Marco Davide
Marco Davide

Lo stesso discorso, per esteso, arrivo ad applicarlo persino al genere, che a mio avviso dovrebbe essere sponda per l'impulso originale e non zavorra pregiudiziale.

Perché parto da questa specifica? Il mio scopo è sottolineare come, a mio avviso, non sia essenziale incasellare la propria opera all'interno di questa o quella categoria come punto dal quale cominciare. È un'idea che, implicita o meno, spesso vedo trapelare da certe discussioni sul "med-fantasy". Teoremi presunti e pretestuosi che sostengono la necessità, da parte di noi autori italici, di affrancarci da questo o quel filone esterofilo per attingere al nostro patrimonio culturale. Io non mi pongo il problema a priori.

La 'Trilogia di Lothar Basler' si basa su ambientazioni pseudo-storiche che ricalcano l'Occidente in un'epoca che può, a seconda di come la si guardi, richiamare il Medioevo o i secoli immediatamente successivi. Tratteggio una penisola pseudo-italica e, in un differente continente, un Impero molto simile al crepuscolo di quello Romano. Di suggestioni mediterranee, in questo senso, se ne respirano parecchie. Eppure? La mia saga è definibile, seppur in parte, "med-fantasy"? La verità è che non mi interessa e che mai, durante la stesura, mi sono posto il dilemma.

La questione la inquadri bene tu, Fabrizio: noi affondiamo le radici in un certo tipo di cultura ed è naturale che questo emerga in ciò che produciamo. Io percepisco un legame molto stretto con la mia terra e con tutto ciò che l'ha influenzata. È il vincolo a monte che a mio avviso non ha senso: siccome sei italiano, allora devi produrre in una certa maniera. L'originalità, per come la vedo io, può dipendere da mille altri fattori che non la mera ambientazione di una storia. Precisata la mia posizione, voglio sottolineare come, da lettore, io sia molto incuriosito dalla strada di ricerca e rivisitazione intrapresa da autori come te, da quella che tu chiami "narrativa fantastica di ambientazione mediterranea". Se domani entrerò a farvi parte, o se per certi versi vi sono già dentro senza essermene accorto, davvero non lo so. Ma voglio continuare a vederla come una prospettiva in più, soprattutto nei termini in cui mi sembri declinarla, non come un capestro.

Fabrizio Valenza
Fabrizio Valenza

FV: Quanto dici mi dà la sponda per riprendere il concetto di “genere” al quale accennavo. Il rischio maggiore quando si parla di “ambientazione mediterranea” è di vedere gli scritti che ne farebbero parte come un genere a sé. Niente di più sbagliato.

Come dici giustamente tu, prima di scrivere ci si pone il problema se incasellarsi in un modo o nell'altro? Personalmente non vivo questo dilemma. Non voglio scrivere un med-fantasy come genere. Voglio scrivere “mediterraneo” perché sento che le tradizioni di cui è permeata la mia terra scorrono nel mio sangue, mi affascinano e costituiscono l'aria che respiriamo, pur senza accorgercene.

Le montagne in cui Geshwa Olers si muove sono quelle del Veneto, ma la storia abbraccia l'Italia, l'Adriatico, i Balcani, il Medio Oriente. Di romanzo in romanzo “Storia di Geshwa Olers” mette in campo tradizioni e leggende della nostra penisola e non solo. Perché? Non certo perché penso che “mediterraneo” sia meglio di “nordico”. Non certo perché penso che “fada” sia meglio di “fata” o chissà cos'altro.

Il motivo è solo uno: l'amore per la cultura in cui sono cresciuto.

A ben vedere, è effettivamente lo stesso tipo di amore che provi tu quando pensi di mettere in campo la situazione del Sacro Romano Impero “rivisitata” nel continente al di là del mare, o quando sembra di vedere la condizione dell'Europa moderna in Lum. Lo stesso tipo di amore per la storia che ci circonda.

Basta questo a dire che Lothar Basler sia “di ambientazione mediterranea”? Forse no, perché l'immaginario “tradizionale” al quale si fa riferimento nel tuo romanzo è più che altro “mittel-europeo”. Ma il concetto che c'è alla base, scrivo di ciò che amo, è indubbiamente il medesimo.

Più difficile mi riesce credere che si possa amare un'ambientazione fatta di elfi e nani per motivi di cultura locale. Piuttosto, lì sento l'influenza dell'immaginario “nordico”. Nulla di sbagliato, ovviamente. Solo un punto di vista differente che di per sé non basta a definire un genere.

MD: Non ho problemi a pensare in termini di genere ma, quando il discorso si frammenta in sotto-(e sotto- e sotto- e sotto-)generi di solito arriccio il naso di fronte all'escalation di termini e definizioni da presunto intellettuale dell'ultima ora spesi, a scapito dei contenuti. Non ho nulla a priori contro le etichette e, da autore pubblicato, non starò qui a scagliarmi contro il marketing che costituisce, fra le altre, una delle fondamenta su cui si basa la vendita dei miei libri. Ne faccio piuttosto un discorso di ruoli: discutiamo qui fra scrittori, e gli scrittori dovrebbero pensare a scrivere, lasciando le sotto-etichette a chi, a posteriori, ha il compito di vendere.