È un libro insolito, a cavallo fra il saggio e il manuale con una parte conclusiva ludica Harry Potter: il cibo come strumento letterario, l’ultimo lavoro dedicato da Marina Lenti alla saga creata da J.K. Rowling.

L’argomento, come indica già il titolo, è molto circoscritto: una sola saga indagata in uno solo dei molteplici aspetti che la compongono. Fin dall’inizio dunque è evidente che il libro è destinato a due gruppi ristretti di lettori: coloro che vogliono sapere tutto, ma proprio tutto, sul mondo creato dalla Rowling e coloro che oltre all’interesse magico hanno anche quello gastronomico. Il saggio della Lenti comunque ha l’indubbio pregio di mostrare come anche aspetti apparentemente secondari della saga debbano ricevere la giusta attenzione per poter risultare convincenti agli occhi dei lettori, e come ciò che realizziamo deriva in una certa misura dalle cose che ci hanno colpiti.

Harry Potter: il cibo come strumento letterario è strutturato in sette sezioni. La prima riguarda le influenze gastronomiche, con ricordi d’infanzia della Rowling riguardanti le opere che l’hanno spinta a cercare di creare qualcosa di analogo a ciò che lei stessa aveva amato e le relative citazioni dai suoi autori preferiti. Se da un lato è affascinante vedere come nulla sia nato per caso, dall’altro le numerose citazioni rallentano la lettura anche perché il continuo passaggio da un libro all’altro richiede al lettore una notevole attenzione per entrare dentro ogni singola scena.

Le sezioni successive sono più scorrevoli, a partire dall’analisi di come venga imbandita la tavola sia nella versione narrativa che nella sua trasposizione cinematografica. Non basta infatti elencare alcuni cibi per costruire una scena convincente, ma bisogna curare ogni dettaglio con i mezzi propri di ciascuna forma d’arte. In particolare le informazioni relative al set illustrano alcune delle sfide affrontate dalla produzione per dare il giusto tono fiabesco e “naturale” a qualcosa che invece è stato attentamente studiato.

Complementare a questo capitolo è il successivo, dedicato a chi materialmente cucina la cena. L’attenzione della Lenti passa da oggetti inanimati e scenografie a esseri viventi mostrando lo stretto legame fra la costruzione di un mondo e la vita che lo anima. Torna l’influenza di Il cavallino bianco, romanzo di Elizabeth Goudge già citato nel primo capitolo, ma soprattutto fanno la loro comparsa i protagonisti della saga. Il loro carattere, il loro modo di essere, si evince anche dal rapporto con il cibo e con chi ne viene in contatto, ricordandoci che un personaggio è davvero ben caratterizzato solo quando è completo e coerente da ogni punto di vista.

Il quarto capitolo, dedicato all’uso del cibo nella saga, è quello che più si avvicina agli altri saggi della Lenti. Fiaba, folklore, archetipi ed elementi psicologici vengono analizzati per mostrare la straordinaria profondità della storia narrata dalla Rowling in pagine che uniscono informazione e divertimento.

Molto interessante il lavoro dell’autrice, che evidenzia con chiarezza quanto il cibo sia espressione culturale, illumina le contaminazioni fra popoli, svelando società in continuo movimento e cambiamento in epoche antiche, quanto sia portatore di significati psicologici anche in saghe apparentemente di genere, come quella di Harry Potter: attraverso il cibo si festeggia, si punisce, si esclude qualcuno, lo si prende in giro, si cerca una captatio benevolentiae. Il cibo identifica un periodo storico, un livello sociale, un’appartenenza etnica, ma anche religiosa. Attraverso il cibo possiamo nuocere o vivificare qualcuno, importantissime le pozioni che hanno un valore simbolico profondo ed essendo spesso composte da erbe sono indice di un legame con la Natura che la Rowling non manca mai di sottolineare e che l’autrice presenta con accuratezza.

Da non sottovalutare il lavoro di ricerca storica dell’origine dei piatti presentati sia nella versione cartacea, sia in quella filmica della saga. Molto difficile l’argomento, perché non c’è una canonizzazione delle ricette, dato che in ogni famiglia, in ogni zona si hanno delle varianti a volte notevoli e spesso sono di difficile reperimento versioni scritte; perché il significato del cibo per le popolazioni del passato non è materia certa, ma solo ricostruzioni ipotetiche. Nel ricettario si trovano tante ricette, qualcuna più fattibile, qualcuna più in linea con il gusto italiano in generale meno incline al dolce di quanto lo siano gli inglesi.

L’ultima sezione, il quiz del babbano goloso, è prettamente ludica e ricorda un altro libro realizzato da Marina Lenti diversi anni fa, Harry Potter A Test. In questo caso si tratta di domande gastronomiche a volte un po’ cervellotiche, come quella sui collegamenti logici, ma le risposte sono sempre interessanti. È un peccato però che le risposte stesse si trovino ben visibili immediatamente sotto alle domande, negando di fatto al lettore la possibilità di riflettere un po’ per cercare da solo la risposta esatta. Un difetto che avrebbe potuto facilmente essere evitato con un’impaginazione diversa.

Complessivamente si tratta di un buon testo, interessante e capace di illuminare aspetti dei romanzi di J.K. Rowling che altrimenti sarebbe facile trascurare a causa della ricchezza di una saga che propone ai suoi lettori infiniti elementi di meraviglia. Se l’unico vero limite è il concentrarsi del saggio su un argomento tanto ristretto da poter essere apprezzato come meriterebbe da gruppi di lettori ben specifici, il limite si trasforma in una forza nel momento in cui dimostra come sia possibile analizzare un’opera d’arte anche nei suoi aspetti apparentemente meno significativi.