– Non ricordo cosa sia una festa pre-nuziale, anche se ne ho già sentito parlare – replicò, poi si illuminò in volto e proseguì: – È un termine che conosco già. Una donna ha scritto ad Abby di non aver ricevuto un biglietto di ringraziamento per un grosso dono fatto a una festa pre-nuziale. Si… si portano regali?

– Hai indovinato – confermai. – Si tratta di una festa per qualcuno che sta per sposarsi. A volte, la festa è per la coppia, e gli sposi sono entrambi presenti, ma di solito la festeggiata è soltanto la sposa, e tutte le persone che partecipano alla festa sono donne. Ognuna porta un regalo. La teoria è che in questo modo la coppia può iniziare la propria vita matrimoniale avendo tutto ciò di cui ha bisogno. Si fa lo stesso quando una coppia aspetta un bambino, anche se in quel caso, ovviamente, si tratta di una festa pre-natale.

– Pre-natale – ripeté Pam, sfoggiando un sorriso un po’ raggelante: vedere la curva di quelle labbra era sufficiente a far venire i brividi. – Mi piace questo termine – disse poi, bussando alla porta dell’ufficio di Eric prima di aprire il battente. – Eric – disse, – forse un giorno una delle cameriere resterà incinta e potremo andare a una festa pre-natale!

– Sarebbe una cosa che varrebbe la pena di vedere – commentò Eric, sollevando la testa bionda dalle carte che aveva sulla scrivania. Poi registrò la mia presenza, mi scoccò una dura occhiata e decise di ignorarmi. Eric e io avevamo dei problemi in sospeso.

Sebbene la stanza fosse piena di persone che aspettavano di godere della sua attenzione, Eric posò la penna e si alzò, stiracchiando il suo splendido corpo, forse a mio beneficio. Come al solito, indossava jeans aderenti e una T-shirt del Fangtasia, nera e decorata con i canini stilizzati bianchi che il bar usava come logo. La parola “Fangtasia” era scritta in sgargianti lettere rosse, posizionata di traverso sulla punta candida dei canini, nello stesso stile della scritta al neon presente all’esterno. Se Eric si fosse girato, sulla sua schiena sarebbe stata visibile la dicitura, “Il Bar con Mordente”. Pam mi aveva dato una di quelle magliette, quando il Fangtasia aveva cominciato a commercializzare i propri prodotti di merchandising.

Su Eric quella T-shirt faceva un bell’effetto, e io ricordavo fin troppo bene cosa ci fosse sotto di essa.

Distolsi a fatica lo sguardo dallo stiracchiarsi di Eric e lo lasciai scorrere per la stanza. C’era una quantità di altri vampiri accalcati nello spazio piuttosto ristretto, ma finché non li si vedeva, non ci si rendeva conto della loro presenza, tanto erano immobili e silenziosi. Clancy, il gestore del bar, si era accaparrato una delle due sedie per i visitatori disposte davanti alla scrivania. L’anno precedente, Clancy era sopravvissuto alla Guerra delle Streghe, ma a stento, e non ne era uscito illeso perché  le streghe lo avevano dissanguato fin quasi al punto di non ritorno. Quando infine Eric lo aveva trovato, seguendo la traccia del suo odore fino al cimitero di Shreveport, quel vampiro dai capelli rossi era a un passo dalla morte, e nel corso della sua lunga convalescenza era diventato aspro e tagliente. Nel vedermi sorrise, mostrando un accenno di canini.

– Puoi sederti sulle mie ginocchia, Sookie – suggerì, battendosi una mano sul grembo.

Ricambiai il sorriso, senza il minimo calore.

– No, Clancy, grazie – rifiutai con cortesia. Il suo modo di flirtare era sempre stato un po’ tagliente, e adesso si era fatto affilato come un rasoio, per cui lui era uno di quei vampiri con cui preferivo non restare sola. Anche se era molto abile nella gestione del locale, e non mi aveva mai posato addosso un solo dito, faceva squillare dentro di me una quantità di campanelli di allarme, e pur non essendo in grado di leggere nella mente dei vampiri, cosa per cui trovavo gradevole frequentarli, ogni volta che percepivo quel formicolio ammonitore mi sorprendevo a desiderare di potermi insinuare nella testa di Clancy per scoprire cosa stesse succedendo al suo interno.

Felicia, la più recente barista del Fangtasia, era seduta sul divano insieme a Indira e a Maxwell Lee. Pareva di essere a un raduno di vampiri della Rainbow Coalition: Felicia era un incrocio afro-caucasico molto ben riuscito ed era alta quasi un metro e ottanta, cosa che la rendeva ancora più affascinante; Maxwell Lee era uno degli uomini di colore più scuri di pelle che avessi mai visto, e la piccola Indira era figlia di immigrati indiani.

Nella stanza erano presenti altre quattro persone (uso il termine “persone” in senso lato) e ciascuna di esse era tale da turbarmi, sia pure in misura diversa.

Una di esse era qualcuno di cui non intendevo ammettere la presenza, perché avevo attinto alle leggi dei mannari e avevo deciso di trattarlo come un fuorilegge del mio branco: lo avevo ripudiato, per cui mi rifiutavo di pronunciare il suo nome, di rivolgergli la parola o anche solo di ammettere la sua esistenza (naturalmente, si trattava del mio ex, Bill Compton), anche se lui era nella stanza, appartato in un angolo con aria meditabonda.