Se non fosse stato gay, anche Claude avrebbe potuto restarne colpito. Lui è il fratello della mia amica Claudine e si guadagna da vivere facendo lo strip per le signore all’Hooligans, un club di cui è divenuto il proprietario. Claude è semplicemente uno schianto, alto un metro e ottanta, con ondulati capelli neri, grandi occhi castani, un naso perfetto e labbra piene al punto giusto. Porta i capelli abbastanza lunghi da coprire gli orecchi, anche se sono stati alterati chirurgicamente in modo da apparire arrotondati come quelli umani e non appuntiti, come erano in origine… un’alterazione visibile soltanto per chi sa come funziona il mondo del soprannaturale e che è in grado di riconoscere Claude per ciò che è in effetti, una fata. Badate, non sto usando un termine peggiorativo per indicare il suo orientamento sessuale: dico sul serio, lui appartiene alla razza dei fairy, le fate.

- Attiva la macchina del vento - ordinò Al a Maria Stella che, dopo aver armeggiato un poco per posizionare il grosso ventilatore, procedette ad avviarlo. Adesso, pareva che io e Claude ci trovassimo al centro di una vera bufera di vento: i miei capelli si estendevano dietro di noi come una coltre bionda, anche se quelli di Claude, stretti in una coda di cavallo, rimanevano immobili. Dopo che Al ebbe scattato qualche fotografia per catturare quel tipo di look, Maria Stella sciolse i capelli di Claude e li modellò in modo che gli ricadessero su una spalla e venissero sospinti in avanti dall’aria, creando uno sfondo per il suo profilo perfetto.

- Meraviglioso - commentò Al, scattando altre fotografie. Poi Maria Stella modificò un paio di volte l’orientamento del ventilatore, in modo che il vento ci investisse da direzioni differenti, e infine Al mi annunciò che potevo raddrizzarmi, cosa che feci con cautela.

- Spero di non averti pesato troppo sul braccio - dissi a Claude, che era tornato ad apparire freddo e composto.

- No, nessun problema. Avete un po’ di succo di frutta, qui intorno? - ribatté lui, dimostrando ancora una volta di non essere certo Mister Cortesia.

La graziosa mannara gli indicò un piccolo frigorifero in un angolo dello studio.

- Le tazze sono sopra il frigo - avvertì, seguendo Claude con lo sguardo e sospirando. Quella era una reazione frequente nelle donne, dopo che si erano trovate a parlare con Claude, e quel sospiro sottintendeva sempre un tacito “che peccato”.

Dopo aver controllato che Al fosse impegnato ad armeggiare con la sua attrezzatura, Maria Stella mi rivolse uno smagliante sorriso; anche se era una mannara, cosa che mi rendeva difficile leggere i suoi pensieri, stavo intercettando da lei il fatto che aveva qualcosa da dirmi… e che non era certa di come avrei reagito.

La telepatia non è una cosa divertente. L’opinione che hai di te stessa risente del sapere quello che gli altri pensano sul tuo conto, senza contare che essere telepatica ti impedisce di frequentare uomini normali. Provate a pensarci sopra (e ricordate che io mi posso accorgere se lo state facendo davvero, oppure no).

- Alcide ha attraversato dei momenti difficili da quando suo padre è stato sconfitto - affermò Maria Stella, tenendo bassa la voce. Claude era impegnato a sorseggiare il suo succo di frutta e a rimirarsi in uno specchio, e Al Cumberland si era ritirato nel suo ufficio per rispondere a una chiamata ricevuta sul cellulare.

- Non ne dubito - replicai. Dal momento che Jackson Herveaux era stato ucciso dal suo avversario, era solo prevedibile che adesso suo figlio stesse attraversando un periodo di alti e bassi. - Ho mandato un messaggio di condoglianze all’ASPCA, e so che esse verranno inoltrate ad Alcide e a Janice - aggiunsi. Janice era la sorella minore di Alcide e, come secondogenita, non era una mannara, cosa che mi induceva a chiedermi quale spiegazione le avesse dato Alcide per la morte del padre. In risposta alle mie condoglianze avevo ricevuto un biglietto di ringraziamento prestampato, del genere distribuito dalle pompe funebri, senza neppure una parola personale aggiunta al testo.

- Ecco… - riprese Maria Stella. Quale che fosse la cosa che voleva dirmi, pareva le fosse difficile parlarne, ma io riuscii comunque a intravederne la forma nella sua mente. Per un momento, il dolore mi trapassò come un coltello, ma subito riuscii a controllarlo e a coprirlo con il mio orgoglio, cosa che avevo imparato a fare fin da quando ero piccola.

Raccolto un album con un campionario delle fotografie di Alfred, cominciai a sfogliarlo senza quasi vedere le fotografie di matrimoni, bar mitzvah, prime comunioni e venticinquesimi anniversari. Dopo un po’, richiusi l’album e lo posai, cercando di apparire noncurante anche se sapevo che la cosa non stava funzionando.

- Sai, Alcide e io non siamo mai stati veramente una coppia - affermai, sfoggiando un sorriso smagliante quanto quello di Maria Stella. Potevo anche aver avuto desideri e speranze, ma essi non avevano mai avuto l’occasione di giungere a maturazione, perché si era sempre trattato del momento sbagliato.