sogni che una figura sciamanica come il dott. Kelson (un incredibile Ralph Fiennes “metafisico”) può forse aiutare a comprendere meglio, introducendo Spike a una specie di culto dei morti volto a capire quanto ogni vita spezzata, anche quella di un nemico, sia importante all’interno della natura delle cose. 28 anni dopo gode di molti momenti visivi forti, che andranno a “infestare” la mente dello spettatore almeno quanto la terribile scena dell’incubo “sul bambino” di Renton, in Trainspotting.

28 anni dopo
28 anni dopo

Ma come Trainspotting sa raccontare anche situazioni estremamente folli e leggere. Sa giocare con una colonna sonora pop, non teme l’arrivo sulla scena di personaggi eccentrici come lo erano appunto Renton, Spud e Silkboy, non smette mai di costruire un piano emotivo ricco e mai banale che riesce a coinvolgere anche i personaggi “più distati” sulla scena. Bravi tutti gli interpreti, bellissimo il lavoro svolto a livello visivo, interessante anche la caratterizzazione, sul piano del make-up e degli effetti speciali, di infetti che sanno trasformarsi in lubrichi uomini-larva quanto in spaventosi giganti. Al termine della visione si avverte che il mondo di Boyle e Garland ha ancora moltissimo di nuovo e unico da raccontare, in un mondo in cui gli zombie-movie sembrava avessero già raccontato tutto. 

Finale

Il nuovo film di Boyle e Garland ci ha piacevolmente sorpreso sotto molti punti di vista. Ottimi tutti gli interpreti, molto affascinante l’ambientazione, originale la rappresentazione dell’azione, ma soprattutto unica e preziosa una storia capace di colpire al cuore facendo riflettere sul futuro e su come stiamo facendo crescere le nuove generazioni in un mondo con sempre meno prospettive di felicità. Garland si è fatto ispirare dal cinema sociale di Ken Loach e mai una tale scelta fu più azzeccata. Romero approverebbe.