(Francesco Coppola)

…«Che cos’è la verità Geralt?»

«Non lo so, Yen. Dimmelo tu.»

«Non posso, Geralt. Non posso dirtelo. Te lo dirà questo uccello creato dal tocco della mia mano. Uccello? Che cos’è la verità?»

«La verità è una scheggia di ghiaccio», disse il gheppio.”

Il destino è una spada a due lame,

la prima sei tu,

la seconda è la morte.

La spada del destino (Miecz przeznaczenia) è la seconda raccolta tradotta in Italia di racconti scritti da Andrezej Sapkowski sulle avventure dello strigo (witcher) Geralt di Rivia: cacciatore di mostri a pagamento, divenuto famoso grazie al videogame creato dalla software house polacca CDProject Red, il cui secondo episodio - Assins of Kings - è in uscita il 17 Maggio.

Rispetto al primo volume la struttura di questa raccolta di racconti presenta analogie e  differenze: sei racconti, senza una storia-cornice come era “La voce della ragione” ne Il guardiano degli innocenti, ma l’ultimo brano – Qualcosa in più – ha più o meno la funzione di riassumere, ordinando cronologicamente, le storie precedenti. Inoltre, se lo scopo de Il guardiano degli innocenti era quello di presentarci Geralt, il suo mestiere e il suo mondo, qui si approfondiscono soprattutto i legami fra lo strigo, le donne della sua vita e il destino che sembra seguire, passo passo, il nostro eroe.

I limiti del possibile.

La prima delle storie di questa raccolta è un brano corale, con tanti personaggi impegnati in una battuta di caccia a una creatura rara: un drago dorato. L’autore  sembra giocare qui molto sul ribaltamento di diversi tropi del Fantasy: abbiamo il bardo, la bella maga ultracentenaria, il mago ecologista, il devoto cavaliere senza macchia e senza paura, una banda di irriducibili mercenari, un giovane sovrano accompagnato dall’autoritario cancelliere. Ma il finale riserva delle sorprese, e si dimostra ancor più gustoso per quel lettore che inizialmente avesse storto il naso pensando al “già visto”: dobbiamo diffidare dei nostri pregiudizi, se abbiamo come bardo un Ranuncolo, come maga Yennefer, e il nostro impareggiabile Geralt di Rivia.

In definitiva qui i vari personaggi in scena avranno anche un sapore medievaleggiante, ma Sapkowski li anima del suo già riconosciuto sguardo moderno sulla psiche umana, creando scene davvero gustose.

Una scheggia di ghiaccio.

La storia è centrata sul problema doloroso dell’eterno triangolo: Geralt e Yennefer e il loro tentativo di vivere un rapporto stabile, complicato dalla presenza di un altro uomo. Sarà possibile per loro? La risposta giunge assieme alle reminiscenze di antiche leggende su La Caccia Sacra e La Regina del Ghiacci, in un crescendo di tensione fino alla conclusione. Di sicuro, nella (poco) ridente cittadina di Aedd Gyrnvael, fra discariche pestilenziali e una società umana sovraffollata, alligna una gran voglia di azzannarsi a vicenda.

Il fuoco eterno.

Qui, in contrasto con la precedente storia, si passa a toni opposti: una commedia degli equivoci dal sapore plautiano.

Nella grande città commerciale di Novigrad spadroneggia un fosco oltranzismo religioso, portato avanti con metodi poco ortodossi dai seguaci del culto del Fuoco Eterno. Il posto meno adatto per un mimic, essere considerato demoniaco e quindi ferocemente perseguitato. Sarà proprio il Witcher a trovare una soluzione, assieme a Ranuncolo - incontrato in mutande dopo la brusca conclusione di un’avventura con una fanciulla del luogo. Da qui parte una storia di scambi di persona, di mercanteggiamenti, di  equivoci divertenti, come il finale della vicenda. C’è però un passaggio particolare – una scheggia di ghiaccio – incastonato in questo divertissement. Il doppler riesce a imitare alla perfezione tutti, meno uno: Geralt, lo strigo. Leggerne il motivo conferisce alla storia un brivido capace di far risaltare per contrasto la leggerezza del finale.

Un piccolo sacrificio.

Qui predomina la figura di Ranuncolo e dei bardi in generale. Una volta finito di leggere questa storia sembra di aver appena sentito una lunga, variata - ora allegra, ora sconcia, ora tenera, ora tragica - filippica sul senso della vita. Più volte nei racconti precedenti, Ranuncolo era sembrato la spalla comica di Geralt, ma qui l’autore sembra proprio che abbia deciso di rendergli giustizia.

Il racconto vede lo strigo impegnato in un ruolo quanto mai insolito: l'interprete fra la bella sirena Sh’eenaz e re Agloval, sovrano di un regno di falesie e rocce affacciato sul mare.

E’ Ranuncolo, questo esilarante personaggio attratto da nient’altro che frivolezze, belle tette, culetti e fornicazione a volontà, a trascinare lo strigo nella vicenda, ed è tutta colpa sua quel che accade dopo. Ranuncolo conosce Occhiolino, donna bardo dagli occhi come enormi stelle azzurre. Occhiolino sarà l’incontro che Geralt non si aspetta, che lo lascia confuso e stordito: molto meglio fissare gli occhi a goccia e inespressivi di un mostro marino, capace di farti a pezzi come niente, piuttosto che guardare dentro quelli di lei.

E così abbiamo la passione impossibile fra un sovrano avaro, di una terra magra affacciata sul mare, per una procace sirena, e l’altrettanto impossibile amore del cacciatore mutante, con la fanciulla dalla voce d’oro.

Un brano questo che si lascia dietro, per quanto strano possa sembrare, un aroma di storie estive, rimpiante poi in pieno inverno.

La spada del destino.

Nella foresta primeva di Brokillon, difesa strenuamente dalle driadi, esseri femminili e bellissimi quanto letali, Geralt trova per puro caso una principessina terribile e piena di energie scampata a un matrimonio imposto. Si tratta proprio della Bambina Sorpresa che gli era stata promessa in cambio di un vecchio servigio, destinata a diventare parte essenziale del suo destino, che egli lo voglia o meno. 

Nel racconto le driadi sono descritte come un’etnia ben precisa, con i propri problemi interni e di vicinato, guidate da logiche non umane. Si dice che avventurarsi in Brokillon per un uomo equivalga a morte certa. Pressate da difficoltà proprie e dall’aggressione umana, le abitanti dell'antica Brokillon possono reagire in modo spietato, ma mai quanto gli umani stessi.

Qualcosa di più.

Giungiamo ora all’ultima vicenda di questa serie di racconti. Nell’assolvimento dei suoi doveri, Geralt salva il mercante Yurga da un assalto di creature antropofaghe ma rimane ferito in modo grave. Durante la lunga convalescenza lo strigo perde più volte conoscenza, rivivendo stralci dei suoi incontri precedenti con le donne del suo passato.

In questo modo, Sapkowski rimette ordine nella consecutio temporum delle precedenti vicende.

Sappiamo quindi che Geralt ha rivisto Yennefer e sulla sorte dei due, fatti l’uno per l’altra ma incapaci di una relazione stabile. Non è forse comprensibile che finiscano per parlare del Destino? Fondamentale è quanto dice a Geralt la maga: "Il destino, il destino non basta, ci vuole qualcosa di più".

Già, ma cosa? Geralt e Yennefer non lo sanno e lo strigo ne è oramai ossessionato.

Fra momenti di veglia e abbandoni, il mutante ripercorre varie tappe e continua a sognare di donne, la Guaritrice che gli salva la vita; il secondo incontro con Calanthe, nonna di Cirilla; l’arrivo nei luoghi della battaglia di Sodden, ove incrocia per la prima volta lo sguardo della misteriosa fanciulla pallida che lo segue da sempre e infine, la vera e propria Sorpresa che attende Geralt alla fine del viaggio.

Con queste ultime storie soprattutto, abbiamo riassunto la vicenda di Geralt di Rivia e veniamo sospinti verso la pentalogia di romanzi successivi, in cui un ruolo centrale l’avrà Cirilla, il destino di Geralt.

Se Il guardiano degli innocenti può essere visto come "l'infanzia" di un grande eroe, la Spada del destino ne è l'ottima maturazione, nella psiche e nel fisico. Un addestramento necessario, visto le aspre lotte che attendono Geralt, Ciri, Yennefer e Ranuncolo nella grande pentalogia di romanzi cominciata con Krew elfów, la cui versione in inglese - Blood of Elves - ha vinto nel 2009 il premio internazionale per il libro dell'anno che ha dato lustro letterario al genere Fantasy, e cioè il David Gemmell Legends Award.

(Mirco Tondi)

"La spada del destino ha due lame. Una sei tu."

Geralt di Rivia conosce bene questa frase, una frase che la saggezza antica tramanda per spiegare i meccanismi e le forze che plasmano l'esistenza. Un'affermazione che ritiene un trucco, un inganno, una mistificazione, nient'altro che legno rivestito d'oro: sono la lucida verità e il buonsenso umani i creatori del mondo in cui si cammina.

Geralt di Rivia.

Uno strigo.

Un essere forgiato per dare la caccia a mostri e creature magiche, temprato da prove durissime fin da bambino; prove, come quella delle Erbe, a cui solo pochi riescono a sopravvivere, rendendolo capace di superare limiti preclusi ai normali umani.

Un essere privato delle proprie emozioni in modo da obbedire al compito affidatogli senza pensare, senza avere intralci: una sorta di forza della natura, di Ka, che ad ogni azione fa corrispondere una reazione.

Nonostante non voglia ammetterlo, nascondendosi dietro l'addestramento e il codice che gli è stato trasmesso, cercando di convincersi che la realtà sia davvero come crede, piegandola al freddo e sicuro raziocinio, Geralt deve accettare che ci sono cose come i sentimenti, come il destino che non possono essere sconfitte. Possono essere ignorate, represse, si può tentare di sfuggirgli, ma ritorneranno sempre, perché il mondo è guidato da grandi energie, energie che agiscono in maniera inspiegabile e sconosciuta, ma di cui si riscontrano gli effetti. Perché l'uomo, e ogni altra creatura, non sono altro che ingranaggi di un meccanismo, un corpo più grande.

No, Geralt non è quello che vuol far credere, non è la macchina senza sentimenti che caccia i mostri solo perché gli viene comandato.

E' quanto dimostra in I limiti del possibile e Il fuoco eterno, arrivando a mostrare che le creature non umane possono avere un posto nella società, arrivando anche a migliorarla: la diversità non è un male, solo un altro aspetto dell'esistenza e, se non danneggia gli altri, non deve essere estirpata, ma compresa, anche se alle volte può risultare difficile capirla, accettarla, anche se può spaventare, facendole apporre un rifiuto.

Come succede con i sentimenti, energie forti, inarrestabili, che non si riescono a comprendere, a spiegare, che non danno tregua, che possono soltanto essere accettati e vissuti. Un frammento di ghiaccio e Un piccolo sacrificio parlano proprio di questo.

E sempre restando in tema di grandi energie, ecco quelle del destino, o, se si vuole essere più corretti, della natura della vita, agenti cui è difficile sottrarsi, perché non esistono coincidenze, ma solo l'illusione delle coincidenze: il raziocinio umano è ancora troppo limitato per riuscire a comprendere e abbracciare l'immensità del creato. Questo è il significato su cui ruotano La spada del destino e Qualcosa in più.

Andrzej Sapkowski ha creato un fantasy con uno stile semplice, fluido, immediato che rispecchia il suo personaggio principale, che non si prende troppo sul serio, ma che affronta seriamente le tematiche della vita, con quel sorriso tipico di Geralt, un misto di disincanto, consapevolezza nata dall'esperienza e umorismo. Perché l'esistenza non è come le ballate di cui cantano i bardi, epica, gloriosa, romantica e splendente di luci, ma è fatta di tante zone d'ombra; non è un cammino su strade dorate immerse in bianchi palazzi, ma un percorso su strade fangose, piene di spazzatura, dove alle volte crescono fiori rari, che durano pochi istanti, ma la cui presenza rende per questo la vita ancora più preziosa.