1. Piccole dita

Così piccole.

Così tanto, tanto piccole.

Le dita che premevano sotto la porta d’ingresso della sua casa erano ciò che di più pallido e innocente esistesse al mondo. Non riusciva a smettere di fissare quelle dita infantili che si tendevano furiose, cercando di raggiungerla, mentre lei restava lì nel portico, in piedi, tremante. La fresca aria mattutina le sollevava leggermente la camicia da notte rosa, mentre con le dita pallide teneva chiuso sul collo l’accappatoio sottile. Il clima del Texas poteva cambiare rapidamente, e nelle prime ore di quella mattina di marzo era frizzante.

Avremmo dovuto prendere dei paraspifferi, rifletté distrattamente.

La fenditura nella parte inferiore della porta d’ingresso era davvero troppo spessa. Quelle nuove case moderne sembravano così carine, ma in realtà erano tutto tranne che ben costruite. Se avessero scelto di acquistare la casa in stile vittoriano che piaceva a lei, non avrebbero avuto una simile fessura sotto la porta d’ingresso. 

Una fenditura abbastanza spessa da permettere a quella piccola mano di infilarcisi sotto.

Le dita annaspavano frenetiche sotto la porta. 

I colpi all’interno della casa risuonavano ora intermittenti ma regolari. Erano ritmici, come lo erano i gemiti e i grugniti. Quei suoni la terrorizzavano. Ma la cosa più raccapricciante erano quelle minuscole dita disperate.

Un grido le si bloccò in gola quando il sangue iniziò a fluire da sotto la porta. Avrebbe dovuto aspettarselo. Era così tanto. Ce n’era dappertutto nella camera da letto di Benjamin, quando lei si era bloccata sulla porta, entrando. Le pareti erano chiazzate di rosso.

Si coprì la bocca con la mano. Fu attraversata da una nuova ondata di brividi gelati, che le fecero sbattere le ginocchia una contro l’altra.

Il ritmo cambiò nel momento in cui un secondo paio di pugni iniziò a battere contro la porta.

Attraverso lo spesso vetro piombato poteva intravedere la sagoma confusa del corpo di suo marito, distorta dalle larghe strisce di sangue che ne macchiavano l’interno. La fissò abbastanza a lungo da distinguere le mani informi di Lloyd che assaltavano il vetro, prima di riabbassare inesorabilmente lo sguardo su quelle piccole dita che la cercavano a tentoni in modo così spasmodico.

Avrebbe dovuto insistere con Lloyd per far mettere quei paraspifferi. 

Un urlo infuriato proveniente dall’altra parte della porta la fece sussultare e i capelli corvini le ricaddero sul viso. Con mani tremanti ricacciò indietro le trecce, lo sguardo fisso su quelle minuscole dita.

La pozza di sangue si stava lentamente avvicinando ai suoi piedi nudi.

Avrebbe dovuto muoversi.

Ma verso dove?

Le esili dita apparivano ora scorticate, facendo intravedere le ossa sotto la carne. Ma la stavano ancora cercando.

Ci fu un forte tonfo alla sua sinistra e il suo sguardo si spostò alla finestra. Mikey era lì e sibilava, battendo contro la finestra con i pugni serrati. Le sue labbra straziate erano atteggiate in un ghigno mentre i suoi occhi spenti la inchiodavano, famelici.

– Perché, Mikey, perché? La sua voce era ridotta a un triste sussurro.

Perché il suo bambino di dodici anni era tornato indietro per cercare di combattere suo padre? Perché non era scappato con lei quando gli aveva urlato di seguirla?

Si afferrò la testa, dondolando leggermente. Avvertì qualcosa di freddo lambirle l’alluce e guardò verso il basso, verso il sangue spesso che le formava un laghetto intorno al piede.

Mentre si ritraeva, la sua visuale si spostò sulle dita premute sotto la porta d’ingresso. Le punte delle piccole dita erano spellate.

– Benjamin, ti prego, smettila – sussurrò.

La seguiva sempre dappertutto. Tutte le volte che andava in bagno, il suo tenace bambino di tre anni la seguiva. Non poteva semplicemente andare e rilassarsi. Doveva continuare a parlargli mentre lui restava fuori dalla porta del bagno, l’occhietto sulla fenditura, le piccole dita paffute premute sotto la porta.

Cos’era quello? Si trattava di un occhio schiacciato sullo spiraglio sotto la porta d’ingresso?

Com’era riuscito a scendere di sotto? Era rimasto così poco, di lui. Lloyd aveva sempre avuto un così grande appetito…

Si sentì sul punto di vomitare e si serrò la bocca con entrambe le mani. Arretrò, annaspando, allontanandosi dalla porta. Il suo corpo tremava convulso. Avvertiva un suono tintinnante, ora, fastidiosamente acuto. Coprendosi le orecchie con le mani fece un altro passo indietro.

Perché tutto non finiva lì e basta?

Il rumore era ora più forte e le sue mascelle schioccarono.

Oh, stava battendo i denti.

Chiuse gli occhi, continuando a dondolare.

Quelle piccole dita… Quelle minuscole dita…

Il vetro si frantumò e la fredda aria mattutina si riempì di grugniti.

I suoi occhi si spalancarono di colpo per fissare Mikey che cercava di farsi strada attraverso la finestra infranta.

– No, no, no… – Inciampò arretrando sugli scalini dell’entrata e cadde quando uno dei piedi nudi scivolò sull’erba, resa molle dalla rugiada.

Frammenti di vetro squarciavano la carne di Mikey mentre questi si faceva strada attraverso la finestra, ma il dodicenne non sembrava accorgersene. Continuava a spingersi in avanti, grugnendo e ringhiando.

Fu in quel momento che lei riuscì a urlare, più forte di quanto avesse mai potuto credere possibile. Urlò come avrebbe dovuto urlare quando aveva trovato Lloyd riverso su Benjamin, mentre divorava la carne tenera del suo piccolino. Come avrebbe dovuto fare quando Lloyd aveva inseguito lei e Mikey giù per le scale. Oppure quando Mikey era tornato indietro per difenderla, o quando la porta d’ingresso si era richiusa alle sue spalle e lei aveva realizzato

di essere rimasta sola.

Urlò fino a quando sentì la voce morirle in gola.

E Mikey grugniva e sibilava ancora, mentre lentamente trascinava il suo corpo martoriato fuori dalla finestra distrutta. Lloyd, insanguinato dalla testa ai piedi, folle, si affacciò dopo Mikey e fissò lo sguardo malevolo su di lei. Iniziò a trascinarsi con decisione al seguito del figlio, frantumando ciò che restava del vetro della finestra.

Lentamente lei si rialzò, lo sguardo fisso sulla porta.

Le piccole dita la stavano ancora cercando.

Si premette le mani sul viso mentre fissava Lloyd e Mikey contorcersi e dimenarsi attraverso lo stretto passaggio della finestra.

– Entra nel furgoncino, subito!

Lei sbatté le palpebre.

– Salta su, muoviti!

Si girò lentamente. Un vecchio furgoncino malandato sostava sul suo prato perfettamente tosato. Il motore rombava e fumava.

Da dove era arrivato?

– Dentro! Ora!

Alzò gli occhi verso una donna alta, magra e bionda, in completo elegante e giacca sportiva, in piedi vicino al furgoncino e con un fucile in mano.

– Entra subito!

Si guardò indietro, e vide Mikey scivolare giù dalla finestra, fradicio, insanguinato e malconcio. Per un momento si ricordò di come le era apparso appena nato. Il suo piccolo scimmiotto rugoso.

Procedendo con difficoltà, Mikey si fece avanti.

Era ora di lasciare la sua famiglia. I soldi che aveva messo da parte con cura per fare fronte alle necessità sue e dei suoi figli sarebbero rimasti nascosti nel ripostiglio. La valigia, che aveva preparato per quando sarebbero finalmente scappati verso la casa di accoglienza per donne, sarebbe rimasta celata in soffitta.

Lloyd aveva distrutto ciò che rimaneva della loro vita insieme.

Era ora di andare.

Avviandosi a forza verso lo sportello del passeggero, tenne lo sguardo su Mikey, che stava piombando su di lei. Saltò dentro e lo richiuse con forza nel momento esatto in cui lui si lanciava contro il furgoncino. La sua faccia livida, rosicchiata, premette contro il vetro mentre snudava i denti, e i suoi grugniti le torturarono le orecchie.

– Mikey – bisbigliò. Premette le mani contro il vetro, nascondendo la faccia orripilante dalla sua visuale.

Volse lo sguardo.

La donna bionda salì a bordo, sbatté lo sportello e ingranò la marcia. Il furgoncino ruggì in retromarcia mentre Lloyd si trascinava verso di loro, sibilando rumorosamente.

La bionda innestò la prima di nuovo e il furgone si avviò traballando lungo la tranquilla strada di periferia, mentre il sole si alzava sopra i tetti delle case.

Osò voltarsi, osò guardare cosa le stava seguendo. Proprio dietro di loro c’erano Lloyd e Mikey: suo marito e suo figlio. E non erano soli. Altri, insanguinati e impazziti, correvano fuori dalle case, urlando per il terrore o per la fame.

Distolse lo sguardo dalle creature che la rincorrevano.

E dalle piccole dita che era sicura stessero ancora premendo sotto la porta.