Premessa 

Per Lily Bard, la sonnolenta cittadina di Shakespeare, Arkansas, era il posto perfetto in cui nascondersi dalla violenza che aveva quasi distrutto la sua vita alcuni anni prima. Adesso Lily è una donna forte, sicura di sé grazie all’addestramento nelle arti marziali, che nasconde la propria avvenenza sotto un taglio di capelli molto corto e vestiti informi. Lavorando come donna delle pulizie, Lily può andare e venire senza essere notata da nessuno… finché non si trova a essere testimone di un omicidio. 

Capitolo primo 

Mi misi in posizione, i piedi nudi che aderivano al pavimento di legno, i muscoli delle cosce contratti per far fronte all’attacco, poi avanzai sulla punta del piede sinistro, ruotando nel muovermi, e feci scattare verso l’alto la gamba destra, piegata all’altezza del ginocchio. Il piede saettò in fuori e tornò indietro all’istante, mentre la sacca da box nera Everlast prendeva a ondeggiare appesa alla catena. 

Non appena il piede destro toccò il terreno, ruotai con leggerezza su di esso, orientando il corpo in modo che fosse di fronte alla sacca, poi la mia gamba sinistra scattò in alto e in fuori, per sferrare un mae geri ancora più potente e prolungato. Continuai a ruotare e a scalciare, alternando i calci frontali con quelli laterali oltre a esercitarmi nei calci all’indietro, il mio punto debole, mentre il respiro mi si faceva più profondo ma non perdeva mai il proprio ritmo… una violenta esalazione nel vibrare il calcio, una profonda inspirazione nel ritrarre il piede.

La sacca continuò a danzare all’estremità della catena, oscillando avanti e indietro, cosa che richiedeva maggiore concentrazione da parte mia per riuscire a piazzare con precisione il calcio successivo. Cominciavo a stancarmi.

Infine, colpii con la gamba destra, la più forte, attingendo a tutta la mia forza, schivai l’oscillazione di ritorno della sacca e risposi con un seiken, la mano perfettamente in linea con il braccio, le nocche che affondavano nella sacca.

Avevo concluso l’esercizio. Mi inchinai automaticamente, come avrei fatto trovandomi davanti un avversario in carne e ossa, poi scossi la testa in segno di disgusto verso la mia stupidità e allungai la mano verso l’asciugamano appeso al suo gancio, vicino al pomolo della porta. Mentre mi tamponavo la faccia, mi chiesi se quell’esercitazione fosse stata sufficiente. Se a quel punto avessi fatto la doccia e fossi andata a letto, sarei riuscita a dormire? Valeva la pena di provarci.

Mi lavai i capelli e finii la doccia in cinque minuti. Dopo essermi asciugata, applicai un po’ di mousse sui capelli umidi e mi soffermai davanti allo specchio per gonfiarli con le dita e un pettine. Mi ero avvolta in un asciugamano per non vedere il mio torace nello specchio.

Adesso ho i capelli corti e biondo chiaro. Una delle mie poche stravaganze è quella di farli tingere, permanentare e tagliare da Terra Ann’s, il miglior parrucchiere di Shakespeare. Alcuni dei miei datori di lavoro si fanno acconciare i capelli là, e non sanno mai cosa dire quando m’incontrano da Ann.

La maggior parte dei body-builder ritiene che una intensa abbronzatura debba essere parte integrante del loro regime, ma io sono pallida, perché in questo modo le cicatrici spiccano di meno. Però ci tengo a curare le sopracciglia, e ho gambe e ascelle lisce e depilate come il posteriore di un neonato.

Una volta, anni fa, pensavo di essere graziosa. Fra me e mia sorella, Varena, esisteva la consueta rivalità, e ricordo di aver deciso che i miei occhi erano più grandi e di un azzurro più chiaro dei suoi, che il mio naso era più sottile e diritto, le mie labbra più piene. Lei aveva un mento migliore, ben definito e dal taglio deciso, mentre il mio è rotondo. Adesso non vedo Varena da tre anni.

Probabilmente è lei la più graziosa, perché anche se la mia faccia non è cambiata, la mia mente lo è, e i pensieri traspaiono dal volto e lo alterano.

A volte, certe mattine… quelle dopo una notte particolarmente spiacevole… mi guardo nello specchio e non riconosco la donna che vi vedo riflessa.

Quella sarebbe stata una notte veramente brutta (anche se non avevo idea di quanto lo sarebbe stata), e mi rendevo conto che cercare di andare a letto sarebbe stato inutile. I miei piedi bruciavano dalla voglia di muoversi.

Mi rivestii, gettando la tenuta da esercitazione sudata nel cesto dei panni sporchi per sostituirla con un paio di blue jeans e una T-shirt, che infilai nei pantaloni per poi inserire una cintura nei passanti. I capelli erano solo vagamente umidi, ormai, e il phon finì di asciugarli. Indossai una giacca a vento scura sulla T-shirt.

Porta principale, porta posteriore o porta della cucina? Alcune notti, ci metto un po’ di tempo a decidere.

Sarei uscita dal retro. Anche se mantenevo tutte le porte ben oliate perché si aprissero quasi senza rumore, quella sul retro era la più silenziosa.