28 luglio 2006. 28 luglio 2009.

Tre anni.

Tre anni sono già passati dalla morte di David Gemmell, uno dei più grandi cantori del fantasy. Il suo valore di narratore contemporaneo è espresso da un tesoro narrativo di trentatré romanzi, gran parte dei quali inseriti in cicli, minicicli, dittici, talvolta connessi tra loro. Vanno nominati almeno alcuni, di questi cicli (peraltro di solito caratterizzati da una qualità ormai rara: essere composti da storie auto-conclusive): quello delle Siptrassi, la saga dei Rigante e, soprattutto, l'irripetibile e articolata epopea dei Drenai.

David Gemmell è stato un romanziere eccezionale. Uno di quelli che sanno distinguersi e imporsi con stile e contenuti propri. Capace di identificarsi con le esigenze evasive del lettore di genere, intessendo trame suggestive e avvincenti, prodighe di situazioni, di duelli e cruente battaglie, di indimenticabili dialoghi ad effetto… Ma, nel contempo, anche in grado di non sacrificare nel nome del ritmo e dell'avventura la forte inclinazione a lavorare sui profili psicologici di protagonisti e comprimari. Sono connotati legati in un indissolubile equilibrio dinamico. Una sorta di DNA dello stile di Gemmell, una doppia elica intrecciata dove sono iscritte tutte le altre peculiarità distintive della sua prosa. Soprattutto, David Gemmel ci ha regalato "persone" prima che personaggi, uomini e donne prima di Eroi ed Eroine. Lo ha fatto con tratti semplici, privi di orpelli, di lungaggini, eppure intensi, concreti, vividi…

Per quanto la passione dell'autore per la storia trapelasse palese già nei suoi scritti a matrice fantastica (in tutti, non solo nei due fantasy dedicati al generale Parmenione e ad Alessandro Magno), appena con il nuovo millennio aveva iniziato a confrontarsi con il romanzo storico in senso stretto. Aveva infatti ottenuto un buon successo, anche fuori dal genere che lo aveva consacrato come autore di punta, grazie a una personalissima Trilogia di Troia (in Italia pubblicata da Piemme con i titoli: Il signore di Troia, L'ombra di Troia e La caduta dei re – quest'ultimo completato, dopo il decesso, dalla moglie Stella), in cui aveva rielaborato Mito e Storia, per riconsegnare eroi ed eventi al lettore moderno con rinnovato empito epico, ma in una chiave realistica, priva di divinità attrici, proponendo invece versioni possibili di ciò che sta alla base della leggenda cantata dall'aedo, al solito raccontate con attenzione all'essere umano, alle sue capacità e alla sua grettezza, ai suoi sogni e ai suoi incubi, alle sue azioni, alle sue spesso profonde contraddizioni, confuso tra gli eccessi dell'amore e dell'odio…

Perdonate il preambolo e la piccola divagazione. Considerateli un'accettabile eccezione, in onore di una ricorrenza per me (per noi?) speciale. Valeva comunque la pena rimarcare che il passaggio alla fiction storica era avvenuto all'insegna della continuità, in particolare per quanto concerne l'epica umanizzata di cui sopra e l'eroismo depurato da quella tossica retorica che invece inquina, indipendentemente dal genere, gran parte dei testi letterari (e non) dove si parla di guerra e della cosiddetta… gloria. Prerogative d'approccio ai contenuti che, sin dall'esordio con Legend (1984), hanno contraddistinto Gemmell sempre.

Affrontare questo articolo, per certi versi, non mi è stato facile.

Perché? Perché volevo parlarvi di un libro che, in un modo sbagliato (la morte prematura dell'autore), ha acquisito un'importanza superiore al previsto nell'ambito dell'opera omnia gemmelliana.

Purtroppo, Le Spade del Giorno e della Notte è, e resterà, l'ultimo fantasy scritto da David Gemmell.

E (ancora: purtroppo) è anche l'ultimo capitolo del celebre ciclo dei Drenai.  L'atto finale.

Oh, sì: forse non resterà per sempre il romanzo definitivo. Forse un giorno qualcuno, sulla base di un qualche canovaccio o appunto del compianto, riprenderà un testamento letterario prezioso. Ma che sarà arduo da sviluppare con tangibile coerenza e pari abilità.

Le Spade del Giorno e della Notte non è stato concepito e scritto per essere il capitolo conclusivo della saga Drenai. Anzi, è facile intuire come sia stato strutturato, con attenzione, quale testo di raccordo. O, meglio ancora: quale inizio di una nuova serie nella serie, lanciando come protagonista quel Skilgannon il Dannato che aveva fatto la sua prima apparizione nel cast de Il lupo bianco, romanzo uscito nel 2003, un anno prima di questo. È partendo da questa verosimile deduzione che ritengo necessario inquadrare il libro, anche in termini di giudizio d'insieme.