Esitai ancora, torcendomi le dita. L’istinto mi avvertiva che quella non era una mossa molto saggia.

Muoviti e falla finita, dissi a me stessa.

Tirai fuori di nuovo la piccola torcia, la cui luce sempre più fievole mi permise di decifrare la guida telefonica di Shakespeare.

Composi il numero, sentii suonare tre volte, poi un’assonnata voce maschile rispose.

– Parla Claude Friedrich.

– Ascolti – dissi, sorpresa di quanto la mia voce suonasse aspra e rauca. Aspettai un istante.

– D’accordo. – Adesso era del tutto sveglio.

– C’è un morto nel parco di fronte a casa sua – aggiunsi, e riattaccai. Attraversato il corridoio con passo furtivo, raggiunsi la stanza dove tenevo il sacco da boxe e che usavo per esercitarmi; attraverso la sua finestra, vidi la luce accendersi nell’appartamento di Claude Friedrich, che si trovava al secondo piano, accanto a quello di Deedra Dean.

Adesso avevo davvero fatto tutto il possibile.

Pervasa dalla piacevole sensazione di essermi liberata di una responsabilità, mi spogliai e infilai la camicia da notte, poi sentii un’auto sulla strada, all’esterno, e raggiunsi il salotto buio per guardare dalla finestra. Friedrich aveva preso sul serio la mia telefonata e adesso era là fuori, dopo essersi vestito in fretta e furia, intento a parlare con uno degli agenti del servizio di pattuglia notturno, Tom David Meiklejohn. Mentre li osservavo, si avviarono lungo lo stesso sentiero del parco imboccato dal ladro, ciascuno dei due munito di una potente e grossa torcia.

Incidente chiuso, pensai, mentre tornavo in camera e strisciavo nel mio letto a due piazze. Tirai su le lenzuola pulite, appoggiai la testa sul cuscino e, finalmente, mi addormentai all’istante.