Non è mai facile parlare di un nuovo romanzo di Guy Gavriel Kay. Non lo è perché le storie dello scrittore canadese contengono talmente tante cose che diventa difficile scegliere su quali argomenti focalizzare la propria attenzione sapendo che qualunque scelta comporta l’esclusione di qualcos’altro. Non lo è, soprattutto, perché a fine lettura ciò di cui c’è bisogno è un po’ di tempo per respirare, per stare un po’ in pace e assimilare quanto si è appena vissuto.

Vissuto, non letto, perché quando una storia e i suoi personaggi entrano dentro di noi e non vogliono più lasciarci, quando la mente continua a ritornare su certe situazioni e su certe emozioni anche a giorni di distanza da quando si è letta l’ultima pagina, allora non è più lettura ma vita.

Late autumn, early morning. Sono le prime parole di River of Stars, il secondo romanzo di Kay ambientato in Kitai, una terra chiaramente ispirata alla Cina imperiale e fatta della materia di cui sono fatti i sogni. Tardo autunno, mattino presto. Un tempo, un’atmosfera. Chi l’ha detto che si debba per forza partire in media res? Che per scrivere un’opera di successo vadano seguiti certi stilemi, si debba attingere a certi cliché? Kay può permettersi d’ignorare tranquillamente tutte le regole scritte e non scritte del genere perché ha qualcosa da dire, e lo fa con i suoi tempi e i suoi modi.

Inizia con calma, con una descrizione d’ambiente nella quale s’inserisce l’immagine di un ragazzo che non ha ancora scoperto quale sarà il suo posto nel mondo. Poche scene, quanto basta per farsi una prima impressione dei suoi sogni e delle sue doti, e per conoscere un altro personaggio che più avanti rivestirà una certa importanza nella storia, e Ren Daiyan esce volontariamente di scena. Quando tornerà, parecchie pagine e parecchio tempo più avanti, sarà cambiato per sempre.

Fra la sua prima e seconda comparsa il lettore ha modo di dare un rapido sguardo a eventi che potremmo definire da libro di storia, i rapporti con le popolazioni confinanti, così diversi da quelli che erano stati in passato e da quelli che potrebbero essere in futuro. Sono solo due pagine, l’inizio della storia più grande che andrà a influenzare le vite di tutti i personaggi.

Non trovo pace

Perché non ho il potere

Di riparare un mondo rotto.

Nella Rinascita di Shen Tai, ricordando i versi del grande poeta Chan Du, Sima Zian aveva sottolineato quanto quelle parole fossero un fardello, con il loro comportare il peso delle responsabilità di sapere ciò che andrebbe fatto e come. Quei versi tornano a far sentire prepotentemente la loro forza in River of Stars, e non solo perché i due libri sono ambientati nello stesso mondo e in qualche punto gli eventi e i personaggi del libro precedente tornano a fare capolino fra queste pagine. Il Kitai di Ren Dayan non è lo stesso Kitai di Shen Tai. Nei secoli trascorsi fra le vicende dell’uno e dell’altro personaggio qualcosa si è rotto, e non è detto che possa essere riparato.

Sui versi di Chan Du già usati da Sima Zian per alleviare il fardello di Tai medita anche Lin Shan, poetessa in un mondo che vorrebbe relegare le donne in ruoli marginali, semplici oggetti graziosi da ammirare ma impossibilitati a fare anche le cose più semplici, come la cantante che nel giardino dell’imperatore dà voce alle sue parole. Lin Shan, come Dayan, non si accontenta di essere ciò che la società si aspetterebbe da lei e come lui si pone su un cammino difficile, le cui tracce forse si sono perse per sempre dal tempo della scomparsa della nona dinastia.

Per chi ha letto La rinascita di Shen Tai certi cambiamenti, la diffidenza verso i militari e l’impossibilità della semplice esistenza di uomini come Tai, di donne come Wen Jian, sono dolorosi, ma anche per chi non conosce quel romanzo il senso di perdita della grandezza passata è enorme. E, più che della grandezza, di una certa fiducia nel fatto che gli uomini possano compiere grandi imprese, essere grandi guerrieri, senza distruggere un impero, o che le donne possano essere intelligenti, oltre che affascinanti, senza apparire come strane creature macchiate da qualche oscuro difetto.

Quello di River of Stars è un mondo opulento, in cui lo sfarzo e l’apparenza sembrano essere le uniche cose importanti. I titoli con cui ci si rivolge agli altri, l’eleganza della calligrafia, la realizzazione di un giardino come specchio di una nazione, costi quel che costi. Ma ci sono sempre prezzi da pagare, anche quando si agisce con le migliori intenzioni. Cecità, meschinerie, rivalità, incompetenza, il semplice accidente di appartenere a un tempo sbagliato determinano la vita dei protagonisti tanto quanto le loro decisioni più consapevoli. E se il mondo in cui vivono è rotto, le decisioni da prendere sono spesso difficili e anche piccoli dettagli possono rivestire un’importanza enorme.

Kay costruisce la sua storia con calma. I suoi protagonisti, la prima volta che li incontriamo, sono giovani e ancora privi di esperienza. Là dove altri autori si orienterebbero verso saghe lunghissime composte da un gran numero di volumi, lo scrittore canadese preferisce comprimere gli spazi e far scorrere rapidamente gli anni focalizzandosi su singoli episodi, momenti a vario titolo significativi per la vita di ciascuno, e intercalandoli con sguardi su un mondo più vasto o con le vicende di altri personaggi che, solo per via del minor spazio a loro dedicato, possono essere definiti minori. I fratelli Lu, il primo ministro Hang Dejin e suo figlio Hsien, l’imperatore Wenzong, Zhao Ziji o il sottoprefetto Wang Fuyin non sono meno vivi di Dayan e Shan solo perché li si vede meno, né le storie degli uni potrebbero esistere senza quelle degli altri.

All’inizio il ritmo è lento. Un artista ha bisogno di tempo per tracciare ogni pennellata, Shan ha bisogno di ritrovare l’armonia accantonando la tensione che l’attanaglia per scrivere la sua lettera più importante nella miglior scrittura formale, i miti devono imprimersi nell’animo di ascoltatori e lettori perché possano essere efficaci, e Kay deve trovare le parole giuste, il rimo giusto delle frasi, perché i suoi testi possano essere così emotivamente coinvolgenti. Non sono cose che si possano ottenere in breve, sono parole che richiedono tempo, e la capacità evocativa di questo libro cresce man mano che la storia procede.

Con personaggi come questi, con una scrittura come questa, con un mondo complesso e abbagliante nella sua ricchezza, in un primo momento la trama sembra passare in secondo piano.

Man mano che le pagine risuonano fra loro però, con richiami che escono al di fuori delle singole storie per costruire qualcosa di più grande, grande quanto un impero, ci si accorge che il mondo è cambiato in modo drammatico, e con lui i suoi abitanti. Le vicende si svolgono in parecchi anni e toccano una quantità di aspetti incredibile: predestinazione, lotta contro i pregiudizi, poesia, intrighi di corte, amore, guerra, elementi fantastici, rapporto con una realtà diversa da quella che si sarebbe desiderata, muovendosi dal più intimo e commovente tratto umano alla vastità della storia e alla grandiosità del mito. I tre piani si compenetrano, così come le vite dei personaggi si intersecano fra loro e con quella del lettore, il cui stato d’animo alla fine è ben diverso da quello che era all’inizio.

A volte qualcuno prende una penna per narrare una storia, e noi viviamo altre vite attraverso le sue parole.