Prologo

“Le forze del bene e del male si affrontano ogni giorno su questa terra, attraverso le persone. Gli Dei o i Demoni non hanno potere assoluto, non possono decidere tutto. Sono limitati da una forza che appartiene a ognuno di noi, anche al più umile: il libero arbitrio”.

La ragazza osservava dall'alto la vallata, avvolta nel suo caldo mantello di lana, il cappuccio calato in viso per ripararlo dai rigori della notte invernale, che di lì a poco sarebbe scesa sul mondo. La luce stava scemando lenta, ma gli acuti occhi della giovane avevano scorto in lontananza la compagnia di cavalieri che procedeva verso di loro nella neve. Si chiese se lei e il suo gruppo in attesa fossero già stati individuati.

“Tanto meglio”, pensò la giovane, scostandosi con un gesto meccanico un ciuffo di capelli neri dagli occhi nocciola. Era convinta di non sbagliare, questa volta. Era convinta che quella fosse la compagnia che lei e i suoi uomini cercavano da giorni. Il cuore prese a martellarle in petto in modo doloroso, quando si rese conto che presto l'avrebbe raggiunta. Lasciò spaziare ancora per un attimo lo sguardo sul paesaggio imbiancato, che pian piano stava assumendo i riflessi rossastri che il tramonto diffondeva attorno. Quando i cavalieri nel fondo valle furono a portata d'udito, fece un cenno a uno dei suoi uomini e lui annuì, poi si girò, portando le mani alla bocca e volgendo il viso al cielo. Lanciò un lungo, malinconico ululato, imitando il richiamo struggente di un lupo. Quasi subito la ragazza notò che tutti i componenti della compagnia rivolsero la testa all'insù. Un altro ululato giunse in risposta, facendo correre un brivido di gioia nel corpo della giovane. Anche i compagni di questa sorrisero, scambiandosi occhiate soddisfatte.

“Scendiamo”, ordinò lei, e i suoi uomini non se lo fecero ripetere.

Condussero con abilità le loro cavalcature verso valle, attenti a fare in modo che non scivolassero sulla neve che si stava ghiacciando. Man mano che si avvicinavano ai nuovi venuti, la ragazza cominciò a intravederne le facce. Un paio di essi si staccò dal gruppo e lei, spronando il cavallo al galoppo, si preparò a intercettarli. Quando furono ormai vicini, li riconobbe con un debole sorriso.

Il primo dei due, un uomo sulla cinquantina, dal portamento imponente e con un occhio coperto da una benda nera, fece fermare il proprio cavallo con aria stupita.

“Che mi venga un accidenti!” esclamò Jon Zak. “Che diavolo ci fate voi qui? Non pensavamo certo di rincontrarvi, non fino a primavera, almeno! Ma rivederti, mia cara, è sempre un enorme piacere, per me!” con una roboante risata l'uomo strinse la mano che lei gli porgeva, sorridendole con affetto.

“Cominciavo a disperare di ritrovarvi, in verità”, confessò la ragazza con un sospiro di sollievo. “Vi abbiamo cercato in diversi rifugi, a Manara, ma vi abbiamo sempre mancato per un soffio. Quando noi arrivavamo, voi ve n'eravate appena andati. Poi due giorni fa abbiamo saputo da amici comuni che avreste tentato di lasciare Manara. E con enorme sollievo vedo che ce l'avete fatta. Abbiamo seguito le vostre tracce. E quelle dei wolfing che vi davano la caccia, anche se sono molto perplessa sulla loro sorte, se devo essere sincera; che diavolo di fine hanno fatto? Credevamo di imbatterci prima in loro, che in voi”.

“Questa è una lunga storia, Naraia Hogam”, intervenne il secondo cavaliere, appressando il proprio cavallo ai loro e salutando con un cenno la figlia del capo dei ribelli.

La giovane lo riconobbe solo in quel momento. Gli sorrise con calore. “Salute, mago Xever. Mi avevano detto che tu e i tuoi compagni eravate scappati incolumi da Reinen quattro mesi orsono. E sono felice di costatarlo coi miei occhi”.

L'altro ricambiò il sorriso in modo sornione. “Non avreste dovuto dubitarne nemmeno per un minuto, comunque! Ma dicci subito: perché tu e i tuoi uomini siete qua? Ero convinto che il valico fosse bloccato per la neve, almeno per altri due mesi”.

Naraia annuì, lanciando di sfuggita un'occhiata al resto dei compagni di Xever, che nel frattempo li avevano quasi raggiunti.

“Mio padre ha deciso che una sua delegazione doveva per forza sorvegliare i Guardiani e non sono proprio

riuscita a farlo desistere. Il clima è stato suo alleato: la neve, come sapete, è arrivata presto, quest'anno, ma poi l'inverno al nord è stato clemente. Il valico è ancora praticabile, almeno per ora. Quindi, eccoci qui!”

Mentre parlava cercò d’istinto con lo sguardo due figure tra i nuovi arrivati, ma non le individuò. Il cuore le mancò un battito. Xever dovette accorgersi della sua espressione allarmata. Prima che Naraia aprisse bocca per porre la domanda, il mago la precedette.

“Noto che non ti hanno messa al corrente proprio di tutto ciò che è successo. I Guardiani non sono con noi, Naraia. Ma stanno bene, non preoccuparti. Temo però che tuo padre resterà alquanto deluso: se ne sono andati. E rigorosamente da soli, ragazza mia”.

Naraia rimase a bocca aperta. Fece scorrere il suo sguardo da Xever a Jon Zak, e poi di nuovo a Xever. “Starai scherzando! E voi glielo avete lasciato fare? Per andare dove, poi?”.

Ma che diavolo saltava per la testa di Rayan?

“Nemmeno la maggior parte di noi era d'accordo. Ma quando i due attuali Guardiani si mettono qualcosa in testa è impossibile far cambiare loro idea”, intervenne la voce di una ragazza dal gruppo dei nuovi arrivati.

Naraia cercò di vederla bene in volto, ma la giovane teneva il cappuccio calato sulla testa e la luce del giorno si era ormai spenta del tutto. Intuì però il sorriso dell'altra balenare nel crepuscolo.

“Sono davvero felice di conoscerti, Naraia Hogam”, aggiunse la giovane con un'inaspettata nota di calore nella voce. “Io sono Larien Winwer; ti accorgerai che abbiamo alcune cose in comune, tu e io”.

Naraia rimase a guardarla perplessa.