La leggenda dei Drenai
La leggenda dei Drenai

A pagina 342, Stavut e i suoi s'imbattono in Gilden, un sottoufficiale dei Cavalieri Leggendari in esplorazione, che il mercante conosce da tempo. L'uomo d'arme,  abituato ad associare agli Jiamad terribili nemici o propri strumenti di morte, diffida l'amico da restare in loro compagnia.

"Puoi pensare che queste bestie siano addomesticate, Stavut, ma tu sei in grave pericolo. Non puoi fidarti di loro. Sono mostri."

"Mostri? Sapevi che non gli piace nemmeno uccidere le persone?" disse Stavut, con gli occhi adirati. "Non abbiamo un buon sapore. Ci uccidono perché sono generati per farlo, addestrati a farlo, gli viene ordinato. Da altri uomini. Mostri? Noi siamo i mostri, Gilden."

Ancora: a pag. 454, Gilden esprime la sua opinione, in modo blando ma comunque un po' ironico. "Non è gente sentimentale, vero? Niente abbracci, niente lunghi discorsi."

Stavut scuote il capo. "Ho visto uno di loro morire stanotte. Tutti gli altri hanno messo un dito sulla ferita e l'hanno leccato. Ho chiesto perché. Grava me l'ha detto in tre parole. 'Portiamo con noi.'"

Ovvero: come esprimere efficacemente un concetto complesso in modo semplice e immediato. Diretto.

Un altro tema presente nelle Spade del Giorno e della Notte, e caro a Gemmell, è quello del Male inteso non in chiave dicotomica (e, per tanti versi, nemmeno con la M maiuscola). Con un corollario: come il potere assoluto corrompa in modo assoluto, alimentando il male in modo abnorme.

Esempi…

Skilgannon ricorda, dalla sua prima vita, le parole della sacerdotessa Astarte.

"Tutti noi portiamo il seme del male nei nostri cuori e nelle nostre anime. Anche i più puri, anche i più santi. Fa parte della condizione umana, è innato. Non possiamo sradicarlo. Tutto quello che possiamo fare, al massimo, è impedirgli di germinare."

Più sotto, nella stessa pagina, durante lo stesso dialogo:

"È la maledizione del potere assoluto, Olek. Non c'è nessuno che possa ammonirti, nessuna legge tranne quelle che tu stesso promulghi. Ci piace credere che il male sia qualcosa di speciale, perfino di estraneo. Ci piace pensare che i tiranni siano diversi da noi. Che siano disumani, in qualche modo. Ma non è così. Non sono altro che degli esseri scatenati, senza vincoli; liberi di fare quello che vogliono."

Il male è fuori e dentro di noi. Va riconosciuto nei sintomi e combattuto nelle manifestazioni, per quanto la vittoria possa tante volte apparire (o, ragionevolmente, esserlo davvero) impossibile.

Verso i momenti finali del romanzo, Druss afferma: "Vincere non è tutto, Stavut. Agli uomini piace pensare che sia così. Alle volte è più importante opporsi al male che preoccuparsi di sconfiggerlo."

In tal senso, il destino violento dell'uomo sembra dolorosamente ineluttabile. A pag. 380 leggiamo:

"Skilgannon aveva promesso ai cavalieri Leggendari che li avrebbe aiutati a cambiare il mondo. Era una menzogna. Non poteva cambiare il mondo con le spade. In teoria Cethelin aveva ragione. Il cambiamento più profondo sarebbe giunto solo quando tutti gli uomini avessero rifiutato di brandire le spade; quando la guerra non sarebbe stata vista come un atto glorioso, bensì atroce.

Non sarebbe mai accaduto, lui lo sapeva."

Parole amare? Certo.

L'amarezza, del resto, è un altro ingrediente proprio della "ricetta Gemmell".

Ancora amarezza, per esempio, nelle consapevoli, rassegnate e liberatorie nel contempo, parole di un feudatario dell'Eterna, ribellatosi al suo potere e puntualmente sconfitto. A pag. 407, lo vediamo portato al cospetto della regina immortale di cui fu anche, come nei secoli tanti, amante.

"Quando ero un giovane sacerdote," disse Agrias "avevo il dono delle visioni. Queste svanirono quando crebbi e presi ad adorare il potere e la ricchezza materiali."

"Stupendo" lo canzonò l'Eterna. "Quanto amo i racconti moraleggianti. Ha un lieto fine?"

"Non c'è nessun lieto fine per quelli come te e me, o magnifica."

Bene. Credo/spero di aver incuriosito i neofiti.

E magari di aver lanciato qualche sasso nello stagno delle opinioni della "vecchia guardia"; ), invitandole nel contempo a confrontare questo romanzo non con le più inimitabili tra le opere dello stesso autore, bensì con una produzione fantasy che (grazie al momento favorevole che sta vivendo in termini di mercato), oltre ad opere di qualità, innovative, sta indubbiamente "sfornando" pure una molteplicità di lavori di caratura quantomeno modesta.

Sì, dunque: Le Spade del Giorno e della Notte è solo (solo?!) un "buon" lavoro di un Maestro come David Gemmell.

Ma, nel contempo, è un "ottimo" esempio di fantasy eroica.

Da leggere. Per scoprire David. Per ricordare David. O anche esclusivamente per il piacere di godersi un bel libro…

(The Swords of Night and Day, 2004)

Editore: Fanucci

Collana: Collezione Immaginario Fantasy

Pagine 505

Euro 20,00

ISBN 9788834714997