Il lupo bianco
Il lupo bianco

Uno sguardo alla trama… Skilgannon, detto il Dannato, viene riportato alla vita dopo un millennio dalla sua morte. La sua anima è richiamata dal Vuoto. Il suo corpo ricreato grazie a una magia che altro non è se non remota e perduta scienza, in larga parte incompresa. C'è una profezia da portare a compimento, parole antiche che costituiscono una labile speranza: abbattere il dominio dell'Eterna, una regina tirannica e volubile, che regna da secoli, e che pertanto – parrebbe – immortale. Skilgannon non cederà subito al nuovo destino che gli si chiede di accettare e per il quale è stato richiamato dal Vuoto. Soprattutto, sarà riluttante nell'impugnare nuovamente le Spade del Giorno e della Notte, lame micidiali ma maledette. Chiaramente, il suo successivo coinvolgimento diventerà inevitabile. Ma il suo compito non sarà quello di porsi alla testa di eserciti e di sconfiggere armate, bensì di riuscire a raggiungere il luogo recondito dove la magia ha origine, per porre fine all'energia che la sostiene, e da cui trae rinnovata vita anche l'Eterna.

Al suo fianco, riemergeranno dal passato due figure mitiche per i Cavalieri Leggendari, ultimi eredi dell'impero Drenai (e mitiche anche per gli appassionati di Gemmell; ) ): Druss e il Conte di Bronzo. A loro, si aggiungono altri grandi nuovi protagonisti, primo fra tutti Stavut, il mercante. Tra gli antagonisti di Skilgannon, oltre alla misteriosa (ma non troppo, ad essere sinceri…) regina eterna e al negromante di turno, troviamo Decado, uno dei discendenti dell'eroe omonimo (conosciuto ne Le spade dei Drenai): una tormentata figura di abile spadaccino dall'equilibrio mentale assai instabile, soggetto a irrefrenabili pulsioni violente.

L'impianto, come si vede, non ha niente che si possa definire originale. Del resto, come molti autori di successo (bravi compresi) con una produzione narrativa corposa, anche Gemmell non sfugge alla tendenza a ripetere schemi e temi. Eppure, proprio perché i suoi personaggi non sono mai piatti, e la scrittura sempre fluida, priva di incertezze, dalle sue pagine non si sprigiona mai aria stantia. Neanche in questo Le Spade del Giorno e della Notte.

Delle imperfezioni, certo, ci sono. Per esempio, anche se il romanzo è del tutto indipendente, il libro chiede un piccolo sforzo di ricostruzione a chi già non conosce l'universo dei Drenai e non ha letto Il lupo bianco. I riferimenti ad altri episodi della saga sono molteplici, quasi eccessivi, ma l'azione attenta che Gemmell ha evidentemente condotto per diluirli nel romanzo in modo non invasivo raggiunge tutto sommato un buon risultato.

Anche riproprorre (per quanto con espedienti differenziati, che non prevedono la sola rinascita) contemporaneamente tre leggende del calibro Druss, Skilgannon e il Conte di Bronzo, appare come una forzatura a tratti eccessiva. Eppure, alla fine, non si riesce a non cedere al fascino di questo terzetto. Beh, per quel che mi riguarda, il fantasy è bello anche per questo: gli Eroi ritornano. Anche dalla morte. Almeno per un po'…

A mio avviso, però, ciò che più spicca in Le Spade del Giorno e della Notte sta in uno dei temi trattati (ovviamente in modo del tutto gemmelliano): questo romanzo parla di pregiudizi. Un aspetto che voglio approfondire con alcuni esempi, anche a costo di rischiare il cosiddetto "spoiler".

Gli Jiamad sono gli eredi degli Ibridi, già presenti in altri romanzi dei Drenai. Sono esseri creati grazie alla "magia", fusioni tra uomini e animali (lupi, cinghiali, orsi…). Sono trattati alla stregua di bestie feroci, a stento trattenute in cattività. Vengono impiegati principalmente a scopi bellici, da tutte le fazioni in lotta. Sono considerati privi di emozioni, sentimenti. Armi viventi. Disumani macellai e carne da macello.

Tra le storie personali che interagiscono nel libro, Gemmell sviluppa anche quella di Stavut, un pacifico mercante, dalla spiccata intelligenza emotiva, nel quale gli eventi violenti catalizzano doti e volontà inattese. Con il soprannome di "Camicia di Sangue", si ritroverà a diventare il leader riconosciuto (rispettato e, in un certo senso,… amato) di una banda, vieppiù numerosa, di sbandati e trucidi Jiamad, che hanno perduto i legami con le rispettive compagini. Un leader vero. Che si riconosce nel suo gruppo. Che crea legame.

Le vicende dei Stavut e dei suoi "ragazzi" toccano corde di volta in volta differenti, dimostrando che la realtà è sempre sfaccettata: ci catturano precipitandoci nell'azione, ci sorprendono con momenti divertenti (esilarante lo scambio di battute a pag. 226), ci  coinvolgono con il pathos di momenti drammatici, ci ricordano (senza fronzoli) di non dare mai nulla per scontato, e di non cedere ai preconcetti. Come ampiamente prevedibile, le vicissitudini del "branco" di Camicia di Sangue raggiungeranno il climax, duro e insieme lirico, amaro e toccante, verso la conclusione, dopo un ennesimo sanguinoso scontro.

Mi permetto di citare un paio di stralci dal testo.